LA MOSTRA: “COLORI DEI ROMANI. MOSAICI DALLE COLLEZIONI CAPITOLINE” ALLA CENTRALE MONTEMARTINI IN ROMA

Usava dire Domenico la pittura essere il disegno, e la vera pittura per la eternità essere il mosaico”.

L’espressione di mosaico imputata da Giorgio Vasari, storico dell’arte del secolo Cinquecento, al pittore Domenico Ghirlandaio illustra la profonda relazione tra questa tecnica e la pittura.

Il mosaico romano ha origine come composizione artistica e figurativa attraverso frammenti di materiali chiamate tessere, con creazioni di immagini e disegni decorativi. Le tessere erano determinate da grandezze e profondità diverse, se molto piccole la rappresentazione era più accurata, soprattutto nei mosaici policromi e chiaramente saliva il prezzo del mosaico che era presente infatti solo nelle dimore e ville di grande ricchezza. I materiali adoperati erano il marmo, pietre varie, paste vitree o conchiglie. A Roma i primi mosaici saranno caratterizzati nel I secolo a. c. da motivi prevalenti quali geometrici, ad arabeschi e a vegetazione stilizzata, in seguito primeggeranno fino alla II metà del II secolo d. c. quelli in bianco e nero, attraverso pavimentazioni di terme, mercati, fori, templi e abitazioni private. Il mosaico si inseriva totalmente nell’ambiente in cui era realizzato, condizionando anche l’iconografia: scene mitologiche nei templi, motivi marini nelle terme, atleti nelle palestre, nature morte o scene dionisiache nei triclini, cani nei vestiboli, soggetti erotici nelle camere nunziali.

Il vocabolo mosaico, in latino detto “opus musivum” era probabilmente legato alle Muse, più esattamente “opera delle Muse” o “rivestimento applicato alle grotte dedicate alle Muse”. Nella romanità si usava infatti realizzare nei giardini delle ville, grotte e anfratti consacrati alle Ninfe (ninpheum) o alle Muse (musaeum), ornando i muri con sassi e conchiglie.

Il 27 aprile sono state esposte un capolavoro di opere che celebrano l’arte del mosaico nella antica Roma, splendori delle raccolte capitoline non molto note al largo pubblico, custodite attraverso circa un secolo nei depositi capitolini del museo. La mostra: “Colori dei Romani. Mosaici dalle Collezioni capitoline”alla Centrale Montemartini che offre ai visitatori una vasta scelta di mosaici, è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è curata da Claudio Parisi Presicce, Nadia Agnoli e Serena Gugliemi. La progettazione e l’allestimento sono di Roberta De Marco e Monica Zelinotti architetti della Sovrintendenza, con la partecipazione di Maria Cucchi e Simonetta De Cubellis. L’evento è organizzato da Zètema Progetto Cultura.

La rassegna attraversa periodi della storia cittadina di Roma e del gusto dell’epoca, mediante una selezione di mosaici, con motivi geometrici e rappresentazioni narrative di animali e dei e di iscrizioni e amuleti, inizialmente sui muri e dopo sulle pareti, ma anche di affreschi e sculture. Circa un centinaio di opere, provenienti dai medesimi edifici costituendo il loro arredo attraverso le richieste dei committenti, presentano un’importante rilettura della società della antica Capitale in un lungo lasso di tempo incluso tra il I secolo a. c. e il IV secolo d. c..

“L’allestimento restituisce i colori di queste opere, testimoniando il passaggio dalla fase monocroma a quella policroma”. Spiega la sovrintendente capitolina Maria Vittoria Clarelli.

L’esposizione è suddivisa in quattro sezioni tematiche, dove il percorso osserva una successione cronologica.

La prima sezione, contraddistinta dal colore rosso, introduce alla storia dell’arte del mosaico. I mosaici costituiscono l’insieme delle varietà delle pavimentazioni e delle decorazioni parietali, illustrando con le tecniche, i materiali, i colori, i motivi decorati, l’evoluzione stilistica e la trasformazione dell’arte musiva nei secoli.

“Il regno dei cieli è simile a una rete gettata in mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la traggono a riva e, sedutisi, raccolgono i buoni nei canestri, gettano invece via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo: usciranno gli angeli, separeranno i cattivi di mezzo ai giusti e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”.

La splendida immagine del mosaico della “scena di pesca”, sfortunatamente andato perso per più della metà dell’intera parte meridionale del pavimento si rifà al passo del Vangelo secondo Matteo concernente la pesca di tutte le varietà di pesci e alla salvezza finale. Realizzato con tessere policrome di marmi e calcari è stato scoperto a Roma, tra le vie Labicana e Merulana, vicino la chiesa dei S.S. Marcellino e Pietro ed appartiene al II secolo d. c.. Sempre nella I sezione la presenza dell’importante e significativo mosaico parietale con “cornice di conchiglie” è distintivo nelle decorazioni di grotte naturali o artificiali e di ninfei edificati nelle ville e nei giardini della tarda età repubblicana. E’ composto da tessere di pasta vitrea, marmo di Carrara, fritta e conchiglie e ritrovato a Roma, nel corso dello sbancamento dell’altura di Velia durante la costruzione della via dell’Impero è databile alla metà del I secolo d. c.

La II sezione, caratterizzata dal colore verde, ci descrive come si abitava e si viveva a Roma tra la fine dell’età repubblicana e l’età tardo – antica tra le abitazioni di lusso e gli ambiti domestici. Il percorso si articola attraverso uno svolgimento cronologico che và dai pezzi più antichi, ad esempio l’esteso mosaico policromo “a cassettoni”, rinvenuto in prossimità della Villa Casali al Celio, sino ai più recenti, giungendo così al IV secolo. Ricordiamo inoltre lo spettacolare mosaico policromo parietale “con nave e faro”, in tessere in pasta vitrea di molteplici colori e con tessere bianche in materiale calcareo. Ritrovato nel 1876 negli scavi per la creazione di via Nazionale, all’interno del giardino di Palazzo Rospigliosi – Pallavicini fu eseguito tra la fine del II e i primi anni del I secolo d. c.. Pregiatissimo ornamento della domus di Claudius Claudianus, celebre personalità di provenienza africana, ricopriva inoltre svariate funzioni politiche con Settimio Severo e Caracalla, celebrando i suoi commerci transmarini adornava di mosaici le pareti della sua fastosa residenza sul Quirinale. L’opera illustra la partenza da un porto, individuato in quello di Alessandria, di una nave a vele spiegate con i marinai al lavoro, attribuibile alla flotta che faceva arrivare il grano dall’Egitto a Roma.

Figura di primo piano nella III sezione, dal colore azzurro, della mostra, è la Basilica Hilariana, sede del collegio dei sacerdoti addetti al culto di Cibele e Attis, le cui iniziali rovine sono state dissotterrate durante il 1889 e il 1890 negli scavi per l’edificazione dell’ospedale militare del Celio. Manius Publicius Hilarus, facoltoso mercante di perle e magister a vita, sovvenzionò l’intera struttura architettonica della basilica, acquisendo il suo nome.

“A chi entra qui, e alla Basilica Hilariana, siano gli dèi propizi”.

Si leggeva sull’iscrizione a mosaico del portale. Esposte anche due opere musive straordinariamente conservate del monumento.

I mosaici degli edifici funerari nelle necropoli del suburbio di Roma sono infine collocate nella IV sezione, differenziata dal giallo. Nel repertorio sepolcrale la decorazione di temi figurativi, di motivi ornamentali o di soggetti mitologici, evidenzia sempre le qualità del defunto e glorifica gli ideali comuni basilari della società romana. Le opere musive sono tutte databili al II e III secolo d. c.. Rappresentativo della sezione è il “mosaico ottagonale con pavoni”, costituito da tessere di pietre calcaree di marmo e paste vitree, è stato ritrovato in una tomba lungo la via Appia a Roma, nelle vicinanze della torre di sinistra della Porta di San Sebastiano durante i lavori di abbassamento della quota del Viale Ardeatino lungo le Mura Aureliane, pavimentava la superficie centrale di una preziosa tomba di famiglia sulla via Appia, ed è del II secolo d. c.. Le decorazioni musive erano usuali nei monumenti funerari, con rappresentazioni di frutti e animali tra i quali il pavone, uccello sacro a Dioniso, che perdendo ogni anno la coda e rimettendola in primavera con lo sbocciare dei fiori, simboleggia la rigenerazione dopo la morte.

Il pregevole materiale d’archivio relativo alle opere della mostra della Centrale Montemartini rimanda attraverso foto storiche, acquarelli e disegni ai rinvenimenti dopo il 1870 includendo “Colori dei romani”, una mostra importante di grande impatto scenografico, nei festeggiamenti per i 150 anni di Roma Capitale. I capolavori finalmente restaurati e coordinati in un allestimento straordinario giungono infatti da templi, sepolture e abitazioni provenienti, al termine dell’Ottocento, dove nasceva la città moderna, cioè tra l’Esquilino, Quirinale, Celio e San Giovanni.

Taluni mosaici dell’esposizione sono già stati esibiti in una mostra organizzata, con enorme consenso di pubblico, in tre sedi dei Balcani: National Archaeological Institute with Museum at the Bulgarian Academy of Sciences e Sofia, Galleria Nazionale dell’Armenia a Jerevan, Museo della Georgia Simon Janashia di Tbilisi.

Siamo mosaici, pezzi di luce, amore, storia, stelle incollati insieme con la magia, la musica, le parole”. (Anita Krizzan)

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