In una società in cui i social media occupano una parte consistente del tempo e dell’attenzione delle persone, esaminiamo le caratteristiche intrinseche e peculiari dei social e valutiamo in che modo essi possano essere impiegati per comunicare in una situazione di crisi aziendale. Vediamo anche come le criticità possano generarsi proprio sui social e dai social (con o senza fondamento) e quindi come monitorare e governare questo fenomeno. Crisis Communication, ma anche Crisis Management e Diagnosis ai tempi dei social media!
1.1 – Come funzionano i social media e in che modo influenzano la comunicazione
La presenza dei social media ha una grande rilevanza per la Crisis Communication. Questo perché i social media sono una vastità eterogenea di canali, formati, destinatari, diffusione etc. Parliamo di una molteplicità di mezzi, di diverse possibilità di controllo dei messaggi da parte degli utilizzatori, di scambi in tempo reale, di “offerta di informazioni” indirizzata direttamente a un pubblico generale senza che questi debba accedere volontariamente all’informazione o alla fonte. E’ evidente che abbiamo fatto un grosso salto in avanti rispetto ai tradizionali comunicati stampa e alle conferenze! E’ venuta meno la trasmissione delle informazioni filtrate da un soggetto terzo (es. giornale, giornalista, TV, radio etc). E sono cambiati anche i “produttori di informazioni”. Anche qui, è venuto meno l’intervento “terzo”: chiunque può diffondere informazioni, non solo un/una giornalista che dà la notizia, ma anche il singolo utente che può improvvisarsi testimone di un evento, persona informata, maître-à-pense, curioso etc. L’informazione è ormai materia di scambio peer-to-peer, cioè, orizzontale.
Sicché, la diffusione delle notizie sui social avviene su iniziativa di una parte (singola o istituzione) ed è a rapida propagazione. Spesso, l’origine della notizia va persa e si trasmette per condivisione, senza che la veridicità di essa venga prima accertata. Le informazioni, vere o false, finiscono così per confondere chi ne viene a conoscenza, arrecando preoccupanti danni sia alla reputazione del soggetto di cui si parla sia alla tranquillità di tutte le persone potenzialmente interessate dai contenuti della notizia.
*Le opinioni espresse nel presente articolo sono quelle dell’autrice e non impegnano in alcun modo l’Istituto di appartenenza
E’ un po’ come una marea che si propaga e che rischia di travolgere, con la sua massa e la velocità, tutto quello che incontra sul proprio cammino. Una massa che si compone di tanti rivoli, tanti quanto sono i canali sui quali si diffonde e tanti quanti sono coloro che condividono la notizia amplificandone la portata.
L’obiettivo di questo articolo è di mettere in evidenza le caratteristiche dei social media che possono fungere da “acceleratori” o da “freno” alla propagazione delle notizie, positive o negative. Tenendo conto della complessità dei mezzi. In modo cioè che possano produrre risultati utili in tema di Crisis Communication. Per questo, il loro impiego va integrato nei piani di comunicazione in tempo di crisi: per utilizzarne in modo virtuoso i vantaggi e, allo stesso tempo, per arginarne le caratteristiche che li rendono potenzialmente pericolosi.
Perché?
Perché oggi, dei social media, semplicemente non se ne può fare a meno.
I social media sono…..riprendendo la metafora marittima …una marea! Ognuno ha una specifica platea e quindi dà la possibilità di raggiungere pubblici diversi (per età, istruzione, professione, genere etc). Ne consegue che, per parlare a un pubblico specifico, utilizzo in primo luogo il social media che più utilizza la controparte (es. Twitter è utilizzato dal 59% dei giornalisti, Facebook dal 71% degli adulti).
I social media sono un mezzo “bidirezionale” ossia non si limitano a trasmettere un’informazione (come fa, per esempio, un comunicato stampa), ma si prestano a generare un confronto di opinioni, a manifestare apprezzamento, dissenso, suggerimenti, richieste, integrazioni etc. Si tratta di uno strumento in cui le parti co-costruiscono il contenuto. Lo avvertono, pertanto, come più vicino a sé e come suscettibile di avere rilevanza nella propria vita e quindi desiderano avere voce in capitolo. Parlare dei social significa, inevitabilmente, lambire un argomento al quale accenniamo marginalmente per completezza, ma che merita un altro tipo e luogo di approfondimento, ossia, quello della confusione fra mondo reale e mondo virtuale: lo schermo fra i due mondi può diventare talmente sottile da perdere consistenza e distinzione, finendo per confondere notizie certificate, fake news, opinioni, percezioni etc. Questo perché il mondo virtuale finisce per dare maggiore enfasi al sensazionalismo e allo scontento delle persone, presentandosi come un’arena dove far approdare timori e umori che altrimenti rimarrebbero confinati alla ristretta cerchia dei conoscenti e non riceverebbero l’attenzione di un pubblico potenzialmente estesissimo e anonimo.
Ogni interazione sui social, infatti, è pubblica. Nel senso che arriva su uno schermo che leggono tutti/e e fa appello a una platea indefinita.
Soprattutto fa appello alle emozioni di chi legge e (volendo) può rispondere.
E’ il carattere “aperto al pubblico” che deve essere sempre tenuto a mente. Nel bene e nel male.
Quindi, ogni interazione ha in sé la tendenza ad amplificarsi. Questo ha il vantaggio di rispondere indirettamente ai medesimi quesiti che un’altra persona può avere, dirimendo eventuali analoghi dubbi. Ha tuttavia anche l’effetto di togliere riservatezza alle singole situazioni o di incentivare l’intervento da parte di altri/e nella discussione. Immaginiamo un reclamo contro il comportamento di un intermediario bancario: con una segnalazione scritta l’utente avvia un procedimento che resta confinato al rapporto bilaterale con l’ente preposto (che passa a trattare la questione e a predisporre una risposta che verrà indirizzata al solo utente), mentre una segnalazione su un social si svolge davanti a tutti/e e, fondato o meno, chiama in causa e mette in discussione la reputazione della banca coinvolta. Ecco quindi un’altra caratteristica dei social media: una persona o un’istituzione, che segua o meno gli scambi comunicativi che avvengono sui social, può vedere la propria immagine o reputazione valorizzata, o più spesso stigmatizzata, senza che possa farci niente. Se non a posteriori. Il danno che ne riceve è evidente ed è indipendente dalla fondatezza o meno delle critiche che le vengono rivolte. Per prevenire i costi di un danno d’immagine o per contenerne gli effetti è dunque necessario avere un sistema di monitoraggio dei social, attraverso il quale seguire l’andamento di quante volte il soggetto viene menzionato nelle conversazioni e l’evoluzione del sentiment del pubblico. Tenendo conto del fatto che le semplici “citazioni” del nome sono piuttosto aleatorie e devono quindi essere vagliate, interpretate, e che i riferimenti possono appartenere a soggetti diversi (es. nel corso del tempo) e con “peso” diverso (es. influencers, opinion leaders o persone comuni). E, anche qui, si apre un altro capitolo d’esame: l’effetto che la presenza sui social genera sul comportamento e sulla stessa identità percepita dal soggetto che vi opera. Senza entrare nel dettaglio di un’argomentazione che interessa studi di psicologia e di sociologia, va notato che l’interazione attraverso i media è cosa diversa dallo scrivere una lettera al direttore di un giornale o da un esposto a una banca. L’agire sui social tende a costruire un’identità “altra” rispetto a quella della vita reale, a rilassare i freni inibitori, a polarizzare le opinioni, a mettere in atto comportamenti più aggressivi, a selezionare informazioni (e solo quelle!) che sono compatibili con le informazioni che sono già in possesso di chi legge, a facilitare il formarsi di gruppi di lettori affini per interessi o posizioni, a far emergere persone capaci di catalizzare intorno a sé e di modellare il pensiero di altri (influencer e opinion leaders). Possono crearsi movimenti spontanei (o meno) capaci di amplificare determinati messaggi (veri o falsi) e diffonderli sui canali social, mobilitando e generando una corrente di opinioni polarizzate e spesso ripetitiva dello stesso messaggio (es. “copia-e-incolla”). Sui social, inoltre, vi sono molti provocatori (troll) e falsi profili. Questo comportamento può annullare o indebolire le comunicazioni sui social messe in opera da parte della banca chiamata in causa, semplicemente affievolendone la voce o sommergendola con opinioni e messaggi contrari.
La “crisi”, in sostanza, può seguire strade diverse. Può sorgere: al di fuori dei social media ed essere da questa veicolata come notizia e seguita da aggiornamenti; al di fuori dei social ed essere amplificata e distorta attraverso i social; all’interno dei social media aggravando una situazione di iniziale fragilità; all’interno dei social media senza che vi sia un fondamento reale.
E’ necessaria pertanto una pregressa costruzione di un’immagine di credibilità e di fiducia verso un particolare istituto per riuscire (faticosamente) ad arginare o a tenere sotto controllo la diffusione di voci inconsistenti o tendenziose.
Ciò che alla fine conta non è la “verità” delle cose, quanto la percezione della situazione che ne trae il pubblico.
Il che impone di introdurre un altro argomento, benché solo con un breve accenno, che è quello a una “educazione all’uso dei social media”, in aggiunta alla netiquette. Ossia, alla capacità non solo di agire in modo educato e corretto sui social, ma anche di saper entrare nel merito di quello che si legge, di valutare bene il contenuto/fonte di quello che scorre, di procedere al confronto con altre fonti e alla verifica di ciò che circola.
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– Cosa deve fare una banca in caso di crisi?
Per la banca, tenendo conto delle caratteristiche intrinseche della comunicazione via social media, significa preparare un piano di comunicazione in caso di crisi che tenga conto di questi aspetti e sia in grado di fronteggiare un’emergenza in modo da arginarne le derive allarmistiche e le infondatezze.
Ci sono almeno 3 circostanze, o “allarmi”, che ci segnalano che sta per verificarsi una crisi sui social media e che dovremmo attivarci per governare (Baer, 2017): un’asimmetria informativa (per es. apprendiamo dai social media che la nostra banca è al centro di una critica, accusa, segnalazione etc di cui non sapevamo niente); un evento eccezionale (per es. si parla improvvisamente di una questione riguardante la banca e che prima non era mai stata posta); una notizia che può avere un effetto materiale immediato sulla banca (per es. una rapina o altra situazione grave).
Vediamo quali sono i criteri di cui tenere conto e i possibili step da intraprendere per costruire un vademecum delle cose da fare (Bernstein, 2016).
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Gli aspetti organizzativi, antecedenti alla situazione di crisi.
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Il primo passo è quello di predisporre un Crisis Communication Plan. Il momento peggiore in cui decidere come affrontare una crisi, sui social media o meno, è quello in cui la crisi è già in atto! Pertanto, è necessario predisporre preventivamente un documento in cui siano indicati i nominativi delle persone incaricate, i compiti da svolgere, le linee d’azione da seguire, i canali informativi, i comportamenti da tenere in caso di crisi. Tale piano deve essere definito prima del verificarsi di una crisi e costituisce una guida su “cosa fare in caso di…”. Contiene la definizione e la descrizione dei compiti e include il: Crisis Communication Plan, il Crisis Communication Coordinator, il Crisis Communication Team e il Portavoce.
Occorre inoltre tenere aggiornato il Piano a seconda degli interventi organizzativi e l’avvicendarsi delle persone.
In più, il Crisis Communication Plan deve essere coerente e va ragionato insieme ad altre funzioni (es. Business Continuity, Coordinatore delle emergenze etc).
Esso va condiviso con le diverse funzioni e con il personale.
Individua, oltre agli stakeholder da informare, anche i canali da adoperare. Meglio ancora se distingue, per ciascun stakeholder, il canale o i canali da impiegare.
Dovrebbe anche stabilire cosa costituisce una “situazione di crisi”, le soglie di crisi e i corrispondenti criteri di intervento.
Il Crisis Communication Plan dovrebbe comprendere anche i social media o, comunque, la gestione delle crisi sui social dovrebbe trovare posto in un documento ad hoc che tenga conto di alcuni aspetti specifici (Argenti, 2006):
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criteri per identificare: la tipologia, la dimensione della crisi, il tipo di risposta da dare
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stabilire quando far scattare l’allarme
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informazioni di contatto e ruoli e responsabilità dei singoli incaricati
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predisporre dei messaggi a carattere generale già pronti in caso di crisi (basati sui valori della propria azienda e su quello che si vuole trasmettere al pubblico)
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un piano di comunicazione per gli aggiornamenti interni
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avere sottomano la copia della policy aziendale sui social media e le linee-guida specifiche per ciascun canale social.
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E’ utile anche effettuare la simulazione di un possibile scenario di crisi per valutare la funzionalità dei criteri individuati, collaudare i ruoli, verificare la tempistica, apportare eventuali correttivi.
Occorre inoltre nominare un portavoce e un responsabile della comunicazione. Il/la portavoce dovrebbe essere una figura rappresentativa dell’istituto, il suo “volto pubblico”; mentre il Crisis Communication Coordinator è colui/ei che mantiene i contatti con la stampa, organizza i briefing, coordina l’attività di comunicazione interna ed esterna della banca. Occorre inoltre designare uno o più incaricati del Crisis Communication Team che collaborino e tengano aggiornato il/la portavoce e informino la stampa. Questo perché è necessario segnalare che la situazione è sotto controllo e che vengono fatti tutti gli sforzi per fronteggiare la situazione e le domande che sorgono. E’ utile anche per rassicurare i diversi stakeholders.
E’ necessario un training del/della portavoce e del coordinatore/della coordinatrice. La comunicazione durante una crisi è diversa dal parlare in pubblico durante una conferenza: in quest’ultimo caso, si tratta di fare una campagna di promozione del proprio istituto e delle funzioni che svolge (o del prodotto innovativo o di un compito recente etc); mentre nel secondo caso si tratta di salvaguardare la propria istituzione durante un momento critico della sua vita e in circostanze non sempre controllabili,
Un altro passo importante è quello di definire i compiti del Crisis Communication Team. Il Team ha il compito di comunicare con i diversi “pubblici” su ciò che sta accadendo e su cosa si sta facendo. Ogni componete utilizzerà le notizie concordate da diffondere e i modelli di comunicazione stabiliti per queste circostanze. Il primo gruppo di persone che deve essere informato in caso di crisi è il pubblico interno, ossia coloro che sono coinvolti direttamente nella situazione. Si possono utilizzare canali diversi per diversi tipi di pubblico. Può essere utile che ciascun componente del Team sia incaricato della comunicazione al gruppo di stakeholders che gli è stato assegnato. A questo proposito, può essere stilata una lista di “chi fa cosa e attraverso quali canali” per chiarire i compiti di ciascuno.
Considerato l’elevato numero delle persone che contatteranno la banca in caso di crisi, occorre incrementare il numero degli addetti alla comunicazione. In situazioni di crisi, infatti, è bene assicurare la presenza di molte persone incaricate di dare informazioni relativamente alla situazione (es. rispondere alle domande utilizzando i testi scritti elaborati dal Crisis Communication Team, che includano i messaggi-chiave e le evidenze messe a disposizione dal Team stesso). Durante (ma anche prima della crisi!) questi addetti hanno il compito di monitorare e di prendere nota dei messaggi pervenuti dal pubblico generale e dai media. Questo perché è importante essere sempre raggiungibili da chiunque chieda notizia e restituire loro un’informazione aggiornata (Smith, 2016). Se infatti i giornalisti e gli altri media non sono in possesso dei messaggi che vogliamo mettere in circolazione, si tratta di una perdita di opportunità per noi.
Può essere utile, a questo proposito, aprire un media center, cioè, un punto di contatto per i giornalisti, i blogger e gli altri media, per dare informazioni aggiornate, dati, novità.
Naturalmente, è necessario stabilire come e cosa comunicare al pubblico interno. Il/la responsabile della comunicazione interna sarà responsabile del coordinamento dei mezzi di informazione interna (scritti, video, audio), in coordinamento con il Crisis Communication Team e con le altre funzioni. I dipendenti, infatti, sono degli stakeholder importanti perché costituiscono il primo veicolo per rappresentare l’istituto all’esterno e possono raggiungere molte persone attraverso la propria sfera di rapporti interpersonali diretti e indiretti.
E’ evidente che questo significa avere una lista di stakeholder, interni ed esterni, da avvisare in caso di crisi, comprensiva dei canali (email, telefonici, social media etc) utilizzabili per raggiungerli.
Il vantaggio dei social media è quello di non aver bisogno di contattare singolarmente le persone, ma di diffondere un messaggio indirizzato alla generalità del pubblico. Inoltre, sono action-driven, ossia, i messaggi sono resi disponibili immediatamente dalla fonte invece di dover essere “cercati” da parte dei potenziali interessati.
Vi sono inoltre gli aspetti legali e gli aspetti comunicazionali. In costanza di crisi, le informazioni che occorre dare sono riferite alla situazione del momento e devono essere pronte e veritiere; ma, al termine della crisi, quello che è stato detto (o non detto!) può aver prodotto degli effetti giuridici. Occorre quindi valutare con attenzione i contenuti e distinguere fra giudizio del pubblico e giudizio legale: il primo è l’oggetto di attenzione immediato, mentre il secondo solitamente emerge a posteriori. Sicché, si può dire in molti modi una cosa semplice senza incorrere nei rigori delle norme e, allo stesso tempo, dando di sé un’immagine di responsabilità e di prontezza.
2.2 – Le azioni da intraprendere quando la crisi è in atto.
Il primo passo, preliminare e costante, è quello di monitorare i media. Occorre essere sempre pronti a rilevare lo scoppio di un “incendio” sui media. Le notizie che si diffondono infatti possono anche dare inizio a una serie di allarmi e a un fuoco di fila di domande, timori, erronee rappresentazioni.
L’effetto immediato del monitoraggio è quello di permettere di prevenire l’insorgenza di una crisi o di evitarne la diffusione con l’early-warning (D’Acquisto, 2017).
In primo luogo, quindi, occorre smorzare i toni, essere rassicuranti ed empatici/che e guardare alla situazione dalla parte di chi ascolta. Evitare di cedere alle reazioni emotive e dare risposte d’impeto (c.d. Siege Mentality, Kelley e Freshta, 2017). Un addetto/un’addetta alla Crisis Communication Team deve quindi monitorare i media per: anticipare possibili problemi; rilevare eventuali asimmetrie o discrasie informative, errori e notizie non corrette; prevenire i problemi che possano derivare dal modo in cui i media stanno trasmettendo le informazioni; rispondere prontamente alle domande e ai dubbi più ricorrenti dei media e dei pubblici. L’addetto/l’addetta (o anche più di uno/a) stila un report giornaliero (o anche più di uno) per tenere informato/a il/la portavoce e il/la responsabile della comunicazione. Questo perché è importante avere contezza del modo in cui la banca viene descritta e quale tipo di immagine ne viene data, sia all’inizio sia nel corso della crisi. Tale azione serve per calibrare le risposte a seconda delle esigenze, per circoscrivere le congetture e i rumors, per correggere gli errori. Aiuta a mantenere alta la fiducia nella banca.
Cosa accade sui social media? La “vita media” di una notizia sui social è particolarmente breve e si consuma rapidamente, perdendosi fra le molte altre che si susseguono nel tempo. Occorre tuttavia monitorare l’andamento e il tono delle comunicazioni per avere il polso della situazione, il trend delle discussioni (di cosa si parla di più) e gli hashtag (le parole-chiave che fungono da “indici” per la ricerca di ciò che è stato scritto su un dato argomento). Questo perché, sui social, è facile che si crei una concatenazione e un richiamo di messaggi (es. retweet, condivisioni etc), che possono tradursi in una tweet-bombing e in una escalation fuori controllo di rumors, “voci” allarmistiche. L’attenzione cioè deve focalizzarsi non sulla prospettiva di chi scrive e sulle condivisioni da parte dei propri contatti (followers), ma anche sui contenuti e sull’umore di coloro che parlano di noi.
In risposta, è necessario dare informazioni corrette, aggiornate, in tempi rapidi, in pochi messaggi (anche uno) che rimandino al sito o ad altre comunicazioni più approfondite da parte dell’istituto. Questo per evitare, sul nascere, i fenomeni di propagazione di news non verificate e di rumors.
Occorre inoltre rispondere utilizzando lo stesso social media attraverso il quale è pervenuta la critica, l’attacco o la formulazione di domande.
Non rispondere non è una soluzione: a nessuno/a piace essere ignorato/a quando chiede un’informazione o esprime una critica. Genera solo frustrazione.
La risposta, come detto, deve essere chiara, corretta, attinente ai fatti.
Si può anche fornire un contatto diretto (es. numero di telefono, email di una struttura specifica, link a documento su internet etc) per approfondire la questione. Questo comportamento infatti consente di ottenere più risultati (Forbes, 2017):
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capire chi è davvero interessato alla questione e al suo approfondimento,
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dare una risposta capace di colmare le lacune e placare lo scontento,
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fungere da veicolo di trasmissione per la costruzione di un’immagine positiva (trasparenza e accountability): l’interlocutore/ice soddisfatto/a si farà “ambasciatore/ice” presso i propri contatti del corretto comportamento della banca,
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spostare il conflitto su un canale più “privato” e ristretto per toglierlo dall’agone dei social.
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E’ tuttavia importante ricordare che alle persone piace capire “come va a finire” una certa questione, magari sollevata da altri/e, pertanto una risposta pubblica che metta fine alla domanda/critica è comunque una buona pratica. Su tutti i canali in cui la questione aveva trovato spazio.
Un utile strumento, in questo senso, è il Social Command Center, una piattaforma interattiva che rappresenta su un’unica pagina le informazioni riguardanti l’andamento e l’analisi delle interazioni sui propri contenuti da parte di più canali social (Twitter, YouTube, Facebook etc). Questo strumento permette di individuare in tempo reale eventuali critiche o hashtag ostili verso l’immagine o la reptazione della banca, cogliere il sentiment del pubblico.
Occorre, naturalmente, predefinire una soglia entro la quale si possa parlare di “social media crisis”. Non basta un singolo messaggio critico perché ci sia “crisi” (anche se può essere un utile segnale o può rappresentare la “goccia” che scatena un fiume di polemiche), ma sicuramente occorre intervenire prima che la situazione precipiti, che le voci si diffondano e si riproducano a un tasso più elevato di quello normale o di intervento, che si verifichi una epic fail. A ogni soglia di allarme deve corrispondere una serie di misure specifiche e predefinite da applicare.
L’azione principale, pertanto, è quella di identificare e di comunicare che c’è un problema e di assumersene la responsabilità.
Significa essere onesti e prendersi la responsabilità di intervenire, assumere delle iniziative, reagire prontamente, rispondere ai feedback dando conto delle domande e dei timori delle persone nel corso delle interazioni appropriate. E’ importante per la reputazione dell’istituto e per la salvaguardia di un clima di fiducia con gli stakeholder, che la banca mostri di essere attenta alla situazione e attrice negli interventi, utilizzando i canali precedentemente individuati nel Crisis Communication Plan.
Per la banca si tratta di fare un buon storytelling, ossia, raccontare la propria versione dei fatti prima che qualcun altro/a proponga la sua “verità” (Whatman, 2016).
E’ importante riconoscere la preoccupazione che una situazione può suscitare negli altri/nelle altre ed essere pronti a intervenire e a dare assicurazioni sul fatto che si sta agendo per risolvere la questione. Occorre procedere velocemente per evitare che le persone perdano fiducia nell’istituto. Quando le emozioni sono coinvolte, infatti, è necessario rispondere mostrando empatia per il loro stato d’animo, piuttosto che diffondere dati e informazioni che fanno riferimento alla razionalità.
Occorre inoltre scegliere il canale di comunicazione appropriato.
La banca ha poco tempo per fare questo quando si tratta di social media, perché è possibile che la situazione critica sia già in circolazione e sia oggetto di speculazioni varie. Occorre pertanto fare una prima valutazione: si tratta di una criticità strategica od operativa, urgente o non urgente? Una volta identificata la criticità decidere come procedere per risolverla. Se si decide di comunicare (e se la notizia è già in circolazione occorre procedere in tal senso), occorre formulare una dichiarazione, anche generica, con la quale dare le prime informazioni disponibili, rendere noto che si sta provvedendo, eventualmente formulare una prima ipotesi e assicurare che verranno dati aggiornamenti man mano che i contorni della situazione si chiariscono. E’ importante porsi subito come fonte credibile e di riferimento su detta situazione. In questo, l’utilizzo dei social rappresenta un vantaggio, poiché si tratta di un mezzo che non necessita di un preventivo accesso da parte del pubblico al sito istituzionale (come per esempio il sito internet), ma viene diffusa a opera dell’emittente direttamente presso il pubblico.
Inoltre, considerati i limiti di lunghezza dei messaggi pubblicabili sui social, questi si prestano per l’invio di comunicazioni brevi ed essenziali.
Ultima annotazione, ma non la meno importante: se si è commesso un errore è più corretto dire di aver sbagliato, piuttosto che negare o trovare giustificazioni (Whatman, 2016).
Essere trasparenti e accountable significa prendere nota delle cose che si sanno, siano esse da comunicare al pubblico o meno.
E’ necessario ricordare che, in queste circostanze, occorre dare un’informazione rapida e accurata, anche se incompleta (De Luca, 2016). Questo per evitare danni duraturi alla banca e il proliferare di congetture da parte dell’opinione pubblica, che si aspetta l’accesso immediato a informazioni accurate. Mentre emergono nuovi dettagli, inoltre, è necessario aggiornare queste evidenze affinché possano essere utilizzate per rivedere il sito web, le email, le notizie stampa etc. Servono anche per guidare l’azione del Team e delineare la strategia di intervento.
Ciò è particolarmente vero in un’epoca di social media, in cui tutto avviene in diretta: crisi, domande e relative risposte. Occorre quindi avere un indirizzo “certificato”, affinché ci si possa accreditare come unico referente e fonte di informazione attendibile.
In vista di possibili difficoltà future e per ottimizzare i tempi di risposta, si può sviluppare una serie di messaggi-chiave, da utilizzare nel caso in cui si verifichi una crisi (es. “Stiamo raccogliendo tutte le informazioni necessarie per darvi al più presto un quadro informativo aggiornato e verificato. Continuate a seguirci sul nostro sito….”, “A breve pubblicheremo un resoconto aggiornato sul tema X e vi forniremo tutte le informazioni sulla questione e i contatti”).
Quando la crisi invece si è già verificata, è necessario condividere e mettere giù le informazioni chiave da ripetere in tutte le comunicazioni, per dare al pubblico esterno e interno, una sensazione di dinamismo, consistenza e coerenza. Informazioni riguardanti (Smith, 2016): quello che sta succedendo; quello che si sta facendo; quello che si intende fare per contenere la crisi.
La prima “vetrina” di una banca è quella virtuale costituita dal proprio sito Internet. Questo sito deve essere costantemente manutenuto, pubblicando aggiornamenti sul sito per tenere al corrente i diversi pubblici. E’ importante avere anche un sito di recovery, nel caso in cui il server consueto sia fuori uso.
Sulla homepage del sito, potrebbe essere utile prevedere un riquadro immediatamente visibile, aggiornato e con le informazioni essenziali relative alla crisi. I canali social media possono essere utilizzati per comunicare le informazioni e gli aggiornamenti concordati per raggiungere il pubblico e per fornire aggiornamenti “dal-produttore-al consumatore”.
I social media comunicano le informazioni in maniera diretta, sicché il pubblico non ha bisogno di collegarsi al sito per essere aggiornato, ma può ricevere gli aggiornamenti direttamente. I messaggi, pertanto, possono allegare o meno un link al sito istituzionale per maggiori dettagli. Ciò che i social possono fare è quindi quella di “guidare” l’attenzione degli stakeholder sul sito, contribuendo a renderlo un punto di riferimento per chi cerca informazioni provenienti dalla fonte sicura e per dare informazioni più dettagliate sulla situazione.
Quando al situazione è in corso di contenimento o risoluzione, è importante comunicare che la crisi è finita (Fouts, 2013). E’ importante infatti aggiornare gli stakeholder sugli sviluppi e, soprattutto, comunicare la fine della situazione di crisi e quali misure sono state prese per evitare che si ripeta. La comunicazione va effettuata primariamente utilizzando il mezzo sul quale era sorta (se etero-originata) oppure tutti i mezzi a disposizione se la notizia della crisi era stata originata dalla banca stessa (social media, internet etc).
Questo modo di procedere consente di salvaguardare o di recuperare la fiducia e la reputazione della banca.
2.3 Cosa fare quando la crisi è rientrata.
Quando la tempesta mediatica e la crisi sono passate, è necessario, valutare in che modo aiutare a ripristinare la fiducia. Una volta che è cessato l’evento trigger che ha dato inizio alla crisi, la fiducia persa va ripristinata, rafforzata o ricostruita. Può trattarsi di un incontro pubblico, una conferenza stampa, la diffusione di una lettera del vertice, un piano dettagliato per evitare che una nuova crisi possa ripresentarsi etc. In ogni caso, deve trattarsi di azioni concrete e non di retorica.
A consuntivo, fare un’analisi del funzionamento del piano di crisi. E’ il momento in cui si fa un’analisi su ciò che ha funzionato, sugli errori e sui ritardi registrati, su cosa è perfettibile, riconoscere gli aiuti ricevuti o i collegamenti che è stato possibile creare etc. E’ anche l’occasione per procedere (eventualmente) a un aggiornamento del piano di comunicazione delle crisi,
Serve pertanto valutare in che modo ha funzionato (o meno) la comunicazione con il pubblico. La crisi è anche un’opportunità per scoprire se e come la comunicazione con il pubblico ha funzionato. Indica anche cosa va cambiato e come per accrescere la capacità di ascoltare e di farsi ascoltare. Attraverso la crisi, che pone la banca nell’occhio del ciclone mediatico, quando l’attenzione è focalizzata su quello che sta succedendo, essere in grado di dare risposte precise e adeguate può contribuire ad accrescere la credibilità e la trasparenza dell’istituto, guadagnando fiducia.
2.4 Cosa fare “prima” che intervenga la crisi.
Le crisi vanno prevenute (Whatman, 2016 e Smith, 2016). Per prevenire le crisi serve un investimento in conoscenza per accrescere la consapevolezza circa le funzioni svolte e l’immagine della banca presso il pubblico e un’organizzazione interna in grado di supportare il Crisis Management Plan. E’ opportuno, alla luce degli eventi che hanno luogo nel contesto immediato, essere pronti a rilevare quando un fatto può tradursi in un’occasione di crisi. Questo ha il vantaggio di accrescere il tempo a disposizione per pensare a come fronteggiare la situazione e per prendere le opportune misure (es. organizzative, metodologiche etc). Oppure, quando la “crisi” siamo noi stessi a crearla (es. ristrutturazione organizzativa, nuovo prodotto etc) questo offre l’opportunità di prevenire e prevedere possibili linee d’azione.
Significa cioè essere pronti/e. Nessuno/a vorrebbe trovarsi al centro di una crisi, ma può accadere. Quindi è importante farsi trovare pronti/e con l’elaborazione di un “piano” predefinito di azioni da intraprendere e un Team di persone con ruoli e compiti precisi che sanno come muoversi quando una crisi si sviluppa (es. rete di contatti e canali per raggiungere le persone: email, telefono, twitter etc). Anticipare possibili scenari di crisi, stabilire dei protocolli interni per farvi fronte, aggiornare le procedure in modo ricorrente. La peggiore comunicazione che si possa fare è quella di farsi prendere dalla fretta e dal panico (Gattolin, 2016).
E torniamo così al primo punto dell’elenco!
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– Conclusioni.
Gestire la crisi di una banca significa, in primo luogo, dare informazioni sintetiche e corrette a tutte/i coloro che chiedono notizie (es. correntisti, giornalisti, istituzioni etc) quando la situazione si verifica. Questo vuol dire fare un esame di realtà e avere presente ciò che sta succedendo e, allo stesso tempo, disporre di un “Piano” di comunicazione in condizioni di crisi che preveda passaggi, organizzazione e ruoli ben precisi. Ovviamente, un Piano deve essere stilato con anticipo e deve essere condiviso e, possibilmente, collaudato affinché la comunicazione poggi su una base ordinata e consolidata.
Per quanto la situazione possa essere complessa, la presenza di un documento di programmazione dà sistematicità e metodo a una comunicazione che non può che essere continua, incrementale, emergenziale.
L’uso dei social media, per le loro stesse caratteristiche di canali diffusi, condivisi, partecipativi, stringati, offrono una comunicazione continua, plurale, ma purtroppo la veridicità delle notizie è a volte difficilmente verificabile. Il loro uso, pertanto, può ampliare, distorcere o alcune volte perfino generare una situazione di crisi (Dougherty, 2015). E’ pertanto necessario prevedere nel Crisis Communication Plan una specifica modalità e uno o più canali social, che sappiano tenere conto di queste peculiarità e che possano essere utilizzati per contattare i diversi stakeholder e trasmettere notizie in modo corretto, propositivo ed efficace, avendo il vantaggio di essere una fonte certificata e sicura.
I criteri indicati aiutano a delineare i potenziali dei mezzi social media e a usare in modo virtuoso le sue caratteristiche. Una comunicazione, in caso di crisi, non può che essere integrata e costruita su una serie di strumenti e canali che si rafforzano e completano reciprocamente. Il tempo è una risorsa importante in queste circostanze e i social media sono un canale prezioso. Grazie anche al loro carattere push che fa arrivare le notizie senza doverle cercare. Hanno tuttavia bisogno di essere accompagnati e completati da altri supporti comunicativi e devono, inoltre, essere gestiti in maniera competente e ottimale per produrre effetti positivi. Vanno insomma conosciuti e calibrati in base ai destinatari, alle caratteristiche, ai linguaggi, alle potenzialità di raggiungimento del pubblico alle caratteristiche intrinseche di ciascuno.
Bibliografia:
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Baer J. (2017) “Don’t Be Scared, Be Prepared – How to manage a Social Media Crisis” http://www.convinceandconvert.com/social-media-strategy/dont-be-scared-be-prepared-how-to-manage-a-social-media-crisis/
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