Rinvenuto il settore di una villa appartenuta all’imperatore Caligola nel corso degli scavi in piazza Vittorio Emanuele II, nelle vicinanze del Colosseo e della stazione ferroviaria di Roma Termini. La scoperta consiste in un nuovo settore degli Horti Lamiani, preservati dalle demolizioni ottocentesche per la realizzazione del quartiere; i lavori erano iniziati per l’edificazione di un fabbricato destinato a divenire la nuova sede dell’ente di previdenza dei medici “ENPAM”.
Gli Horti Lamiani, di enorme importanza storica e topografica, si ergevano sulla sommità del colle esquilino a Roma, appunto nell’area dell’attuale piazza Vittorio Emanuele II e dintorni, precisamente tra via Labicana a nord e via Merulana, che segnava il confine con gli Horti di Mecenate. L’insieme di giardini creati dal senatore Lucio Elio Lamia, da cui deriva il nome, furono donati all’imperatore Tiberio secondo Svetonio in un anno imprecisato che va dal 14 al 37 d.c., quasi certamente con la morte di Lucio nel 32. Partecolo rivela infatti che fosse fraterno amico di Tiberio tanto che gli lasciò senza dubbio nel testamento gli Horti, acquisiti così dal demanio imperiale. Ereditati poi dal suo successore, Caligola (37 – 41 d.c.), il III imperatore romano, la elesse come propria residenza, vivendo circondato da lussi esotici. Inoltre il sito ha un interesse storico speciale, fu proprio lì infatti che le sorelle di Caligola trasportarono il cadavere dopo la sua uccisione da parte della guardia pretoriana, bruciandone la salma affinchè non venisse profanata, ciò prima di venir traslata nel Mausoleo di Augusto. Siamo a conoscenza anche che oltre ad essere confinanti con gli Horti Mecenatis, sotto Claudio (41 – 54 d.c.) gli Horti Lamiani vennero annessi agli Horti Maiani e gestiti da un soprintendente, “procurator hortorum Lamianorum et Maianorum”.
L’area fu dal XVI secolo lo scenario di rilevanti ritrovamenti archeologici ed antiquari, come il Discobolo Lancellotti al Museo Nazionale Romano e le Nozze Aldobrandini alla Biblioteca Apostolica Vaticana, ma le scoperte più numerose si ebbero alla fine del XIX secolo per la nuova urbanizzazione del regno d’Italia.
“Era il tempo in cui più torbida ferveva l’operosità dei distruttori e dei costruttori sul suolo di Roma … Sembrava che soffiasse su Roma un vento di barbarie … Il piccone, la cazzuola e la mala fede erano le armi. E, da una settimana all’altra … sorgevano sulle fondamenta riempite di macerie le gabbie enormi e vacue, crivellate di buchi rettangolari, sormontate da cornicioni posticci, incrostate di stucchi obbrobriosi.”
Gabriele D’Annunzio
Sfortunatamente infatti il progetto di Roma Capitale fu caratterizzato da demolizioni devastanti di tanti luoghi romani. Alla fine dell’ottocento i Savoia costruirono a Roma molti begl’edifici, non curandosi però di ciò che c’era sotto; i reperti venivano riportati alla luce ma le domus venivano distrutte. La ricostruzione archeologica dei disiecta membra del sito, interrato o appunto nel caso peggiore abbattuto, si è basata sulle documentazioni di Rodolfo Lanciani, sui resoconti di scavo e sui materiali custoditi essenzialmente nei depositi comunali. Nella preziosa Forma Urbis Romae dell’archeologo, ingegnere e topografo è rappresentato un profilo generico dello sviluppo della villa.
“Ho visto una galleria di settantanove metri di lunghezza, il cui pavimento era costituito dalle più rare e costose varietà di alabastro e il soffitto sorretto da ventiquattro colonne scanalate di giallo antico, poggiate su basi dorate; ho visto un altro ambiente, pavimentato con lastroni di occhi di pavone, le cui mura erano ricoperte da lastre di ardesia nera, decorate da preziosi arabeschi eseguiti in foglia d’oro; e ho visto infine una terza sala, il cui pavimento era composto da segmenti di alabastro, incorniciati da paste vitree verdi. Nelle pareti di essa erano tutt’intorno vari getti d’acqua distanti un metro l’uno dall’altro, che dovevano incrociarsi in varie guise. Con straordinario effetto di luce. Tutte queste cose furono scoperte nel novembre del 1875”.
Rodolfo Lanciani: “Fascino di Roma antica”.
La residenza era scandita in modo scenico da padiglioni e terrazze degradanti con ringhiere marmoree, statue fontane e vasi istoriati, conformandosi all’altimetria dei luoghi secondo il modello culturalmente predominante della reggia di tradizione ellenistica e orientale, armonicamente integrata nel paesaggio naturale. Il complesso imperiale sottostante a piazza Vittorio includeva affreschi con pitture di giardino, rivestimenti architettonici in crustae marmorea con intarsi di marmi colorati e decorazioni parietali in bronzo dorato con gemme incastonate. Tra le sculture più rappresentative: la famosa Venere Esquilina con due Muse, la Commodo – Ercole fiancheggiata da Tritoni marini, l’Ephedrismòs, tutti all’interno dei Musei Capitolini, e le statue dal complesso termale di via Ariosto alla Centrale Montemartini. I recenti scavi del 2006 – 2009 sotto la sede dell’ENPAM hanno mostrato alcuni settori fino ad oggi sconosciuti degli Horti Lamiani, vicino alla zona dove Rodolfo Lanciani aveva documentato un lungo criptoportico, avente un pavimento in alabastro e preziose decorazioni parietali, ritmato da colonne in marmo giallo antico con basi in stucco dorato, il cui arredo è dimostrato dalla testimonianza delle fonti letterarie. Altri ritrovamenti associabili alla villa imperiale si ebbero durante gli scavi di rinnovamento della Metropolitana di Roma (Linea A), nel quartiere meridionale dei giardini di piazza Vittorio Emanuele II, fra gennaio 2005 e novembre 2006. Il nuovo settore rinvenuto sotto la sede dell’ENPAM si estende intorno ad un aula di rappresentanza, 400 mq, inizialmente rivestita da sectilia, aventi ambienti di servizio ed una fontana. La costruzione relativa a varie fasi edilizie, lo scavo della Soprintendenza ha infatti analizzato un’area di 160 mq con la successione di ben sette fasi, tra gli ultimi decenni del I secolo a.c. all’età tardo antica, è composta da terrazze – giardino contenute da strutture in opera reticolata, con un tratto di strada blasonata connessa alla via Labicana, probabilmente il limite della proprietà. Così come un grandioso ingresso, contraddistinto da una scala bianca in marmo posta al centro di due lunghi muri che collegava i diversi livelli del giardino e una tubatura per il trasporto dell’acqua. La realizzazione dell’aula è di Alessandro Severo, 222 – 235 d.c.; raffinatissimi i resti archeologici, decine di migliaia, tra i quali anfore, pezzi di ceramica, gioielli, monete e una gran varietà di utensili domestici. Gli archeologi hanno anche ritrovato semi di piante esotiche di origini diverse, ossa di animali selvaggi come cervi, orsi, leoni e struzzi. Sono stati questi i fattori che hanno permesso di identificare l’aggregato come il Nimpheum; il nome Nimpheum celebra le ninfe, divinità dei boschi e delle montagne, nel giardino si era infatti voluto ricostituire uno spazio selvaggio. Questi animali correvano liberi come fosse un paesaggio magico, ma erano presenti anche animali feroci che servivano, come nel Colosseo, per i giochi circensi privati. Caligola era famoso nell’antichità appunto per il suo carattere bizzarro e malvagio, a causa di una misteriosa malattia mentale che ebbe durante il suo primo anno di regno.
Riferisce Daniela Porro, soprintendente di Roma, direttrice del museo: “la novità è che questa primavera, il Ministero per i beni culturali, le attività culturali e il turismo aprirà il “Museo del Ninfeo di Piazza Vittorio,” una galleria sotterranea che metterà in mostra una sezione del giardino imperiale che è stata portata alla luce durante uno scavo durato dal 2006 al 2015. Lo scavo, effettuato sotto le macerie di un condominio del XIX secolo ha prodotto gemme, monete, ceramiche, gioielli, vasellame, camei, una maschera teatrale, semi di piante come cedro, albicocca e acacia importate dall’Asia e ossa di pavoni, cervi, leoni, orsi e struzzi. Gli oggetti e i resti strutturali in mostra nel museo dipingono un’immagine vivida di ricchezza, potere e opulenza. Tra gli splendidi esempi di arte romana antica ci sono elaborati mosaici e affreschi, una scala in marmo, capitelli di marmo colorato e una spilla in bronzo di una guardia imperiale con inserti in oro e madreperla. Nel 2017 sono iniziati i lavori per il Museo del Ninfeo. Il nuovo spazio, nel seminterrato dell’ENPAM, riporta alla luce uno dei luoghi mitici della capitale dell’impero, una della sontuose residenze – giardino amate da Caligola”.
E’ stata prodotta la conservazione quasi totale delle architetture in parte visibili sotto i pavimenti di vetro. Non potendo ricostituire l’ambiente originario vi saranno ricostruzioni virtuali in 3D, animazioni video, effetti sonori, pannelli didascalici e vetrine espositive per far pensare al visitatore come doveva essere la Domus Aurea di Caligola nell’epoca romana. Da evidenziare tutta la parte tecnologica e ingegneristica presente per sostenere le strutture archeologiche non attuando alcuna forma di delocalizzazione. Sono state inoltre effettuate varie perforazioni circolari adiacenti riempite in seguito con tubi di acciaio congiunti fra loro a costituire un sostegno.
Questo progetto ha dimostrato che è possibile conformare la tutela dell’antico e la trasformazione della città contemporanea attraverso uno scavo esemplare che ci restituisce un altro pezzo del passato splendore di Roma.
Il museo realizzato, ora chiuso al pubblico, sarà visitabile appena l’emergenza Covid lo permetterà.