La telemedicina, vale a dire l’erogazione di servizi sanitari attuata tramite le Information and Communication Technologies (ICT), costituisce l’orizzonte entro cui, in modo inesorabilmente progressivo, la medicina si sta oggi evolvendo. Sarebbe impossibile riassumere in questa sede le quaranta pagine delle linee di indirizzo nazionali sulla Telemedicina e sarebbe altrettanto difficoltoso (probabilmente anche insensato) costruire un discorso univoco su questo tema complesso e poliedrico. Ad esempio un discorso completo sulla telemedicina dovrebbe selettivamente prendere in considerazione tutte le molteplici finalità che essa si propone di raggiungere: prevenzione secondaria, diagnosi, cura, riabilitazione e monitoraggio. Bisognerebbe altresì esaminare criticamente anche la cosiddetta telemedicina specialistica, nelle sue molteplici declinazioni: televisita, teleconsulto, telecooperazione sanitaria e poi ancora un discorso a parte bisognerebbe farlo per la teleassistenza. Sebbene tali nomi possano sembrare ridondanti sinonimi, in verità essi rimandano a concetti diversi e irriducibili e ognuno di essi gioca un ruolo importante nel complesso quadro che va via via costituendosi. La telemedicina non è però un fenomeno isolato del nostro tempo. Al contrario essa s’inquadra perfettamente in quel processo rivoluzionario in atto, di portata sicuramente epocale, oggi nota come quarta rivoluzione informatica (il suggerimento al lettore è quello di approcciarsi agli studi avanzati del filosofo di Oxford Luciano Floridi per un quadro più preciso su tali questioni). Le categorie concettuali necessarie ad affrontare la questione della telemedicina devono perciò possedere la capacità di inquadrare quelli che apparentemente possono apparire come microfenomeni sociali all’interno di rivolgimenti più ampi della condizione umana del nostro tempo. Una prima distinzione da fare è tra le questioni interne alla digitalizzazione delle prestazioni sanitarie e le questioni esterne, e quindi letteralmente fondamentali. Le questioni interne sono perlopiù di carattere ingegneristico, progettuale, informatico. In una parola, sono questioni ‘tecniche’. Il problema relativo all’uniformità dei sistemi informatici delle varie Asl sul territorio è una questione ‘ab intra’, così come la gestione sicura dei dati o, relativamente alle televisite, il ruolo giocato dal caregiver o da operatori sanitari. Tali questioni sono tecniche, riguardano cioè la realizzabilità degli scopi medici e la relativa sicurezza della prestazioni erogate (anche in termini di privacy e protezione dei dati). Le questioni ‘ab extra’, invece, concernono questioni piuttosto filosofiche ed etiche. Una domanda antropologico-filosofica necessaria, ad esempio, per cogliere meglio il significato autentico della trasformazione della medicina potrebbe essere questa: con quale idea di uomo ha a che fare la telemedicina? Tale questione, lo si intuisce facilmente, non concerne più questioni tecniche, ma cerca di intercettare quelle dimensioni antropologiche implicite che uno sguardo esclusivamente tecnico-scientifico tenderebbe invece a lasciare sullo sfondo. A questo proposito sarebbe forse utile costruire dapprima una certa sensibilità filosofica in tutti i protagonisti principali di questa trasformazione epocale. Una lettura assai illuminante e formativa potrebbe essere quella di Karl Jaspers che tra il 1950 e il 1955 ha esposto le sue idee relative alla trasformazione del medico nell’età della tecnica in cinque saggi che oggi il lettore troverà raccolti in un libro intitolato appunto Il medico nell’età della tecnica (Raffaello Cortina, Milano, 1991. Ebbene, è forse il caso di chiedersi se la telemedicina non dia un impulso impetuoso a quei processi di oggettivazione dell’essere umano che oggi risultano massicciamente in atto. L’informatizzazione della relazione medico-paziente, inoltre, potrebbe significare eo ipso il suo annullamento, nella misura in cui i processi empatici, la cura delle dimensioni esistenziali, la sintonizzazione emotiva, resterebbero tagliati fuori dal diaframma tecnologico interposto tra specialista e ammalato. Quest’ultimo, inoltre, rischierebbe di perdere completamente la sua identità trasformandosi in un agglomerato di dati osservati, monitorati, interpretati e diagnosticati privi di consistenza personale, dialogica ed emotiva. In nulla la prestazione medica si distinguerebbe dalle mere osservazioni che il giovane studente di medicina compie su specifici manuali, nell’astrattezza scientifica necessaria al tempo della formazione ma insufficiente nel tempo dell’effettiva professione. Il dato medico, completamente disumanizzato e totalmente digitalizzato, sarebbe il trionfo di un cartesianesimo medico-diagnostico incapace di tenere insieme le dimensioni umane della cura. C’è da attendersi un consolidamento anche della telepsicoterapia? Non è da escludere e diversi terapeuti hanno sperimentato, nei momenti più duri della pandemia, le sedute virtuali. Altri, invece, si sono energicamente opposti. Il discorso rimane aperto e alla filosofia, come sempre, resta l’arduo e oneroso compito di osservare, segnare il passo e criticare (in senso kantiano, evidentemente) la progressiva informatizzazione della medicina.