Quando il primo dito del piede comincia ad essere dolente se viene piegato, se l’articolazione si ingrossa ed è calda, potremmo essere affetti da alluce rigido. Questa riduzione della mobilità dell’articolazione ha alla base un processo artrosico, e quindi è una vera e propria patologia degenerativa.
Il quadro doloroso si instaura a causa della progressiva perdita di cartilagine articolare e la conseguente graduale formazione di osteofiti: questo limita gradualmente le capacità di movimento dell’articolazione e può portare all’anchilosi.
L’alluce rigido colpisce prevalentemente gli uomini nella fascia tra i 30 ed i 60 anni di età; i fattori che possono predisporre a tale condizione sono traumi (severi oppure microtraumi ripetuti), conformazione anatomica del piede e sua conseguente dinamica nella fase del passo, oppure malattie sistemiche.
In base al fattore scatenante l’alluce rigido può essere definito primario, se la causa è idiopatica (sconosciuta), oppure secondario, se l’insorgenza è causata da traumi o da malattie sistemiche metaboliche, infiammatorie o autoimmuni, oppure dalla conformazione del piede: una larghezza maggiore di I, II e III metatarso rispetto al IV e V porta il peso del corpo a gravare maggiormente nella porzione mediale dell’avampiede.
A seguito di interventi chirurgici che necessitano o causano un’immobilità prolungata dell’articolazione del I dito si può instaurare una condizione di alluce rigido; uno di questi interventi può essere proprio quello per la correzione dell’alluce valgo, patologia che può causare alluce rigido ma dalla quale va differenziata.
Se l’insorgenza dell’alluce rigido è precoce, per esempio in fase adolescenziale, può dipendere da una conformazione genetica del primo osso metatarsale nella sua porzione articolare: qui una forma troppo piatta o troppo squadrata del versante articolare può portare ad un sovraccarico precoce della struttura.
Essendo il piede il primo punto di appoggio di tutto il “palazzo-corpo”, un adeguamento dell’appoggio delle “fondamenta” a causa del dolore di un alluce può portare nel tempo a compensi ascendenti quali tendiniti ai muscoli lunghi della gamba, talloniti, dolori al ginocchio (sia omolaterale a causa di un ciclo del passo incompleto sia al controlaterale per lo spostamento del baricentro sul piede sano) e lombalgia (sempre per un ciclo del passo incompleto e compensato, sia per lo spostamento del carico).
Per effettuare la diagnosi si valuta l’articolazione nella sua dolenzia e nel suo ROM per valutare la compromissione della mobilità; in associazione una lastra permette di stabilire con precisione il grado di compromissione dell’articolazione. In alcuni casi integrare con RM o TAC può essere di aiuto.
Le terapie per la risoluzione della sintomatologia possono contare sull’uso di creme antinfiammatorie da applicare per via topica sull’articolazione interessata oppure infiltrazioni intrarticolari.
A livello di fisioterapia si interviene invece con caute mobilizzazioni dell’articolazione e pompage al fine di migliorarne il ROM; per l’infiammazione si interviene con terapie strumentali quali tecarterapia, ultrasuoni, laser o InterX terapia. Sempre utile associare la crioterapia nei momenti di elevata infiammazione.
In parallelo, se il dolore lo permette, o appena usciti dalla fase acuta, una rieducazione dell’appoggio plantare e della gestione del baricentro è necessaria al fine di evitare di intervenire solo sulla sintomatologia ignorando la causa.
Evitare calzature che lascino pronare il piede nella fase del passo è altrettanto utile, così come prediligere scarpe che non costringano il piede nella regione dell’alluce.
Quando invece si è di fronte ad un piede che presenta uno squilibrio costituzionale intervernire con plantari correttivi che lo aiutino a scaricare parte della forza su IV e V metatarso è necessario per la prevenzione di recidive o di un aggravamento della degenerazione articolare.
Se ormai la degenerazione articolare è troppo elevata e tutti questi interventi arrivano troppo tardi l’unica strada è l’approccio chirurgico.
Se l’articolazione non è disastrata una tecnica percutanea che decomprima l’articolazione può essere sufficiente nel breve-medio periodo per migliorare dolore e funzionalità; tuttavia se non si interviene modificando l’appoggio plantare la situazione può ripresentarsi.
In fasi di degenerazioni iniziali si può intervenire con una osteotomia delle parti ossee per riallineare meccanicamente l’articolazione.
Quando invece l’articolazione è gravemente danneggiata intervenire con una artroplastica o con una protesi possono essere due scelte valide per recuperare mobilità ed una qualità di vita normale.
L’extrema ratio chirurgica è l’artrodesi dell’articolazione metatarso-falangea, che consiste nella fusione delle due ossa, che di fatto annulla i dolore ma anche qualsiasi capacità di movimento dell’articolazione.