E’ presente, nella più totale confusione del centro storico di Roma, una piccola oasi pedonale, Piazza di San Lorenzo in Lucina, così chiamata per l’esistenza dell’omonima basilica ubicata sulla sinistra per chi giunge da via del Corso.
La chiesa di San Lorenzo in Lucina, insigne edificio che ha origini antichissime, viene ricordato come titulus(parrocchia) nel 366. In virtù degli scavi realizzati negli anni 1982-1987, si è riscontrato che, circa 4 metri al di sotto del centro della navata, vi sono ambienti della metà del I secolo d.C., quasi sicuramente adibiti ad abitazioni. Al di sopra di essi, si estende, per l’intera superficie della chiesa e dell’antico palazzo del cardinale titolare, una vasta struttura degli inizi del III secolo d.C.: la tesi più certa è che riguardi un’insula con botteghe al piano terra e abitazioni ai piani superiori.
Il toponimo in Lucina, deriverebbe dall’esistenza di questo grande edificio romano: secondo tale ipotesi, Lucina sarebbe stata la figura femminile che avrebbe offerto alla comunità cristiana una sua proprietà. Il luogo, infatti, in età paleocristiana era dedicato alla dea Giunone Lucina, dea invocata durante il parto: Lucina, cioè colei che fa vedere la luce al neonato. Per tale ragione, le donne dell’antica Roma attingevano presso il tempio l’acqua “miracolosa” per curarsi e partorire figli: questa tradizione è attestata dalla scoperta, durante gli scavi sotto la Sala Capitolare, di un pozzo e di uno splendido mosaico intatto del II secolo, con gradini di marmo bianco e pareti affrescate, che confermano l’ipotesi.
La trasformazione della ecclesia domestica in ambiente di pubblico culto, si ha con Sisto III, 432-440, che erige una basilica a tre navate, intitolata a San Lorenzo, primo dei sette diaconi romani negli anni di Sisto III, 432-440, martirizzato sotto l’imperatore Valeriano. La struttura aveva un battistero, i cui resti sono stati ritrovati sotto l’odierna sala dei Canonici, già cappella di san Giovanni Battista: dal VI secolo, la chiesa diventa “stazionale”, in cui il pontefice andava a celebrare i riti sacri nei giorni festivi, in alternanza al Laterano.
Abbiamo conoscenza di restauri a partire dal VII secolo, il più cospicuo dei quali, dopo il distruttivo sacco dei normanni di Roberto il Guiscardo del 1084, porta all’integrazione del campanile e del portico, ancora oggi presenti.
Queste opere architettoniche, cominciate da Pasquale II, 1099-1118, e proseguite dall’antipapa Anacleto II, 1130-1138, conducono alla riconsacrazione della basilica del 1196: deve risalire a quel periodo, e presumibilmente al secondo quarto del XII secolo, la decorazione dell’abside con Cristo tra i Santi Pietro, Paolo, Lorenzo, Stefano, Lucina e Sisto III, poi distrutta, ma documentata da un disegno della metà del Seicento, ora a Windsor.
Del 1281-1287, è invece la fondazione, sul lato sinistro della chiesa, del palazzo dimora del cardinale titolare, poi interamente modificato. Attraverso l’intenso sviluppo urbano dell’area, alla fine del Cinquecento, la chiesa diventò una delle parrocchie romane più popolose: “acciò fosse ben’offitiata” Paolo V, nel 1606, la consegna ad un ordine di recente istituzione, i Chierici Regolari Minori di San Francesco Caracciolo o Caracciolini, fondato a Napoli nel 1588.
I padri, attuano nell’arco di pochi anni una totale trasformazione del complesso, mutando le due navate laterali in cappelle. Fra gli anni Venti e Quaranta del Seicento, vengono ultimate quelle in parte già esistenti del lato sinistro, mentre quelle del lato destro sono create dalla metà del secolo. La navata centrale è invece trasformata, intorno al 1650, grazie al napoletano Raffaele Aversa, determinato Padre Generale dei
Chierici Regolari, che commissiona l’esecuzione a Cosimo Fanzago, rilevante architetto, anch’egli napoletano.
Dello scenografico allestimento decorativo, compiuto fra il 1650 e il 1652, è rimasto sfortunatamente molto poco: andò perso il prezioso soffitto ligneo, e modificata la sistemazione presbiteriale. Nel Seicento riepilogando, la basilica ebbe una radicale ristrutturazione, mediante la semplificazione delle tre navate ad una sola, le navate laterali furono appunto trasformate in cappelle, e fu rialzato il pavimento per eludere le alluvioni.
Su progetto di Carlo Rainaldi, nel 1663, comincia la trasformazione del palazzo Acquaviva in convento dei Caracciolini, sul lato destro della chiesa, poi seguita tramite posteriori operazioni di Francesco Carlo Bizzaccheri, 1690-1700, nell’ala su piazza del Parlamento e via San Lorenzo in Lucina. Qualche anno dopo, sempre Carlo Rainaldi, effettua una sontuosa sistemazione dell’ambiente presbiteriale. Al primi anni del Settecento si ha la nuova cappella presbiteriale.
Nel 1807, durante la canonizzazione del fondatore dei Chierici, oltre alle appariscenti ornamentazioni, i Caracciolini, affidarono a Francesco Manno la realizzazione di due grandi tele per la controfacciata e dieci tondi monocromi a tempera, con Storie del santo, oggi nella navata centrale.
Nel 1857-1858, all’architetto Andrea Busiri Vici, sono commissionati ingenti interventi di restauro che cancellano l’immagine barocca sino allora dominante: un altro soffitto sostituisce quello di Fanzago, due nuove cappelle sono aggiunte ai lati del presbiterio, il pittore Roberto Bompiani crea la tela del nuovo soffitto, le imponenti figure dell’area superiore della navata e la decorazione della superficie presbiteriale.
Ad un primo generale ripristino nel 1918-1919 segue, nel 1927, il restauro del portico nel suo aspetto medioevale. Nel 1982-1987 e nel 1993, i lavori realizzati dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici , hanno determinato, in virtù della migliorata circolazione dell’aria, un importante giovamento alla struttura, diminuendo moltissimo l’umidità. Nel 1995, anche il prospetto del convento rainaldesco è stato opportunamente ripristinato.
La facciata della basilica è caratterizzata da un grande portico, decorato da sei colonne in granito, con capitelli e basi di spoglio, sormontate da un architrave realizzata da un enorme colonna antica scanalata. Alla sua destra, in posizione arretrata, si erge un campanile romanico a cinque ordini. Nella parte centrale della facciata, sotto il timpano triangolare, sono presenti al centro il rosone, e ai suoi lati, due finestre rettangolari barocche. La chiesa, a navata unica ha quattro cappelle per lato.
La prima cappella a destra, è dedicata a San Lorenzo, la Pala d’altare, ritraente Lucina che presenta la pianta della chiesa a San Lorenzo, ha un’iscrizione come dimostrazione dell’opera di Sigismondo Rosa, effettuata nel 1716. I laterali con scene della vita di San Lorenzo, a sinistra, la Presentazione dei poveri al prefetto di Roma, a destra, il Martirio del santo, sono opera di Giuseppe Creti. Sotto l’altare vi è la graticola sulla quale San Lorenzo avrebbe subito il martirio.
La seconda cappella, elargita al Marchese Francesco Nunez Sanchez nel 1651, fu iniziata su progetto di Cosimo Fanzago e continuata, dal 1652 e sino al 1655, su disegno di Carlo Rainaldi. La pala d’altare, con la Gloria di Sant’Antonio di Padova, era del celebre pittore napoletano Massimo Stanzione; nel 1918 fu sostituita dal dipinto di Mario Aironi raffigurante il Sacro Cuore di Gesù, cui la cappella fu intitolata.
Sul pilastro tra la II e la III cappella vi è il monumento a Nicolas Poussin, famoso pittore normanno, voluto nell’Ottocento da Renè Chateaubriand, disegnato dall’architetto Louis Vaudoyer ed eseguito fra il 1829 e il
1832 dagli scultori Paul Lemoyne, autore del busto e Louis Desprez, creatore del bassorilievo che riproduce il Ritrovamento della tomba di Saffo, famoso dipinto del Poussin.
Tentiamo di decifrare i commoventi distici in latino che recitano:
“Trattieni le lacrime; vive in questa tomba il Poussin, che sembrava non dovesse morir mai. Eppure egli ora tace; ma se vuoi sentirlo parlare nei suoi quadri egli è vivo e dai suoi quadri egli parla”.
Verità evangelica.
Queste belle parole sono del 1830 di Francois Renè de Chateaubriand, scrittore e diplomatico francese.
La terza cappella è intitolata a San Francesco Caracciolo, e la pala d’altare di Ludovico Stern, rappresenta il Santo che adora l’Eucarestia; i pennacchi della volta con Scene della vita del santo sono di Teodoro Matteini. Sotto l’altare un’urna serba la reliquia di Sant’Alessandro, pontefice e martire.
La cappella seguente, dedicata all’Annunziata, fu nel 1661 concessa al ricco medico portoghese Gabriele Fonseca, che dette incarico per la sua progettazione all’artista dell’epoca più insigne: Gian Lorenzo Bernini. Immediatamente, siamo affascinati da un busto che, in fondo alla parete sinistra, ha come elemento distintivo di protendersi dalla nicchia, in cui è situato, nel drammatico gesto di percuotersi il petto mentre l’altra mano stringe il rosario. Rappresenta il busto infatti di Gabriele Fonseca, composizione appunto di Bernini.
La risposta viene dalle parole di Tomaso Montanari.
“Tra il 1660 e il 1664 la bottega di Bernini realizzò in San Lorenzo in Lucina una cappella funebre per Gabriele Fonseca, un anziano portoghese che insegnava medicina alla Sapienza ed era stato il medico personale di papa Innocenzo X. …… Ciò che non era consueto, fu la realizzazione tutta di mano di Bernini della mezza figura del committente in preghiera: si tratta di uno degli ultimi ritratti in marmo realizzati dall’artista, che a quell’età era restio a sottoporsi a simili fatiche. Non sappiamo se Gian Lorenzo e Gabriele Fonseca fossero amici, o se il compenso offerto dal facoltosissimo medico fu tale da persuadere l’artista”.
Nella crociera destra, sulla parete che comunica con la cappella dell’Annunziata, vi è il busto del cardinale Giovanni Antonio Da Via, di Agostino Corsini, con la lapide, il ritratto è quello che rimane dell’importante monumento eretto su disegno di Ferdinando Fuga.
La zona presbiteriale si impone attraverso il maestoso altare prodotto da Carlo Rainaldi, esplicitamente in relazione al Crocifisso, lavoro splendido di Guido Reni, databile al 1637-1638, donato alla chiesa nel 1669 per volontà testamentaria della marchesa Cristina Duglioli Angelelli.
Dietro l’Altare Maggiore, si può vedere la fronte di un altare antecedente, determinato da una lastra marmorea cosmatesca, del XII secolo, contemporanea alla cattedra papale degli anni di Pasquale II, attualmente nascosta dietro una porta del Seicentesco coro ligneo.
La cappella a sinistra del presbiterio è come quella destra, prodotto degli interventi ottocenteschi, ed è dedicata al Cuore Immacolato di Maria.
Simon Vouet realizzò due laterali con le storie del santo: (La Vestizione a destra, e la Tentazione a sinistra), e insieme agli aiuti, gli affreschi della volta che ha al centro l’Eterno, in quattro tondi angeli musicanti, e in quattro riquadri episodi della vita di Maria (Nascita, Presentazione al tempio, Annunciazione e Assunzione).
Il totale ciclo pittorico vouettiano ha una rilevanza eccezionale per la storia dell’arte romana del primo Seicento, poiché rappresenta una delle più ambiziose reinterpretazioni della dottrina cavaraggesca, tradotta mediante una sintesi completamente personale.
La costruzione della cappella successiva, eretta nel 1621, è caratterizzata dalla pala d’altare del veronese Alessandro Turchi, chiamato l’Orbetto, raffigurante la Sacra Famiglia, ancor oggi presente.
La cappella riservata a San Carlo Borromeo, è edificata poco dopo il 1615 dai padri, che commissionano la pala d’altare ritraente San Carlo che porta in processione il santo chiodo della croce a Carlo Saraceni, celebre pittore veneziano, discepolo di Caravaggio.
La cappella del fonte battesimale è eretta nel 1721 da Giuseppe Sardi, particolare figura di capomastro e progettista, forse su disegno di Francesco De Sanctis, in quel periodo architetto dei padri; bisogna ammettere che il risultato è una notevole apertura allo stile rocaille europeo, iniziando da una attenta reinterpretazione del barocco romano.
Molte campagne di scavo sono state attuate sotto la basilica, fra il 1982 e il 2000.
Le indagini hanno fatto riemergere: sotto un ambiente esterno alla navata attuale, denominato oggi “Sala dei Canonici”, i resti della vasca circolare di un battistero paleocristiano, in uno spazio che includeva anche una vasca quadrangolare più piccola, la cui destinazione non è manifesta. E ancora, i muri di sostegno che poggiavano sul pavimento di una struttura del II secolo, tramutata verso il IV secolo in un’insula, si suppone che, come già citato, qui si ergesse la proprietà della matrona Lucina, che mise a disposizione della comunità cristiana il luogo di culto, da cui il titulus Lucinae.