Nel panorama della periferia est di Roma, svetta una “vela” di ferro, lo scheletro di quello che l’opera avrebbe potuto essere. Il progetto, di Santiago Calatrava, è cominciato nel 2005 e fu interrotto nel 2010. Era stato pensato, almeno nelle intenzioni, per ospitare i mondiali del 2009 ma per mancanza di fondi e per i prezzi che continuavano a lievitare tanto che nel 2011 si è stimato che per il completamento dei lavori servano 660 milioni di euro, è stato usato il complesso di strutture del foro italico.
Nel 2012, Alemanno annunciò che il progetto sarebbe stato portato avanti con il contributo di privati ma il cantiere, come possiamo vedere oggi stesso, non è mai partito.
Nel 2014, L’università di Torvergata propose un progetto per trasformare la struttura in una serra/orto botanico. La spesa prevista, questa volta, era di 60 milioni di euro. Nonostante la cifra relativamente contenuta, neanche questo progetto vide mai la luce. Nello stesso anno, il Codacons ne ha proposto la demolizione in quanto la struttura incompiuta danneggerebbe “il paesaggio e la collettività”. Ora questo gigante di ferro ospita sparutamente alcuni set cinematografici come successe per Suburra e più recentemente per una produzione Netflix: Six Underground. Esiste anche un’iniziativa chiamata Open house che organizza a cadenza annuale un solo fine settimana alla scoperta dell’architettura romana che inserisce la Vela nel programma.
La Vela di Calatrava si inserisce in quella fitta schiera di opere ingegneristiche e edifici abbandonati che popolano in particolare Roma e in generale tutta la nazione. In un periodo come quello che stiamo vivendo, l’attenzione verso spazi di condivisione e socialità passa in secondo piano vista l’emergenza. Ma forse, proprio grazie ad un periodo simile, abbiamo l’occasione di ripensare gli spazi per poter vivere, quando possibile, gli spazi con una coscienza diversa.
Foto e testo di Manuel Grande