“Vi è in essa un’unità e varietà che incanta, una armonia ed eleganza che addolcisce gli occhi; una sveltezza e leggiadria che innamora; una maniera che scaturisce tutta da una fonte, quella cioè dei maestri dell’aureo Cinquecento, cotanto studiati da chi ne ideò le architetture e le diresse con ogni alacrità e scienza dell’arte dal suo principio al perfetto compimento”.
Il Giornale di Roma (2 giugno 1851)
Nonostante le prepotenze del nostro tempo, la trasformazione delle tradizionali attività commerciali, il turismo di massa, le automobili, si possono cogliere nella Capitale le atmosfere di una Roma “papalina” ancora in vita. E Piazza Santi Apostoli, originale per la sua lunga forma che la fa somigliare ad una larga strada sembra infatti immutata dai tempi delle “vedute” del Vasi, del Piranesi, del Benoist, che la consacravano tra i luoghi monumentali di Roma. Dopo i molti palazzi nobiliari che si affacciano sulla piazza, dopo un’edilizia residenziale modesta alternata ai frequenti luoghi di culto: oratori, chiese conventuali, parrocchie attraversando la via di San Marcello, prima parallela, ad est, al rettifilo della via Lata, costeggiando il fianco di Palazzo Balestra, già Muti Papazzurri incontriamo il più piccolo santuario mariano di Roma, il più grazioso pregevole e consacrato. La Chiesa della Madonna dell’Archetto trae origine da un’edicola con l’immagine dipinta applicata al lato posteriore del suo palazzo da Alessandra dei conti Mellini Muti Papazzurri Savorelli, sotto “l’archetto” che dava nome a questo vicolo e alla via che conduceva. Nel 1796 si verificarono a Roma degli eventi miracolosi: 24 immagini della Vergine e due crocefissi mossero gli occhi accompagnando i prodigi con guarigioni straordinarie; il cardinale vicario Giulio Maria della Somaglia emanava nel 1797 un decreto di approvazione dell’autenticità dei miracoli delle 26 immagini tra cui la prima fu la Madonna dell’Archetto (9 luglio 1796), oggetto ancora adesso di incessante venerazione. Ad essa, molto devoto, quel Giacomo III Stuart, erede al trono d’Inghilterra in esilio a Roma, abitante nello stesso Palazzo Muti che pose a sentinella una guardia del proprio seguito per proteggere i suoi ornati e voti. L’assetto finale fu dato al santuario nel 1851, i marchesi Alessandro e Caterina Muti Papazzurri Savorelli diedero la committenza a Virginio Vespignani per la realizzazione dell’armonioso tempietto tardo neoclassico. Il conte – architetto Virgilio Vespignani, esponente del gusto ufficiale “purista” dell’ultima Roma papalina, creò dimensioni miniaturizzate, condizionate dal sito, ritornando alle proporzioni e allo stile del Rinascimento per il quale si stava attuando il grande rilancio a scala europea.
“Il Vespignani quantunque poco facile a lodare o a far lodare le sue opere, era tanto innamorato di questa creazione che spesso vi si intratteneva a tenere lezioni di pratica ai suoi allievi, ai quali la indicava come il suo “capolavoro”. Essa, infatti, per la perfetta armonia delle sue linee architettoniche semplici e proporzionate, per la finezza dei suoi stucchi, per la ricchezza e varietà dei suoi marmi policromi, si potrebbe definire una basilica in miniatura, poiché anche nella esigua mole dà tutta l’idea della grandezza”.
De Camillis
Lo spazio rettangolare di misure ridottissime, simula una pianta a croce latina con cupoletta all’intersezione dei bracci e pareti minuziosamente decorate. Nella cupola gli affreschi con al centro “l’Immacolata Concezione” e nei pennacchi l’Innocenza, la Sapienza, la Prudenza e la Fortezza sono di Costantino Brumidi, pittore romano che, successivamente trasferitosi negli Stati Uniti, affrescò la cupola del Campidoglio di Washinghton; nelle nicchie alle pareti sono collocate statue di angeli a forma di cariatidi reggivaso di Luigi Simonetti. L’archivolto su due colonne di cipollino, è di marmo bianco con tarsie di agata, lapislazzuli, malachite e diaspro; sopra il nuovo altare marmoreo (1946) vi è l’immagine miracolosa della Vergine “causa nostrae laetitiae” dipinta su pietra nel 1960 dal bolognese Domenico Muratori, allievo del Carracci, che si ispirò alla Madonna di Sassoferrato (l’autore della maestosa pala della chiesa di Santi Apostoli).
Il primo ripristino del santuario risale al 1751, una componente della storica famiglia Muti Papazzurri Savorelli fece infatti restaurare l’edicola della Madonna dell’Archetto dagli scultori Cinzio Ferrari e G. B. Grassi. Successivamente nell’anno santo del 1950, anche primo centenario della costruzione del santuario, la Primaria Società Cattolica Promotrice di Buone Opere, che dal 1918 officia la chiesa, realizza, con i finanziamenti di Pio XII, il restauro generale del santuario notevolmente danneggiato dall’umidità. Si intervenne oltre che sulle strutture anche sulle decorazioni (stucchi e dipinti) per opera di Luigi Leggeri, sotto la direzione artistica di Corrado Mezzana. Ancora, tra il 2014 e il 2015, importanti lavori hanno riportato all’antico splendore questo piccolo gioiello; la reintegrazione pittorica del santuario è stata eseguita ad acquarello ed i marmi puliti con impacchi di bicarbonato di ammonio mentre le gocce di cera e i residui di vernice rimossi meccanicamente. Il lavoro eseguito dai giovani allievi del corso di “ Restauro del dipinto” della scuola delle Arti Ornamentali del Campidoglio, ha restituito l’intenso blu e gli antichi ori a una piccola chiesa quasi sconosciuta ma con una lunga storia.