LA VERITA’ LA DICIAMO SOLO A GOOGLE

Numerose ricerche affermano praticamente con assoluta certezza che la verità ormai la diciamo solo a Google, e che quindi mentiamo tranquillamente a chiunque in qualsiasi situazione, mentiamo a tutti, mentiamo familiari, amici, sondaggisti, medici, questionari, e pure a noi stessi, e che solo al “motore di ricerca” diciamo cosa davvero desideriamo, cosa realmente vogliamo, cosa onestamente sogniamo.

Nel 2009 Google ha introdotto GTrends, e cioè uno strumento capace di rivelare quante persone, in una determinata area, stanno cercando un termine specifico.

Una classificazione rivoluzionaria che costituisce il più importante set di dati mai raccolto sulla psiche umana, una catalogazione che dimostra come quasi tutto quello che si sa sulle persone sia sbagliato, semplicemente perché le persone mentono, tranne che alla stringa vuota della ricerca in internet.

È quindi quello il luogo dove ci sentiamo completamente liberi, dove possiamo soddisfare ogni più strana e perversa curiosità, senza che nessuno ci osservi e ci giudichi…(forse).

Viva Internet, e viva il più fedele confidente che possiamo avere: Google.

Ma nell’era degli algoritmi ricordiamoci che ogni azione in rete viene tracciata, registrata e analizzata, per cui il motore di ricerca e i vari social network potrebbero, in qualunque momento, dirci chi siamo veramente.

Molto più dei tradizionali sondaggi a cui chiunque cerca di dare un’immagine migliore di sé: si chiama bias della desiderabilità sociale.

Numerosi sondaggi hanno riportato dati secondo cui gli utenti di Google cercano porno più di quanto cerchino meteo, ma tuttavia è difficile riconciliare tutto questo con i dati dei sondaggi, poiché solo una minima parte degli intervistati ammette di guardare materiale pornografico, falsando il risultato in nome del comune senso del pudore.

In un giorno medio della prima parte del Ventunesimo secolo gli essere umani generano 2,5 miliardi di byte di dati.

Si tratta di un flusso così crescente di informazioni che quelle accumulate nel corso degli ultimi due anni ha superato l’ordine dei Zettabyte (ognuno di questi equivale a un triliardo di byte) una quantità assurdamente grande che pone il vero quesito relativo ai Big Data: come decodificarli e renderli vantaggiosi, non solo a livello economico.

Nonostante il generale senso di inconsapevolezza, i Grandi Dati scandiscono costantemente la quotidianità di tutti: dai telefoni, alla carte di credito usate per gli acquisti, dalla televisione agli storage necessari per le applicazioni dei computer, dalle infrastrutture intelligenti delle città, fino ai sensori montati sugli edifici, sui mezzi di trasporto pubblici e privati.

Oggi tutto è Big Data, e noi siamo quello che cerchiamo, le parole sono dati, i clic sono dati, i link sono dati, i refusi sono dati, la voce è un dato, le ricerche però sono i dati più rivelatori.

Google, di fatto, è diventato il confessore dei nostri peccati 2.0.

E se lo scenario che rischia di emergere da questa mappatura delle ricerche può sembrare deprimente, c’è però qualcosa di rassicurante, analizzando i dati anonimi di milioni di persone scopriamo che non siamo gli unici ad avere difficoltà nella vita, nel matrimonio, sul lavoro, in amore, nel sesso.

Perché a scorrere la timeline di Facebook, a volte, sembra invece che tutti abbiano una vita migliore della nostra, e invece, semplicemente, stanno mentendo.

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