GUSTAVE KLIMT LA SEDUZIONE NELL’ARTE Buamgarten (Vienna), 14 Luglio 1862 – Neubau, 6 Febbraio 1918

Le tre età della donna

Indubbiamente è stato l’artista più eclettico, sensuale, romantico e scissionista della fine dell’ottocento. Ardite e trasgressive alcune sue scelte pittoriche in un mondo artistico avviato ad una trasformazione così radicale da generare di lì in avanti oltre trentacinque movimenti alternativi, progressisti, liberali e futuristi.

Figlio di Ernst, orafo incisore e di Anna Fluster, entrambi di modeste condizioni sociali. Inizia a frequentare gli studi artistici presso la Scuola d’Arte e Mestieri della capitale dove prende contatto con tecniche classiche quali l’affresco ed il mosaico.

Giuditta I

E’ con lui il fratello Ernst, che lo accompagnerà fino alla morte sopravvenuta in giovanissima età nel 1892, anno in cui il Ministero della Cultura e dell’Educazione commissiona a Gustave e Franz Matsch (compagno di studi) la decorazione dei locali dell’Università di Vienna. Gustave diventa ben presto l’erede di Hans Makart (1840 – 1884). La decorazione per l’Aula Magna eseguita tra il 1900 ed il 1903 avente per tema la “filosofia, la medicina e la giurisprudenza” provocò accese polemiche sia tra i membri della Commissione Artistica che le stesse autorità viennesi per via dell’alto contenuto erotico dei pannelli realizzati e per l’errata impostazione artistica e compositiva. La protesta dei Docenti giunse in Parlamento: a quel punto Klimt rifiutò la prosecuzione del contratto restituendo l’acconto ricevuto (salvo poi ottenere la medaglia d’oro all’esposizione universale di Parigi). Altrettanto spudorato per quel tempo fu considerato il grande fregio decorativo eseguito nel 1902 alla XIV mostra per la sala che ospitava il monumento a Beethoven eseguito da Max Klinger. Per tali scandali, la carriera di decoratore ufficiale istituzionale di Gustave Klimt finì bruscamente dopo l’ultimo incarico avuto nel 1904 per le decorazioni a mosaico di Palazzo Stoclet (finite nel 1911).

Ribelle dalla nascita, già nel 1897 fondò il movimento della Secessione viennese improntato alla ribellione dei canoni artistici classici e convenzionali di fine secolo. Scrivendo una lettera aperta al “Kunstlerhaus” (Casa dell’Artista a cui faceva capo la struttura associativa degli artisti viennesi del movimento) spiegava che il suo scopo nel dipingere era quello di portare la vita artistica viennese a confrontarsi con l’evoluzione dell’arte estera oramai scevra dalle imposizioni di mercato. In effetti, più che una protesta nei confronti dell’arte, fu un mero pretesto per far nascere un concetto di Arte vera in Austria. Nella Secessione, non solo vennero coinvolti artisti (Klimt, Moll, Roller, Kurzweil, Moser), bensì scrittori (Musil), architetti (Olbrich, Hoffmann, Wagner), musicisti (Mahler, Schonberg), intellettuali (Freud, Wittegenstein) che rendevano Vienna una delle capitali più culturali, raffinate e affascinanti d’Europa. D’altronde, la cultura sociale viennese, improntata ed ancorata al classicismo puro e accademico, era destinata a sparire e ciò avvenne in concomitanza con lo scoppio della prima guerra mondiale che decretò la fine dell’impero Austro-Ungarico, legato imprescindibilmente al Decadentismo (il termine “secessione”, importato come procedura di lotta dell’antica Roma, veniva usato dai plebei per ottenere la parità con i patrizi). Nel 1898 ebbe luogo la prima mostra del gruppo e Klimt realizzò il manifesto. In esposizione artisti del calibro di Auguste Rodin, Arnold Bochlin, Puvis de Cervannes, Alfons Mucha e Fernand Khnopft. Contestualmente, uscì il primo numero della rivista “Ver Sacrum” (ne furono pubblicati 96 numeri fino al 1903). La seconda mostra avvene al Palazzo della Secessione, progettato da Joseph Maria Olbrich utilizzando elementi greco-egiziani. Famosa la frase collocata all’ingresso del padiglione in cui era scritto “A ogni tempo la sua Arte, all’arte la sua libertà”. Dipinge opere importanti: “Pallade Atena”, “Ritratto di Sonia Knips” (1898), “Nuda Veritas”, “Pesci d’argento” (1899).

Particolare influsso ebbero gli studi sull’arte bizantina effettuati a Ravenna per divenire in pochi anni il più grande rappresentante dell’”Art Nouveau”, sviluppando nelle arti applicate uno stile ricco e complesso, altamente simbolista (probabili confluenze e influssi con F. Khnopff e J. Toorop) e con forti connotazioni erotiche. Rimase lontano dalle tante correnti d’avanguardia dell’epoca ma in contatto con gli aspetti più innovativi dell’architettura. Sostenne diversi giovani artisti alla sua corte come seguaci: Oscar Kokoschka, esempio di raffinata eleganza nelle cromie ed Egon Schiele (1890 – 1918), prosecutore di un arte erotica graffiante, provocatoria, quasi pornografica, presentati al pubblico viennese rispettivamente al Kunstschau nel 1908 e 1909. Molte similitudini accostano Klimt a Schiele ma a ben guardare, il loro erotismo espressivo fu nettamente diverso. Mentre al primo si deve riconoscere un limite di decenza entro il quale riuscì comunque ad imporsi come iniziatore di una corrente “l’Art Noveau”, il secondo, nonostante ebbe a dimostrare capacità artistiche elevate, rimase molto realista ed ancorato eccessivamente allo snaturamento delle concezioni moraliste dell’epoca, concedendo una introspezione interna così espressiva da far gridare più volte allo “scandalo”. Le sue nudità, sempre alla ricerca di un contatto con se stesso, parlano della psicologia interna delle persone. Quindi, scelte diametralmente opposte e quantomeno diverse: Klimt utilizza l’espressione erotica sia per consacrare un immaginario sessuale mutevole ma sempre fervido, sia per sottolineare problematiche sociali mentre Egon, suo pupillo, per dialogare all’interno dell’uomo e, principalmente, per parlare di sé. Entrambi hanno rappresentato uno spaccato importante dell’arte dei primi del novecento ma mentre di Klimt se ne parla e si studia nelle scuole, di Schiele poche tracce ed a volte neanche menzionato. Eppure, dall’analisi artistica degli eventi ad oggi, si potrebbe dire che Klimt restò concettualmente più superficiale del suo allievo, pertanto, meno completo. Pensate: la vita di Klimt, schivo e riservato, è stata riportata all’attenzione mondiale attraverso un metodico lavoro della cinepresa di un suo caro amico, il cineasta cileno Raoul Ruiz, mentre per la parte prettamente artistica, lo si deve a John Malkovich.

Coerentemente con il suo ecletticismo, Klimt non attese sugli allori le conferme dei moti artistici che egli stesso aveva avviato. Infatti, a seguito della crisi secessionista viennese, Klimt volge le sue attenzioni ai “Laboratori Viennesi” – ovvero Wiener Werkstatte -, che gli dedicarono una intera sezione di 16 opere nel 1908.

I dipinti ed i disegni di Gustave, tutti allusivi e sensuali ma ricchi di raffinatezze e riferimenti colti furono eseguiti in piena “Belle Epoque” viennese all’epoca di Sigmund Freud, Gustav Mahler e Schonberg. Si notano molti riferimenti legati ad un simbolismo erotico rapportato con elementi figurativi geometrici raffiguranti rettangoli spigolosi e allungati per l’uomo e riferimenti concentrici e rotondi per la donna in un processo mentale di compenetrazione dei corpi che genera una astrazione di purezza ideale racchiusa in un alone mistico-erotico appena percepito come forza vitale nascente dall’unione dei due amanti. L’opera “Il bacio” (1907-1908), racchiude emblematicamente tutte queste peculiarità citate, proprie dello stile Liberty, pertanto dipinta con decorazioni a mosaico per gli interpreti tassativamente in color oro sullo sfondo.

Il bacio

Estremamente ricercato nella composizione ma altamente controverso nei contenuti. Di straordinaria bellezza sono le impostazioni delle due figure, lui in piedi che si piega per baciare lei, inginocchiata sul prato fiorito, che a sua volta partecipa emotivamente accettando il bacio. Faccia e braccia dei personaggi sono realistiche, il resto è volutamente a tinte piatte dai volumi geometrici accostati. Il volto di lei è totalmente racchiuso nelle mani di lui mentre poggia sensualmente l’esile braccio sul suo collo, entrambi vestiti da una lunga tunica misteriosa e magica allo stesso tempo, in cui si sviluppa il pensiero dell’interlocutore che si immedesima nell’animo dell’artista all’apice del piacere. I rettangoli posizionati verticalmente nella tunica di lui stanno a simboleggiare una metodologia fallica maschile mentre i cerchi e le rotondità rappresentano l’alternativa femminile. Questo capolavoro, virgulto di Gustave Klimt ed icona dell’Arte del XX secolo, è esposto al Osterreichische Galerie Belvedere di Vienna.

Indubbiamente elemento chiave di quasi tutti i lavori di Klimt è la donna intesa come rappresentazione femminile di un erotismo sottile. Di sovente le sue rappresentazioni sono date da prostitute con acconciature vaporose e con un trucco eccessivamente carico. Ovvero immortalata come “femme fatale”, tema molto di moda a quel tempo (emblematiche le illustrazioni di Audrey Breadsley per la “Salomè di Oscar Wilde. Questo scandalizzò non poco la società viennese la quale avrebbe accettato senza alcun problema idealizzazioni femminili, senza ricorrere ad un realismo esasperato e soprattutto senza corpi nudi. Nonostante tutto, i suoi pigmalioni e mercanti sono le famiglie benestanti ebree inserite tra la borghesia viennese che tanto amano l’arte d’avanguardia. E Klimt, nel periodo “d’oro” dedicò bellissimi ritratti alle mogli di alcuni industriali (es. Karl Wittgenstein e Knips per l’acciaio, l’imprenditore Warndorfer per il tessile).

Forte il sospetto che in lui vi fosse una sorta di “Jekill & Mr. Hyde”: il primo per l’ossessione maniacale verso quell’erotismo ben marcato e ossessivamente voluto. Il secondo, per la raffinatezza e l’eleganza dei suoi dipinti, ricchi di elementi colti al loro interno. Emblematiche le scelte di rappresentare allusivamente l’elemento fallico portante servendosi di simboli geometrici diversi per entrambi. L’uso di decorare ad oro e mosaico il tutto, non è soltanto perché adorasse i mosaici di Ravenna ma è probabilmente la comunicazione concettuale di elevare alla massima preziosità l’elemento “amore”: di conseguenza, la donna viene posta sul piedistallo come unica depositaria del piacere estremo riconoscendole un peso specifico mentale di rilievo, pertanto perno insostituibile dei più intimi e morbosi desideri. Questo in barba al moralismo di Schnitzler e Hofmannsthal già ampiamente diffuso ed in risposta all’erotismo di Freud. Il tutto in un periodo storico sociale dove l’elemento femminile é considerato mero strumento di riproduzione. Ecco perché fu acerrimo oppositore della tesi esposta in un libro di un giovane ebreo, Otto Weinger, il quale speculava apertamente sull’inferiorità femminile analizzandola sotto un profilo pseudo filosofico.

E con molta probabilità, attraverso una personale interpretazione della donna, fu proprio Klimt che innescò quell’immenso movimento di emancipazione femminile che prese via proprio verso la fine della sua intensa vita artistica che dedicò unicamente all’esaltazione della bellezza femminile e della insostituibile funzione vitale.

 

 

M° Internazionale d’Arte

Mario Salvo

 

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