Nel Quattrocento artisticamente dominato dal Gotico internazionale la Lombardia di Gian Galeazzo Visconti interloquiva alla pari con le più importanti corti europee, famosa soprattutto per le miniature: l’attività dei miniatori lombardi, specialmente quella degli atelier di Pavia, divenne talmente riconoscibile, nella sua rilettura del quotidiano in chiave decorativa, da divenire nota come ouvraige de Lombardie, una maniera apprezzata in tutta Europa.
Fu un evento in particolare, però, a sancire il definitivo imporsi di Milano sul piano internazionale: la costruzione del Duomo.
Nel 1386, infatti, in seguito al crollo del campanile della chiesa di Santa Maria Maggiore, l’antica cattedrale, l’arcivescovo Antonio da Saluzzo aveva voluto avviare la costruzione di un nuovo edificio, più grande del precedente ma in mattoni e in un linguaggio artistico squisitamente locale.
Nel 1387, però, il duca Gian Galeazzo Visconti prende la guida del progetto e lo trasforma in un cantiere ambizioso, aggiornato e internazionale. Al sobrio mattone volle sostituire il marmo di Candoglia, a capo delle maestranze locali pose architetti transalpini di grande fama – francesi, come Jean Mignot e Jacques Coene, o tedeschi, come Enrico di Gmünd – che si avvicendarono l’uno dopo l’altro perché ciascuno di loro dovette fronteggiare l’ostilità degli operai lombardi i quali, oltre ad essere abituati ad una diversa pratica di lavoro e a non avere familiarità con le forme proposte da quegli architetti stranieri, erano anche fortemente orgogliosi delle loro tradizioni costruttive e mal disposti ad obbedire a queste nuove, estranee, direttive gotiche.
Questa commistione tra innovazione europea e tradizione lombarda emerge nelle caratteristiche ibride del Duomo. Il forte slancio verticale è di marca transalpina, ma è attenuato – alla maniera lombarda – in senso orizzontale; la navata (diversamente da quanto avveniva al di là delle Alpi) centrale è quasi alla stessa altezza delle laterali, le finestre sono piccole e l’illuminazione è soffusa. Altri elementi tipicamente lombardi sono il tiburio e l’alto zoccolo che tiene la struttura ben ancorata al terreno, priva della leggerezza rampicante verso l’alto delle forme gotiche transalpine.
La fabbrica milanese, specialmente per quanto riguarda la decorazione scultorea, fu una scuola fondamentale per gli artisti: questi grandi cantieri – un altro, fondamentale, fu quello del rinnovamento di Palazzo Ducale a Venezia – erano occasione di incontro e scambio di conoscenze ed esperienze figurative per artisti provenienti da tutta Europa, momenti di aggiornamento e mescolanza stilistica. A lavorare sui ponteggi milanesi furono scultori come Giovannino de’ Grassi e Michelino da Besozzo, figura chiave del rinnovamento delle arti in Lombardia che proprio nel cantiere del Duomo ebbe modo di imparare dai maestri renani e boemi che parlavano già un linguaggio più morbido, più fluido nelle linee e levigato nei contorni, dai volumi delicatamente ombreggiati.