Su richiesta dell’ultimo dei miei tre lettori (i primi due si erano interessati, rispettivamente, all’Assolutamente e al Piuttostochetismo), affronto ora il tema del “te”. Non sarà sfuggito, anche ai più distratti, che nel titolo io abbia usato la “e” accentata in modo acuto. Un piccolo artificio per giocare sull’ambivalenza della parola “te” che, quando viene pronunciata con l’accento acuto, è un pronome personale, viceversa, con l’accento grave, si riferisce alla tipica bevanda inglese.
Purtroppo, mentre la bevanda segue sempre il suo corso gastrointestinale, il pronome subisce talora delle tortuosità grammaticali che inducono a invitare l’oratore a recarsi direttamente in luoghi lontani…
Il pronome “te”, infatti, viene spesso usato, nei più disparati contesti, come soggetto della frase, mentre la corretta regola grammaticale gli offre addirittura ogni connotazione possibile, tranne quella. “Te che fai stasera?” non è un latente invito a organizzare una merenda nel tardo pomeriggio a base della suddetta bevanda accompagnata da burrosi biscottini da inzupparvi. “Tu che fai stasera?” è invece una buona domanda, prologo di un interessante invito che ci potrebbe condurre al cinema, a teatro oppure a un’ottima cena. Per sviluppare meglio questo concetto, ho cercato di elaborare cinque motivazioni che ci aiutino nella corretta collocazione del pronome.
Prima motivazione. Per ovvi motivi di affezione alla lingua italiana, non la si può vituperare, calpestare e oltraggiare proprio nel momento di maggior bisogno, cioè nel momento in cui entriamo in relazione con l’altro e necessitiamo di un codice comune per capirci.
Seconda motivazione. Le nostre origini filologiche ci rimandano alla lingua latina che tanto cura la distinzione formale tra soggetto e complemento. Del resto, se Cesare, riconoscendo il figlio Bruto tra i suoi assassini, avesse detto “Te quoque, Brute, fili mi” anziché “Tu quoque, Brute, fili mi”, molto probabilmente l’uccisione sarebbe stata preceduta da una lunga e umiliante risata… Il grande condottiero, infatti, scriveva bene e una macchia sì indelebile ne avrebbe condizionato anche le sue fortune come autore per future versioni liceali…
Terza motivazione. Anche alla luce del punto precedente, nel momento in cui il “te” viene pronunciato a inizio fase, implica automaticamente un tono accusatorio, persecutorio o investigativo a carico dell’interlocutore. Immaginate questa situazione: un marito torna tardi a casa e la moglie lo aspetta, sveglia, con il volto accigliato. Forse che un “te”, proferito dalla consorte irritata, potrebbe essere mai seguito da una parola dolce…? Meditiamo…
Quarta motivazione. Il “te”, diffondendosi in modo pandemico, subisce modifiche a livello territoriale che ne esaltano la mostruosità dialettica. Si trasforma, infatti, lì in leziose onomatopee da sussurrare ai neonati e là in inviti cibari ai quadrupedi del caso, lì in gesti di ombrellistica memoria inglese e là in assillanti richieste di attenzione, spesso accompagnate da toccamenti di braccio, rivolte all’interlocutore…
Quinta motivazione. Se Umberto Tozzi, il famoso cantante piemontese, avesse intitolato il suo premiato disco “Te” (anziché “Tu”), pensate voi che ne avrebbe venduto 8 milioni di copie in tutto il mondo? Al massimo avrebbe potuto riscuotere successo come cantante di strada al mercato domenicale di Porta Portese a Roma, ottenendo come cachet dei tozzi di pane e una grammatica italiana…
Ps. Non ho le competenze e né i titoli per ergermi a paladino della lingua italiana ma, davanti alle recenti stimolazioni politiche volte a favorire il nazionalismo e il sovranismo, perché non cominciare dal recupero del mezzo culturalmente più immediato per creare una società italiana veramente civile?
Ottime osservazioni condivido appieno ogni singola parola la cultura italiana e il recupero della lingua è alla base della libertà intellettuale e morale . Complimenti caro Roberto