La Corte Penale Internazionale condanna Netanyahu e Gallant ma questi difficilmente andranno in carcere

La Corte Penale Internazionale ieri ha emesso un mandato di cattura internazionale per il Primo Ministro israeliano Benyamin Netanyahu e il suo ex Ministro della Difesa Yoav Gallant. L’immediata reazione israeliana è stata, prevedibilmente, la stessa che ha utilizzato per ogni forma di dissenso esterno nei suoi confronti: tacciare il proprio avversario di antisemitismo. L’accusa del leader del Likud, come di consueto in questo periodo, non regge perchè la sentenza condanna anche Mohamed Deif, ovvero la più alta carica militare di Hamas ancora in vita.

I mandati d’arresto sono secretati ma i giudici hanno reso pubblici i capi d’accusa: per i due imputati israeliani si tratta di crimini di guerra di «starvation», ovvero l’affamare la popolazione palestinese come strumento per vincere la guerra, e dei crimini contro l’umanità di attacchi deliberati contro la popolazione civile, di atti inumani e di persecuzione. Deif, invece, è colpevole del crimine contro l’umanità di sterminio e dei crimini di guerra di presa di ostaggi, tortura, stupro, violenza sessuale, trattamento crudele e oltraggio alla dignità personale.

Il verdetto ha suscitato reazioni contrastanti fra il mondo politico e quello dell’attivismo nei confronti della Palestina. Da un lato sono molteplici le dimostrazioni di vicinanza nei confronti del capo di stato israeliano, con il presidente uscente USA Biden in prima fila ma non solo lui: il presidente argentino Javier Milei si è detto in disaccordo con la decisione e allo stesso modo si sono espressi anche il primo ministro magiaro Viktor Orban e il nostro Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini che ha affermato che Netanyahu «sarebbe benvenuto in Italia».

Questo fatto renderebbe il nostro paese perseguibile dalla stessa Corte Penale Internazionale visto che l’Italia ha sottoscritto e ratificato il suo impegno scritto nello Statuto di Roma nei confronti della corte con sede a L’Aia. Infatti, il Ministro della Difesa Guido Crosetto (di certo non il primo amico di Hamas) ha dichiarato che, nonostante sia in disaccordo con tale pronunciamento, questo andrebbe eseguito in caso Netanyahu mettesse piede su suolo italiano. Basterebbe anzi che quel suolo sia europeo: l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea Josep Borrell ha ribadito come tutti gli stati che hanno riconosciuto la Corte devono attenersi alla decisione e fra questi figurano tutti i paesi dell’Unione Europea. Stati Uniti, Russia, Cina e India, d’altro canto, figurano fra i paesi che non hanno sottoscritto lo Statuto o ne hanno ritirato la firma, il che li rende porti sicuri da questo punto di vista per i condannati.

La paura di chi ha popolato le strade per manifesare il proprio sostegno alla causa palestinese è che questa sentenza non trovi come seguito alcuna azione effettiva. C’è infatti la clausola, impugnabile dagli stati, d’immunità nei confonti dei capi di stato ancora in carica. Ci sono più precedenti a riguardo: il capo di stato sudanese Omar al-Bashir continuò a viaggiare in molti paesi africani che avevano ratificato il trattato steso nel 1998 ed entrato in vigore quattro anni dopo. Anche Vladimir Putin ha ricevuto una condanna simile, ma quando è andato in Mongolia non è stato arrestato nonostante il governo di Ulan Bator abbia ratificato il proprio impegno nei confonti dello Statuto. Riguardo ai crimini che si stanno succedendo a Gaza e in Cisgiordania si tratta di un segnale di vita da parte della comunità internazionale, la cui forza però è in forte dubbio. Infatti, a livello storico di 46 mandati di cattura a oggi solamente 21 sono stati effettivamente eseguiti.

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