Negli ultimi anni del Quattrocento, in una Roma costellata di ruderi in superficie ed ignara custode di resti sotterranei, viene casualmente scoperto quello che noi oggi sappiamo essere uno dei padiglioni della principesca dimora fatta costruire dall’imperatore Nerone negli anni Sessanta del I secolo d.C., la Domus Aurea, sfarzosa città dentro la città riccamente decorata da stucchi, affreschi, conchiglie e, soprattutto, oro.
Si tratta della porzione tutt’ora visitabile sul Colle Oppio, nella quale noi oggi possiamo passeggiare. L’esperienza di visita nel Quattrocento, però, era ben diversa dalla nostra: infatti la terra che si era accumulata nei secoli aveva coperto completamente pavimenti e pareti, lasciando visibili solo le volte che ricoprivano quegli ambienti.
Si scavarono tunnel – tutt’ora visibili in alcuni punti del percorso nella Domus Aurea – dai quali gli artisti cominciarono a calarsi, perché siamo nel pieno del Rinascimento e la lezione dell’Antico è fondamentale: ovunque si possa la si studia, misura, la si imita per impararla. In questo caso c’era la possibilità di vedere dal vivo la pittura romana, un’occasione unica se si pensa che siti come Pompei ed Ercolano sarebbero stati scoperti soltanto nella prima metà del Settecento.
Li attendeva una splendida sorpresa. Infatti, benché le volte non fossero le porzioni più riccamente decorate della dimora neroniana, presentavano quella che per gli artisti del Quattrocento era una novità assoluta: una tipologia di decorazione mai vista, fatta di figurine deformi e non, di animaletti, intrecci vegetali, maschere e ghirigori, su fondi bianchi oppure sapientemente inserite in architetture esili e fantasiose.
La scoperta di questo inedito modo di dipingere degli antichi fece, naturalmente, subito tendenza. Un esempio illustre della sua ripresa è dato dalle Logge di Raffaello in Vaticano, ma non è difficile imbattersi in queste riconoscibilissime decorazioni visitando Palazzi signorili in tutta Europa (e non solo).
Alla decorazione che conquistò principi, sovrani e cardinali si diede il nome di “grottesche”. Nessun intento dispregiativo; il motivo sta nella percezione degli artisti quattrocenteschi che si calavano con le funi in questi ambienti bui per copiarne le decorazioni che poi, tornati in superficie, avrebbero replicato: ai loro occhi più che ai soffitti di sale principesche quegli spazi angusti somigliavano a grotte.