Francisco Goya è ritenuto uno dei più importanti artisti contemporanei. Celebre incisore e pittore, tramite i suoi capolavori ha descritto un’epoca e negli anni la sua arte ha avuto mutamenti stilistici conformi alla situazione politica con differenti fasi della sua esistenza, tra cui quella della malattia che lo rese sordo.
Goya attraverso la sua espressività ha determinato nelle sue composizioni un grande impatto emotivo lasciandoci numerosissimi capolavori.
Egli nasce a Saragozza, studia pittura fin dall’adolescenza e a 17 anni va a vivere a Madrid, una città piena di cultura in virtù del regno di re Carlo III, per dipingere in autonomia.
Nel 1770 Francisco Goya si trasferisce a Roma e resta nella nostra Nazione pressoché un anno. Grazie al rinvenimento di uno scritto autografo intitolato: “Cuaderno Italiano”, abbiamo attualmente molteplici informazioni su tale viaggio come le date esatte sul suo soggiorno, dal marzo-aprile 1770 fino al giugno 1771. Oltre a ciò, nel prolifico entourage artistico romano tra incontri con Giovan Battista Piranesi, il cui stile rimase ben impresso nella memoria del Maestro e riscontrabile nelle successive incisioni, ebbe contatti con le opere di Fussli, agli inizi dell’incipiente Romanticismo e studiò dal vivo i lavori dei secoli precedenti. Goya rimase ammaliato dalle Stanze di Raffaello, dalla volta di Palazzo Farnese di Annibale Carracci e dalla pala d’altare della Chiesa della Santissima Trinità degli Spagnoli di Corrado Gianquinto, un’artista che il Maestro aveva già conosciuto personalmente in Spagna. Nella Capitale dipinge con i pittori romani di via Condotti e di Piazza di Spagna e con particolare attenzione attua contrasti di colore.
Nel 1771 ritorna a Saragozza e realizza su commissione alcuni affreschi per la Basilica del Pilar. Nel 1774 va a Madrid per costituire i cartoni per la fabbrica reale degli arazzi di Santa Barbara. Fino al 1792 Goya ne crea circa 60 e ottiene un elevato consenso di pubblico, tanto che nel 1786 viene designato pittore di corte dal nuovo re Carlo IV. A corte infatti realizza moltissimi ritratti e arazzi e il suo stile è rappresentato da modernità, essenzialità, misura, colori vivi e da forme semplici quasi stilizzate.
Goya sposò Josefa “Pepa” Bayeu, sorella dell’amico artista Francisco Bayeu, un matrimonio che tuttavia per lui non ebbe molta rilevanza poichè frequentemente si circondava di amanti. Ebbe infatti anche una relazione sentimentale clandestina con Maria Teresa Cayetana de Silva, trentatreenne duchessa d’Alba, una delle donne più affascinanti e ricche di Spagna, seconda per prestigio solo alla regina. Sopraffatto dal fascino seduttivo della donna Goya ebbe con lei un’avventura licenziosa infervorato dall’amore e dalla passione: “non c’era in lei un capello che non emanasse fascino”, avrebbe declamato il Maestro, autore tra l’altro di due suoi ritratti.
Nel 1792 Francisco Goya si ammala, quasi certamente di sifilide o di una intossicazione da piombo, rimanendo totalmente sordo. Da questo momento è soggetto ad un cambiamento stilistico fondamentale anche per il contesto politico in quanto Carlo IV si manifesta un re completamente inaffidabile. Se prima le sue tele erano luminose e vivaci ora il Maestro comincia a rappresentare scene cupe e conturbanti, determinate dal pessimismo e dalla immagine negativa della vita.
Il ritorno sul trono di Ferdinando VII avvia anni di assolutismo e per tale scopo il pittore abbandona la corte e va a risiedere nella periferia di Madrid. Qui si dedica alle Pitture nere, pitture macabre e inquietanti in cui l’artista si interroga sul dualismo tra ragione e alienazione e sulla vittoria del male sull’uomo, inadeguato
nel decidere della propria sorte e destinato ad un epilogo doloroso. Dopo tali composizioni Goya giunge a Bordeaux e poi a Parigi occupandosi della sua attività di artista.
Nel 1828 avrà un ictus che lo renderà paralizzato e dopo due settimane si spegnerà a 82 anni.
E’complicato inserire Francisco Goya in una specifica corrente artistica. Vivendo fra due secoli è influenzato dal perfezionismo e dalle linee del Neoclassicismo connesse al pensiero e alla ragione, ma contemporaneamente crea lavori onirici e irrazionali, aprendo la strada al Realismo e al Romanticismo. Il suo stile è per ciò completamente libero riguardo le correnti stilistiche, all’inizio della sua carriera infatti si rivolge soprattutto ai ritratti per poi passare a temi più complessi.
Torna a Roma, nei Musei Capitolini, dopo 23 anni dalla sua unica comparsa nella Capitale (Galleria Nazionale d’Arte Antica, nel 2000) il “Parasole” straordinario capolavoro di Francisco Goya, suo dipinto giovanile (1777), che è mostrato dal 12 gennaio al 25 febbraio 2024 nella Pinacoteca Capitolina.
L’arrivo del quadro è il prodotto della politica culturale di scambi di opere d’arte intrapresa già da tempo dalla Soprintendenza Capitolina con rilevanti istituzioni museali italiane e internazionali. Il prestatore è il Museo Nazionale del Prado che ha elargito la tela come controprestito de “L’anima Beata” di Guido Reni, per la rassegna “Guido Reni” (2023).
Il “Parasole” è ubicato nella Sala Santa Petronilla della Pinacoteca Capitolina e posto accanto alla “Buona Ventura” di Caravaggio (1597). Il progetto espositivo, dal titolo: “Goya e Caravaggio: verità e ribellione”, vuole evidenziare come i due grandi pittori furono eccellenti interpreti della società della loro età e come è stata raccontata inserendo nel loro linguaggio figurativo novità iconografiche e stilistiche.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e gli apparati didattici sono a cura di Federica Papi e Chiara Smeraldi. L’organizzazione è di Zètema Progetto Cultura.
“Il Parasole” è un quadro a olio su tela (104 x 152 cm) che fu realizzato da Goya fra il 3 marzo e il 12 agosto 1777, giorno in cui fu dato alla Real Fabrica di Santa Barbara. In tale cartone sono presenti due giovani intenti in un innocente gioco amoroso. La maja (ragazza del popolo) è elegantemente vestita e un cagnolino le si accovaccia sopra, mentre il fidanzato le fa ombra con il parasole. Quello della sombrilla (parasole) è un tema omnipervasivo della cultura del tempo, a tal punto da essere in tantissimi romanzi e quadri, inutili quindi sono stati i molteplici tentativi dei critici di rinvenire una presumibile fonte figurativa o letteraria, dalla quale Goya avrebbe potuto ricavare questo dettaglio, tema fra l’altro molto diffuso nelle corti europee del Settecento.
Le due figure sono disposte secondo un impianto piramidale e lo sfondo alle loro spalle è mancante di profondità a tal punto da sembrare un proscenio paesaggistico. La ragazza ha dei vestiti alla francese come era la moda del tempo, ed il suo abito è leggero ed elegante, il corpo magro è stretto da un corsetto azzurro fermato da un grande fiore mentre sulle spalle indossa un mantello.
Il giovane osserva felice la ragazza e le offre l’ombra di un ombrellino, i suoi capelli sono raccolti da un copricapo morbido e indossa abiti comodi da campagna ma eleganti ed ha anche una raffinata fascia blu decorata intorno ai fianchi. A sinistra un muro fa da sfondo alla figura della ragazza mentre a destra vi è un arioso paesaggio con alberi, l’atmosfera è caratterizzata da un erotismo appena accennato, dimostrato dagli sguardi e dalle pose dei personaggi. Oltre al tema dell’incontro galante in quel tempo vi era la consuetudine di inserire nelle scene campestri il parasole.
Le interpretazioni della scena sono diversificate: alcune sottolineano il clima placido e spensierato, altri rimarcano particolari che possono apparire inquietanti come il vento che piega le fronde e il temporale incipiente. Tali interpretazioni ovviamente sono l’effetto di speculazioni critiche contemporanee perché Goya non lasciò nessuna documentazione di probabile lettura simbolica della tela.
“La Buona Ventura” di Caravaggio è un dipinto a olio su tela (115 x 150 cm), eseguito tra il 1593 e il 1594 per il cardinale Francesco Maria Del Monte e poi comprato dal cardinale Pio di Savoia. Successivamente mediante i suoi eredi sarebbe poi arrivato a metà del Settecento nella collezione appunto della Pinacoteca dei Musei Capitolini, mentre un’altra versione è al Louvre.
In seguito il lavoro risultò tra i beni di Camillo Pamphilj che probabilmente lo aveva acquistato sul mercato romano, per poi donarlo nel 1665 al re di Francia Luigi XIV.
Il tema della zingara che, con la scusa di predire il futuro ad un ingenuo giovanotto gli sottrae l’anello, rivelava una certa novità e anche se si ispirava ad una tradizionale scena di strada nascondeva avvertimenti morali più elevati.
Caravaggio quindi nella sua opera ritrae la giovane fanciulla, con vestiti semplici e un po’ esotici mentre appunto si avvicina ad un nobile ben vestito con guanti e cappello piumato, dall’espressione quasi sfrontata con una mano su un fianco, ma con occhi che sembrano sottolineare del timore forse per il furto del suo anello.
Giovanni Pietro Bellori, uno dei migliori biografi dell’artista lombardo, narra infatti che la modella fosse proprio una zingara che il Merisi aveva fermato per strada: con ciò voleva dimostrare che per realizzare un buon dipinto era possibile desumere modelli anche da soggetti indigenti, senza dover a tutti i costi rivolgersi alla pittura del passato.
Sulla parete dietro le figure di un ocra che ravviva l’intera atmosfera, la luce radente proiettata determina una sferzata obliqua che vivacizza tutto lo sfondo. Pochi artisti come Caravaggio hanno suscitato tanto interesse e hanno rivoluzionato così profondamente la storia dell’arte.
Il pittore lombardo, visse nella seconda metà del Cinquecento ed ebbe un’esistenza tormentata, segnata da un omicidio, una fuga disperata e un perdono giunto con la sua morte, e tutto ciò ha contribuito a formare il suo mito, genio solitario e malvisto dalla Chiesa di Roma.
Al di là della leggenda, la stupefacente novità dell’opera di tale illustre protagonista che aveva importanti protettori è insita in due componenti di modernità assoluta: la resa della realtà in ogni forma anche efferata e la presenza della luce come idioma di verità divina. Le novità introdotte da Caravaggio sono lo studio dal vero, contro ogni regola accademica e l’utilizzo violento della luce, come simbolo della grazia divina.
La luce nelle sue composizioni squarcia le tenebre e giunge improvvisa agli uomini. Caravaggio infatti in linea con il pensiero filosofico e scientifico del periodo barocco, sembra volerci dire che solo mediante la realtà si può arrivare alla divinità. Per questo le sue opere, sebbene il carattere rivoluzionario e di rottura con il passato, hanno appunto un contenuto profondamente religioso.
Il pittore è un innovatore anche riguardo la tecnica, dipinge dal vero o dal modello senza la creazione del disegno. Con una punta incide per fissare le linee principali dei suoi lavori sulla preparazione della tela ancora fresca e tutto questo è una delle prove per il riconoscimento del dipinto del Maestro.
Le due rilevanti tele evidenziano le moltissime analogie e la magnificenza dei due autori, al di là delle loro distanze temporali e stilistiche, introducendo, come già citato, nel loro linguaggio figurativo rivoluzionarie novità iconografiche.
Molte le similitudini: entrambi i quadri provengono dalla loro attività giovanile, in esse i protagonisti sono una donna ed un uomo e tutte e due raccontano una scena di vita quotidiana della società contemporanea.
Concludendo i dipinti esprimono quei segnali di ribellione in relazione ai condizionamenti stilistici e delle immagini dettati dalle consuetudini e regole accademiche del loro periodo: li dividono circa 180 anni, ma dimostrano ciascuno il passaggio verso una nuova età. Se Caravaggio infatti è considerato il primo pittore moderno, Goya fu il primo dei romantici che aprì la strada all’arte contemporanea.
“Goya e Caravaggio: verità e ribellione”, ha lo scopo di impreziosire l’itinerario espositivo descritto e destinare ai visitatori opportunità di riflessione su importanti argomenti e contenuti della storia dell’arte internazionale.