Come bene viene affermato in prefazione, MEDICHESSE è un testo espressione di alchimia, perché dell’autrice, Erika Maderna, mette in luce la passione per la ricerca storica ed il rigore scientifico, rimanendo comunque di piacevole lettura.
Salute, malattia e cura sono temi trattati in modo originale, scandiscono il tratto antropologico della medicina, ci restituiscono, nel complesso, un significato, anche profondo, del prendersi cura rispetto al mero curare.
Ad oggi l’equazione binaria curare = guarire permane, purtroppo, non sempre simmetrica. Siamo di più e meglio curati, è vero, ma sono ancora molte le patologie non guaribili, lo confermano alcune forme tumorali o anche certe malattie riconosciute “rare”. Pare onnipresente, pur poco manifesta, ma comunque riconoscibile, un’inconsapevole aspettativa, intima e profonda: riuscire ad avere un corpo immutabile. Sempre meno capaci di abituarci all’idea del termine, pensiamo che la morte non esista e/o non possa essere anche nostra. Non solo. Tanto più sappiamo, tanto meno quello che sappiamo ci mette al sicuro da imprevisti in corso d’opera.
Finiamo per perdere – me lo ha confermato l’autrice stessa in una breve intervista rilasciata per telefono a gennaio 2020* – quell’intuito naturale che ci faceva sentire, invece, bene nel nostro corpo e, da malati, ci
permetteva di poter chiedere l’aiuto giusto e nel modo giusto.
In Medichesse la scrittrice lombarda, con garbo, nitore narrativo e competenza, instrada verso figure femminili che tanto, ed a lungo, hanno camminato nel sentiero del prendersi cura.
Se gli uomini hanno dominato l’universo delle parole – è questo il concetto principe che muove l’autrice – le donne, invece, hanno avuto il potere sul mondo delle cose. A loro era assegnata la dimensione interna, la casa, quanto prodotto in modo materiale e immateriale, poi la crescita dei figli, la cura dei vecchi e degli ammalati. In quel mondo si aveva dimestichezza con le cose della vita e, dunque, familiarità con la morte.
L’acquisizione delle esperienze scientifiche permetterà a quelle donne di appropriarsi della conoscenza della natura da un’angolatura nella quale, prevalente, sarà l’attitudine ad osservare.
All’ approccio di un maschile, forte del dominio e controllo sugli elementi, si contrapporrà il femminile della pratica empirica. Maga o levatrice, sacerdotessa o alchimista, levatrice o badessa, dice Erika Maderna, altro non è stato che un profilo diverso in uno stesso volto.
Riferimenti bibliografici
Erika Maderna, Medichesse La vocazione femminile alla cura, Aboca, stampato presso Graficonsul srl, 2012, seconda ristampa 2016
L’immagine è presente a pg.75 del testo e rappresenta un quadro di John Collier, La sacerdotessa di Delfi, 1891, Adelaide, Art Gallery of South Australia
*Intervista telefonica fatta all’autrice il 15 gennaio 2020