Sono gli ultimi giorni del primo mandato del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, e una mozione parlamentare, in modo del tutto irrituale, mette in discussione l’operato della Banca centrale.
Non vogliamo qui discutere sul contenuto politico dell’azione, bensì del valore democratico della stessa e dei suoi effetti.
La riforma del 2005, la c.d. Legge sul Risparmio, ha modificato la durata della carica da vitalizia a esennale (rinnovabile una sola volta). La nomina del Governatore è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia, organo cui spetta l’amministrazione generale nonché il controllo sull’andamento della gestione della Banca. Il primo Governatore eletto fu Mario Draghi, che lasciò, allo scadere, per presiedere la Banca Centrale Europea.
Formalmente il Parlamento non rientra nell’iter procedurale. I partiti ancor meno. La composizione del consiglio dei Ministri da voce alle istanze politiche, anche se l’analisi delle candidature dovrebbe essere tecnica, di merito, non di scuderia.
Prima dell’adozione della moneta unica, la Banca d’Italia decideva della politica monetaria, fissando il tasso ufficiale di sconto, il costo del denaro, insomma. Poi l’unione valutaria e l’entrata nel sistema delle banche centrali, ha fatto spossessare l’Istituto di talune competenze esclusive nazionali, per acquisirle, in quota parte, in ambito europeo.
Le principali funzioni della Banca d’Italia sono dirette ad assicurare la stabilità monetaria e la stabilità finanziaria, requisiti indispensabili per un duraturo sviluppo dell’economia.
Compiti della Banca centrale sono la sorveglianza dei sistemi di pagamento, promuovendone il regolare funzionamento, anche attraverso la gestione diretta dei principali circuiti, e la supervisione sui mercati, finalizzata, più in generale, a contribuire alla stabilità del sistema finanziario e a favorire efficacemente la trasmissione delle azioni di politica monetaria. La Banca produce anche alcuni tagli di banconota, sulla base delle indicazioni europee, gestisce e controlla il denaro circolante e svolge azione di controllo e contrasto alla contraffazione.
La Banca d’Italia, inoltre, svolge compiti di tesoreria su delega dello Stato. Storicamente la Banca per serietà, competenza e rigore, nonché per capillare presenza sul territorio, ha permesso di gestire gli incassi e pagamenti del settore pubblico, non dimenticando che gli utili di bilancio della Banca confluiscono nelle casse dello Stato a coprire il debito pubblico.
La Banca d’Italia svolge quindi compiti delicati e peculiari del sistema Paese, sia verso l’interno che in ambito internazionale, in special modo nei rapporti con la BCE, di cui è parte integrante e costitutiva.
Il nuovo Statuto recepisce la normativa promulgata nel 2014 e ribadisce la natura di ente pubblico, l’assetto della governance, ma, soprattutto, introduce un espresso richiamo ai principi di funzionalità e di efficienza, cui deve ispirarsi la struttura organizzativa centrale e periferica, esplicita il principio dell’indipendenza della Banca nell’esercizio delle proprie funzioni e nella gestione delle proprie finanze.
L’indipendenza e l’autonomia della Banca d’Italia sono condizioni indispensabili per svolgere i compiti affidati dall’ordinamento e per partecipare a pieno titolo al dibattito in sede europea.
Minare per una corsa alla poltrona un Istituto portato ad esempio di efficienza, rettitudine, competenza e rigore non ha senso. Svilire l’eccellenza italiana, gettare in pasto notizie sensazionalistiche, spesso poi prive di fondamento o non dimostrabili, o mal costruite, attribuendo poteri e funzioni non proprie di Via Nazionale, non ha ragione d’essere.
Nel passato la politica ha provato ad assaltare Palazzo Koch, arrivando ad arrestare l’allora Direttore generale, accusato di omessa vigilanza (per poi essere assolto con formula piena), o esasperare il rigore del Governatore Ciampi nell’attuare il c.d. divorzio, con cui fu tagliato il finanziamento incontrollato del debito, fino alle recenti polemiche che, con interventi normativi, hanno limitato poteri della Banca per colpire i rappresentanti della stessa. Fino arrivare alla cronaca di queste ore: tale mozione pare dimenticare la ratio garantista che guida l’avvicendamento dell’incarico e mette in discussione competenza, onestà, probità e dedizione anche di chi vi lavora con serietà ed impegno.
Sull’operato della Banca, in merito alla crisi bancaria, sono diversi i luoghi e gli strumenti utili a riferire al Parlamento, come hanno sottoscritto 46 economisti al Presidente della Repubblica e del Consiglio “pericoloso il tentativo di politicizzare le nomine ai vertici di una istituzione la cui indipendenza è indispensabile all’esercizio della vigilanza sul sistema bancario italiano”, ricordando come tale mozione “produca un pericoloso, ingiustificato e inutile danno alla reputazione internazionale della Banca d’Italia e dell’intero paese; reputando quantomeno infondata, sul piano fattuale di teoria economica, l’opinione di chi cerca di attribuire ogni responsabilità alla Banca d’Italia per la mala gestione e il fallimento di alcuni istituti di credito”. Cui fanno eco le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha sottolineato come iniziative concernenti la Banca d’Italia “debbano essere ispirate a esclusivi criteri di salvaguardia dell’autonomia e indipendenza dell’Istituto nell’interesse della situazione economica del nostro Paese e della tutela del risparmio degli italiani” e che “l’azione di tutti gli organi della Repubblica, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo”. Quindi giù le mani dalla Banca centrale!