L’altare di Vuolvino in S. Ambrogio a Milano: superstite d’eccezione dell’oreficeria carolingia di IX secolo

Il più completo superstite italiano della raffinata oreficeria di epoca carolingia, testimone di un’arte che nel IX secolo stava vivendo una fase di grande rinnovamento, è l’altare della basilica di Sant’Ambrogio a Milano, ricoperto di lamine d’oro (quelle del lato frontale) e d’argento (tutte le altre), smalti cloisonné e pietre preziose. Un’opera nella quale si equilibrano perfettamente le diverse tecniche dell’oreficeria, un settore artistico che influenzò profondamente la formazione del linguaggio figurativo di epoca carolingia tanto negli elementi puramente decorativi o aniconici quanto nell’impiego della figura umana, che esce dalle pagine miniate dei manoscritti per riconquistare uno spazio rilevante anche nell’arte suntuaria monumentale, come mostra chiaramente l’altare di Sant’Ambrogio sia nelle figure della fronte, più snelle e rarefatte, sia in quelle del lato posteriore, più solide e monumentali.

Poiché Pavia recava su di sé un ingombrante bagaglio regale longobardo, la città di Milano e gli arcivescovi che la amministravano divennero un punto di riferimento nell’Italia settentrionale carolingia: l’altare d’oro in S. Ambrogio è una testimonianza di questo fortunato periodo, fiera attestazione del rinnovato prestigio della città. A commissionare il sontuoso paliotto fu infatti Angilberto II, arcivescovo della città meneghina dall’824 all’859, il quale ne affidò la realizzazione ad un’équipe capeggiata dal maestro orafo Vuolvino. Sia l’arcivescovo che l’artista compaiono tra le molte figure che popolano l’altare, ritratti insieme al santo al quale la chiesa è dedicata: una certificazione del loro orgoglio sociale e della loro autoconsapevolezza.

Al centro dell’altare, nella parte frontale (visibile ai fedeli), è raffigurato un Cristo assiso in trono; attorno a lui, a formare i quattro bracci di una croce della quale il Redentore è il centro compositivo e teologico, sono i simboli dei quattro evangelisti. Attorno a questa croce si dispongono in gruppi di tre, nei pannelli di risulta, i dodici apostoli, in una composizione che pare sviluppare in senso figurativo la disposizione che già nell’VIII secolo si era soliti dare alle gemme che ornavano i reliquiari illustrandone sinteticamente – attraverso la distribuzione geometrica anziché una narrazione figurata come in questo caso – il senso dottrinale.

Ai lati di questo nucleo centrale dodici pannelli – sei per lato – illustrano la storia della Redenzione, che qui, conformemente ai dettami della religione cristiana, comincia con l’Annunciazione alla Vergine dell’imminente incarnazione del Cristo e termina con l’Ascensione, momento che sancisce definitivamente la sua vittoria sulla morte e la sconfitta del peccato originale.

Sui due lati brevi dell’altare vediamo tornare il tema della croce, che è simbolo del sacrificio col quale Cristo ha liberato i suoi seguaci dalla morte eterna ma anche della via che il fedele deve abbracciare e percorrere per meritare di accedere alla vita eterna, riconquistata per lui dal Redentore proprio attraverso quella medesima via; il tema dell’imitazione della parabola umana del Salvatore da parte di santi e martiri tornerà anche nella parte posteriore dell’altare. La croce è, nel caso dei lati brevi, gemmata e a braccia patenti, posta al centro di un ritmato, sebbene ordinato, sistema di losanghe: attorno alla Croce sono collocati santi vescovi e martiri che, insieme agli otto angeli collocati negli altrettanti triangoli creati dalla losanga centrale, sono intenti ad adorarla.

Il lato posteriore, infine, visibile soltanto al clero, ospita il racconto della vita di Ambrogio, santo titolare della basilica, in dodici scene la cui ripartizione riproduce simbolicamente quella che il lato principale

riservava alla vita di Cristo, in piena conformità al principio dell’imitatio Christi (l’imitazione di Cristo alla quale sono chiamati i santi e tutti i fedeli). Al centro, invece, troviamo due ante – aprendo le quali era possibile vedere le reliquie dei santi Ambrogio, Gervasio e Protasio conservate nella cripta posta al di sotto dell’altare – ognuna delle quali presenta due clipei: in quelli superiori sono raffigurati gli arcangeli Michele e Gabriele, mentre nei due inferiori Sant’Ambrogio è impegnato ad incoronare rispettivamente il committente Angilberto (nel tipico atto di offerta dell’opera, in questo caso l’altare, al santo dedicatario) e l’artista, il “magister phaber” Vuolvino.

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