Nel 1686 Giacomo II Stuart, re d’Inghilterra, Scozia e Irlanda, sovrano cattolico in un paese protestante, inviò a Roma il conte di Castlemaine con la precisa volontà che questo suo ambasciatore straordinario instaurasse una stabile relazione diplomatica con la Chiesa di Roma. Il papa Innocenzo XI accolse a braccia aperte sia l’ospite sia l’allettante prospettiva che l’Inghilterra – sfuggita alle briglie romane quando, nei primi anni Trenta del Cinquecento, Enrico VIII Tudor si era proclamato capo supremo della chiesa anglicana (1534) – potesse tornare sotto l’egida di Santa Romana Chiesa.
Il Parlamento aveva tollerato la politica filocattolica del re – che aveva scelto, contro la legge inglese, di inserire ministri cattolici nel Consiglio e nell’esercito (che lui stesso aveva reso permanente), aveva affidato a uomini cattolici i rettorati universitari e aveva smesso di convocare il Parlamento – probabilmente confidando che questa politica sarebbe morta insieme al re. Ma quando nel 1688 nacque un erede maschio, erede che avrebbe ricevuto un’educazione cattolica e che con essa sarebbe poi diventato re – sorpassava infatti, nella linea dinastica, il cugino Guglielmo III d’Orange (figlio della sorella del re) – la situazione precipitò.
Il 12 dicembre Giacomo II dovette fuggire da Londra: si rifugiò presso il re di Francia Luigi XIV che, insieme al papa, si adoperò sia sul fronte diplomatico che su quello finanziario per aiutare il re inglese a recuperare la corona. Alla morte di Giacomo II nel 1701 il sostegno di Luigi XIV, del papa e dei giacobiti passerà al figlio Giacomo Francesco Edoardo Stuart, il quale però, nonostante le sue prodezze militari – valsegli il cavalierato di San Giorgio – perderà l’appoggio francese a seguito della morte di suo cugino Luigi XIV (nel 1715) e alla stipula della Triplice alleanza nel 1717 con la quale anche la Francia (nella persona del reggente Filippo d’Orléans) entrerà a far parte del partito europeo ostile all’“Old Pretender”. Destino ugualmente fallimentare avrà anche la pretesa al trono di suo figlio, il “Bonnie Prince Charles” che nel 1745 guiderà i giacobiti alla disfatta: i tentativi di riportare uno Stuart sul trono inglese, infatti, avranno una brusca fine con la battaglia di Culloden (1746): gli highlander verranno sbaragliati dalle giubbe rosse e la loro fiera Scozia cadrà definitivamente in mano inglese.
Ma, facendo qualche passo indietro a ben prima che gli eventi prendano questa piega, ad offrire asilo a Giacomo Francesco Edoardo Stuart (riconosciuto come Giacomo III soltanto da suo cugino il re Sole) nel 1717 è il papa: Clemente XI, fermissimo nel proposito di legare a sé l’unico che avrebbe potuto porre fine a quella che lui considerava l’eresia anglicana, si adoperò non poco per il principe esiliato. Il papa infatti offrì all’esule un cospicuo assegno annuo e una residenza a Urbino; quando Guglielmo III volle sposarsi organizzò le sue nozze con Maria Clementina Sobieski, andando peraltro contro il volere dello zio della sposa, l’imperatore Carlo VI – che aveva negato a Guglielmo III la mano di una delle sue figlie e che era pronto a tutto pur di evitare anche queste nozze – il quale infatti rapì sua nipote e la rinchiuse in un convento ad Innsbruck dal quale fu lei a fuggire, brillantemente, raggiungendo lo Stato Pontificio.
A Roma il papa non solo permise agli Stuart – la cui dinastia nella città eterna si sarebbe, poi, estinta – di intrattenere una corte, ma pagò per l’affitto, la ristrutturazione e il mantenimento della dimora dei novelli sposi: scelse Palazzo Muti Papazzurri in Piazza SS. Apostoli e per esso fu la Camera Apostolica stessa a pagare al marchese Giovan Battista Muti il canone annuo di 1600 scudi. Nonostante il papa come dono di nozze avesse sia aumentato l’appannaggio mensile destinato al re sia offerto altri 100000 scudi,
si occupò di finanziare anche i lavori di ristrutturazione, affidati ad Alessandro Specchi e conclusi in pochi mesi: vennero avviati dopo la celebrazione delle nozze per procura (nel 1718) tra i due principi esuli e si conclusero nel marzo del 1719, in tempo per il perfezionamento del matrimonio nel settembre dello stesso anno.