In occasione della messa per il sesto anniversario dalla visita a Lampedusa del Papa, si propone una riflessione tratta dalla pubblicazione scientifica uscita ad aprile per «Notes et documments», la rivista dell’Institut International Jacques Maritain. Si sono scelti dei passi in cui emerge il senso della laicità del pontefice, insieme al valore politico del suo messaggio.
Leggendo le parole e le opere di papa Francesco, occorre fare una distinzione fra l’idea di “popolo” in generale, categoria anche politica, e l’idea teologica di “popolo di Dio”, assai più ricorrente nei testi del pontefice, con cui si intende la comunità di fedeli cristiani in quanto battezzati e dunque membri della Chiesa, essa stessa definita appunto «popolo di Dio»dal Concilio (Lumen Gentium, 13). L’ambiguità nasce dal fatto che la Chiesa Cattolica è universale, cioè aperta a tutti, e dunque tutta l’umanità potenzialmente è “popolo di Dio”, mentre il popolo in quanto comunità politica è particolare e sempre geo-storicamente determinato. Vi è una differenza di campo: ecclesiologico-teologico o sociale-politico. Ovviamente la prima concezione in Francesco influenza la seconda, ne suggerisce le dinamiche, perché «questo popolo di Dio si incarna nei popoli della Terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura» (Evangelii Gaudium, 115), e più in generale perché «dobbiamo trovare il coraggio di recuperare il potenziale liberatorio della fede cristiana, in grado di arricchire la convivenza democratica grazie alla carica di fraternità vissuta che la caratterizza», come diceva da arcivescovo nel 2006 parlando alle comunità educative. […] Francesco conferisce senso pratico ai principi politici della democrazia a partire dal primato della relazione (prossimità, incontro, unione a partire dalle differenze) teologicamente fondata dal mandato dell’amore per il prossimo e dallo stesso modello trinitario cattolico. Egli cioè coraggiosamente si permette di provocare il politico a partire dal teologico, pur senza confonderli mai.