Il 24 e il 25 marzo p.v. la delegazione abruzzese del FAI Fondo per l’Ambiente Italia, gruppo Marsica Avezzano (AQ) organizza in Valle Roveto un fine settimana di incontri improntati all’arte, alla cultura, al ricordo delle tradizioni, alla riscoperta e alla valorizzazione di quanto di buono e bello ivi presente, al godimento dell’ambiente e del paesaggio. In particolare si avranno commemorazioni, riscoperte e visite, declamazioni e recitazioni, esposizioni di dipinti, incontri, passeggiate ed escursioni, aperture di qualche antico palazzo normalmente chiuso: tutto questo in un paesino di mille abitanti scarsi appollaiato a mille metri di altezza, Civita d’Antino, il fiume Liri che scorre alle sue pendici. Il paesino, anche con significative tracce di civiltà romana e di vestigia medievali, è amato e coltivato da quelli che vi cercano la natura incontaminata e il paesaggio non corrotto e degradato dalla cementificazione selvaggia, da quelli che vi vanno alla riscoperta delle tracce lasciate dai pittori che vi hanno soggiornato e lavorato, da quelli che intendono ammirarvi i quadri dei luoghi dipinti dagli artisti alla fine del 1800 le cui riproduzioni esposte in bacheche disseminate per le strade, cioè da quelli che cercano la pace e il silenzio e la contemplazione del bello che la cultura e l’arte e la natura possono garantire. E di queste persone ne sono tante, sempre di più, durante tutto l’arco dell’anno, anno dopo anno. Civita d’Antino, di cui abbiamo avuto occasione di scrivere qualche altra volta, deve la sua rinomanza e il suo buon nome soprattutto grazie ad un artista danese che vi mise piede per la prima volta negli anni ‘70 del 1800 e inebriato dai luoghi e dalla gente e, non ultimo, dal buon vino, vi ritornò sistematicamente quasi ogni anno fino alla fine della sua esistenza, per circa trentanni: “Qui non si potrebbe essere più vicini al Paradiso” scrisse alla madre. La natura e la luce e il cielo e gli abitanti e le vestiture delle donne erano soggetti pittorici troppo rari e particolari per essere ignorati, per cui non solamente la sua presenza ma anche quella dei suoi amici e degli allievi, tanto che ogni anno nei mesi estivi a Civita d’Antino era tutto un cenacolo di giovani artisti venuti dalle regioni più remote d’Europa: Norvegia, Svezia, Danimarca e che collocavano i loro cavalletti in ogni angolo del paese: il pioniere e apripista fu Kristian Zahrtmann (†1917) tanto appassionato del luogo e degli abitanti che la sua abitazione in Copenhagen chiamò: Civita d’Antino e, prima di morire, devolse una forte somma a vantaggio degli abitanti colpiti nel 1915 dal terribile terremoto. E questo avvenimento dei pittori scandinavi a Civita d’Antino è diventato sempre più motivo di richiamo e di ricorrenza e, più che le istituzioni, sono stati i privati cultori e gli appassionati ad impegnarsi alla valorizzazione ottimale di tale esperienza e si sono scritti libri, si svolgono incontri periodici e continui con le autorità e gli artisti dei paesi scandinavi, si organizzano mostre ed eventi e iniziative. E due fatti sono in special modo da evidenziare; nei musei scandinavi, e ne sono tanti!, molte delle opere presenti sono quelle dipinte dagli artisti in questi luoghi di Civita d’Antino e altrettanto ammirevole e perfino invidiabile, il fatto che una vecchia benemerita Fondazione bancaria di Pescara, la Fondazione Pescarabruzzo, fortemente sensibilizzata a tale pagina artistica e culturale così originale scritta dagli artisti scandinavi in terra di Abruzzo a Civita d’Antino, da anni si propone indefessamente e con impegno non solamente a promuovere scritti e iniziative quanto ad acquistare tutte o quasi tutte le opere che appaiono sul mercato antiquario europeo che hanno attinenza con i luoghi: e, mi si dice, ne avranno messe assieme almeno una cinquantina! Ultima realtà: come i costumi del luogo sostanzialmente attestano e documentano, Civita d’Antino è folkloricamente l’ultimo lembo di Ciociaria.
Lo sconforto e l’avvilimento di cui al titolo scaturiscono dal raffronto e dal paragone non dico con la Ciociaria ma con i comuni della Valcomino che molto molto di più hanno dato e realizzato eppure il solo contrassegno e testimonianza ne sono provoletti e prosciuttelli e canzonette e le
sagre e fiere mangerecce e magari i vomiti. Contrassegno distintivo: la cementificazione distruttiva dell’ambiente e del paesaggio.
L’unico segno di vita e di reazione a siffatto abbominio e catastrofe sociali e culturali sono i giovani che, per loro fortuna, vanno via.