Non bastano i compagni di scuola che si danno arie da bulletti o le famiglie spesso contrarie proprio per il clima ostile che si respira a riguardo. Adesso ci si mettono anche le celebrità del mondo dello spettacolo, quelle che – in teoria – dovrebbero conoscere le difficoltà di certi ambienti e solidarizzare, a prendere in giro i maschi che vogliano intraprendere un percorso legato all’arte della danza.
Lara Spencer, giornalista statunitense e notissimo volto della storia trasmissione “Good Morning America”, stava elencando nelle “pop news” le materie caratterizzanti della scuola che il Principe George, futuro re d’Inghilterra, frequenterà con l’avvio del nuovo anno accademico: studi religiosi, programmazione per computer, poesia e, quando arriva la parola “ballet”, danza classica, ecco partire ammiccamenti nonché una risata scomposta che trascina dietro di sé il pubblico in studio.
Le reazioni non si sono fatte attendere: il mondo della danza tutto – e non solo – si è sollevato in proteste (spesso performative) e attestazioni di solidarietà, al punto che la conduttrice stessa si è dovuta pubblicamente scusare pochi giorni dopo. #Boysdancetoo e #MeTutu sono gli hashtag con cui sui social si sono condivisi video e foto a supporto della danza maschile ma, purtroppo, la strada per un’accettazione vera che lasci davvero liberi i ragazzi di perseguire una passione come questa è ancora lunga e impervia.
«Ed è assurdo che simili atteggiamenti arrivino dall’America, un paese che da sempre si vanta del suo progresso e della libertà», è il pensiero di Antonio Fiore, danzatore professionista e modello, nonché ingegnere, noto al grande pubblico per la sua partecipazione al talent-show “Amici di Maria de Filippi” prima come concorrente e poi come solista, la cui carriera di respiro internazionale non si è mai fermata. Da “DomenicaLive” agli spot per grandi marchi (Pupa, Whirlpool, DonnaOro, Segafredo), dalla tournèe con Marco Mengoni al film “Nine” accanto a star del calibro di Nicole Kidman e Sofia Loren, Antonio Fiore vive di danza, e così commenta l’infelice uscita della Spencer: «La Spencer ha dato una risposta mediocre ad un concetto aulico, come ascoltare Beethoven e fare un rutto per ottenere l’applauso del popolino. Si è dimostrata una donna di contenitore, non di contenuto. Chi fa parte dello show business dovrebbe elevarsi a portatrice sana di buona informazione, invece di sogghignare su un argomento serio. Non voglio ghettizzarmi, essendo direttamente coinvolto in quanto danzatore, enfatizzando la delicatezza della cosa, ma è stato un gesto becero – che rimane nonostante le scuse – finalizzato ad ottenere il consenso di chi ride se gli si mostra qualcuno che emette flatulenze in un ristorante di lusso. Questo è il livello e cosa volesse dimostrare lo sa solo lei».
Fiore è originario di Siano un paesino della provincia di Salerno, e si dice decisamente stupito di come, nel 2019, si stia ancora parlando di “questione di genere” legata al mondo della danza: «Ho smesso di ragionare in questi termini da quando avevo 8 anni, per me stiamo parlando di Medioevo in merito ad un concetto che dovrebbe ormai essere sdoganato. Anche le performance in pubblica piazza che sono state organizzate in risposta alla Spencer rischiano di alimentare l’auto-ghettizzazione dei danzatori. Ben vengano per diffondere la bellezza della danza, ma allora che si facciano tutto l’anno, a prescindere, e non solo per protestare. In questo modo si dà solo più importanza a chi cercava l’applausetto da bar di terza categoria».
Tutto il problema nasce, inutile nasconderlo, perché si continua a legare la danza maschile all’omosessualità, innanzitutto quasi come fosse una colpa, in secondo luogo perché negli sport considerati più “virili” vige la regola del “don’t ask, don’t tell” e sembra quasi che calciatori, rugbisti, pallavolisti gay non esistano, cosa che alimenta il pregiudizio in campo tersicoreo. «Io lo trovo assurdo – continua Antonio – Per caso la birra di chi guarda la partita è meno buona se in campo giocano degli omosessuali? C’è chi sta sul palco e chi in platea, chi in campo e chi sugli spalti o davanti allo schermo. L’osmosi dovrebbe essere per
l’arte che passa, per il messaggio e non per il messaggero. E chi se ne frega di ciò che uno fa nella sua vita privata».
Antonio Fiore è consapevole di essere stato fortunato. Gli episodi di bullismo che lo hanno riguardato si sono limitati a qualche risatina: «Sì, da piccolo sono stato oggetto di piccoli scherni e ho ricevuto facce sghignazzanti perché facevo qualcosa di “diverso”. Ma avevo una condizione di partenza diversa da molti ragazzi che subiscono atti di bullismo ben più pesanti, innanzitutto perché non facevo solo danza. Prendevo lezioni di karate, giocavo a calcio e gareggiavo in atletica leggera, quindi gli amichetti che mi vedevano andare a danza poi mi ritrovavano sul campo di pallone ed erano anche loro stessi ad essere confusi. Il miglior modo per superare il problema, secondo me, è rendere la danza classica obbligatoria dalle scuole elementari. Ma non, banalmente, per spiegare al mondo la questione di genere, ma perché la danza classica fa bene a livello sia fisico che mentale. È lo sport più difficoltoso, più completo, più “crudele” e più “maschio” che io abbia mai praticato. Dà una formazione molto forte a livello psicologico, per la dedizione e i sacrifici, fornisce un rigore anche matematico, perché si ha a che fare con la geometria del corpo (nulla di più scientifico al mondo) e permette ai bambini che saranno futuri professionisti in altri campi, di sviluppare una sensibilità che potrà essere loro utile e che manca in un normale percorso di studi».
Fondamentale, naturalmente, è l’appoggio della famiglia: «Io ho iniziato a danzare, banalmente, perché mi piaceva. Il movimento a tempo di musica è quanto di più naturale possa esserci in un bambino, fin dalle fasce. Certo, bisogna educarsi alla danza, ma è intrinseca all’uomo. Ho avuto sicuramente la fortuna di avere dei genitori molto aperti. Mia madre mi ha sempre sostenuto, sapeva che mi piaceva ballare e che avevo una forte musicalità, quindi non si è per nulla opposta quando ho deciso di intraprendere un percorso di danza classica per avere una formazione a 360° e una base tecnica spendibile nel mondo del lavoro. Per mio padre, ingegnere, il dubbio era proprio legato alla professione. Non riusciva a capire bene che cosa potesse darmi in futuro, per lui il mio percorso legato alla danza classica poteva essere uguale a quello intrapreso in qualunque altra disciplina, un accompagnamento agli anni scolastici da interrompere prima o poi per dedicarmi ad altro. Non pensava che la danza potesse diventare il mio mestiere, ma non mi ha mai impedito di farla in nome di una presunta idea di omosessualità legata all’ambiente».
Che cosa Antonio Fiore sente di consigliare ad un bambino che voglia intraprendere un percorso legato alla danza, sia professionalmente che personalmente – per difendersi da piccoli o meno atti di bullismo? «Professionalmente, confrontatevi col mondo. Ci sono delle eccellenze nella nostra nazione, ma ce ne sono in tantissimi paesi. Bisogna viaggiare, mettersi in discussione. L’apertura è crescita. Personalmente, ciò che i ragazzi devono avere ben chiaro in mente, e dovrebbero spiegarglielo le madri, le zie o le amiche, è che la danza è uno degli sport più sexy in assoluto. Chi fa danza farà maggiori conquiste, qualunque sia la sua inclinazione. Avrà un fisico più lavorato, modi più sensuali, e poi parliamoci chiaro, tutte si innamorano del maestro di danza! Vorrei permettermi una battuta e dire ai bulli che prendono in giro noi danzatori: siamo costantemente circondati da belle donne, non solo ballerine. La prossima settimana, ad esempio, danzerò su Rai1 in occasione delle finali di Miss Italia, tra le 80 ragazze più belle del paese. I maschi “alfa” possono darsi tutte le arie che vogliono, non saranno mai “alfa” quanto un ballerino».
Tutto giusto, ma peccato che la danza non sia affatto uno sport.
E non la si può confondere nonostante per farla bisogna affiliarsi ad associazioni sportive.
Ma NON È UNO SPORT
Se ha letto l’articolo con attenzione, il danzatore professionista si riferisce alla danza come sport in riferimento al duro lavoro e alla preparazione atletica che richiede. È palese che la danza vada oltre e sia un’arte, ma l’errore che induce a “femminilizzarla” nell’immaginario collettivo, è proprio l’aver negato, per troppo tempo, la sua attinenza con il mondo dello sport. I danzatori sono artisti perché sono contemporaneamente atleti e interpreti. E ciò è innegabile.