Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, nacque il 29 settembre 1571 a Milano e deve il suo nome d’arte, con cui è passato alla storia, al paese di origine dei genitori.
Apprendista a Milano di Simone Peterzano, allievo di Tiziano, dopo un probabile passaggio a Venezia, dal 1596 è a Roma, dipingendo copie, ritratti e nature morte, fino ad entrare nella bottega di Giuseppe Cesari, tra i più quotati pittori della capitale, dove, tuttavia, rimarrà solo per alcuni mesi: un infortunio a una gamba, infatti, lo costringerà al ricovero presso l’ospedale della Consolazione.
Una volta dimesso, nella primavera del 1597, si spostò da monsignor Fantino Petrignani: è qui che giunse la vera e propria svolta, con lavori che furono in grado di stimolare l’interesse del cardinale Francesco Maria del Monte: questi acquisterà I bari ed accoglierà l’artista con sé a Palazzo Madama. Frutto di tale collaborazione saranno anche la Buona ventura capitolina, la Testa di Medusa e quadri come la Santa Caterina d’Alessandria in cui Caravaggio cominciò a fare un uso ancor più spinto dei chiaroscuri.
Il suo prestigio sociale, si riflesse nei suoi modi di fare sempre più fuori le righe che lo portarono anche ad essere arrestato. Compagno di scorribande è l’architetto Onorio Longhi, tra i protagonisti del celebre processo del 1603 in cui Giovanni Baglione denunciò Caravaggio, Longhi e i pittori Orazio Gentileschi e Filippo Trisegni, con l’accusa di aver diffuso sonetti scurrili e diffamatori nei suoi confronti.
Liberato, anche grazie alle sue influenti conoscenze, Caravaggio si recò a lavorare nelle Marche e Genova più volte; tornato a Roma, nel 1606 sarà costretto a lasciare la Capitale dopo aver ferito a morte il rivale Ranuccio Tomassoni, onde evitare la pena capitale.
Sarà allora Napoli a beneficiare del suo genio artistico, prima di spostarsi sull’isola di Malta per eseguire importanti lavori per l’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni; ancora una volta, però, il suo temperamento burrascoso lo costrinse ad una nuova fuga, ripiegando sulla Sicilia.
Si era sempre ritenuto che nel 1609 l’artista, approdato in Sicilia, prima di fare rientro a Napoli, avesse realizzato la Natività di Palermo: un’opera in cui si condensa la dannazione dell’uomo Michelangelo Merisi, perennemente in fuga e prima vittima della sua stessa intemperanza.
Un dipinto svanito nel nulla da ormai 51 anni: risale, infatti, all’ottobre del 1969 il furto di tale opera, ma il libro di Michele Cuppone, dedicato a questo olio su tela dalle dimensioni imponenti (268 x 197 cm), invita a soffermarsi e a riflettere sullo stile dell’autore, sulla bellezza e sulla sua precarietà.
È un’opera che rimanda per molti confronti iconografici a quelle romane, in particolare a quelle prossime al 1600, quando Caravaggio era impegnato a San Luigi dei Francesi, la prima grande impresa pubblica romana.
Il libro di Cuppone si concentra sull’analisi stilistica di questa opera, raffrontandola con numerose altre dell’artista, morto nel 1610: nella Natività infatti, sono presenti gli stessi modelli che avevano posato nei quadri del periodo romano di Caravaggio. Numerosi elementi, infatti, fanno sorgere il dubbio che, in realtà, l’opera non risalga, come da sempre ritenuto, al periodo siciliano, ma sia stata realizzata nel 1600: non solo per alcune “sfumature” di tipo artistico, legate al modus operandi di Merisi, ma anche per alcune analisi eseguite sul dipinto nel 1951 e per determinate considerazioni di natura prettamente tecnico-pratica.
“La Natività di Palermo, Nascita e scomparsa di un capolavoro”, di Michele Cuppone, ricercatore esperto di Caravaggio, che da lungo tempo si dedica alla ricerca scientifica e alla divulgazione, con numerosi saggi, articoli, recensioni e contributi vari, è un testo avvincente che ogni curioso, appassionato di storia dell’arte e di tecnologie applicate alle opere artistiche deve assolutamente leggere.
Caravaggio: personaggio contrastante in vita, artista geniale, maestro del chiaroscuro, uomo affascinante e capace di farci ancora parlare di lui, con le sue opere senza tempo.