La Basilica di San Martino ai Monti ha una storia molto antica, che ci viene raccontata dalle sovrapposizioni e dai reperti delle sue varie fasi costruttive.
L’attuale Colle Oppio faceva parte della Reggia Esquilina, un’area molto importante in cui si trovavano la Domus Aurea e le terme di Diocleziano. Ai sui confini si trovava la Suburra, zona povera e affollata, dove l’edilizia era per lo più popolare con Insulae in parte in legno. Qui nei primi secoli dopo Cristo erano molto diffusi i riti pagani, orientali e all’inizio del IV sec. si costruì un luogo di culto cristiano per contrastare questi culti. La prima ‘chiesa’ che si costruì era un ‘titolo’, corrispondente alle odierne parrocchie, dedicato a San Equitio, il ricco cittadino romano che donò l’edificio che venne trasformato appunto in Chiesa. L’uso di edifici privati da dedicare al culto cattolico permetteva una maggiore riservatezza in un periodo in cui professare questa fede non era ancora sicuro e si evitavano così controlli.
Nel VI sec poi papa Simmaco restaurò il Titolo ed edifica la prima chiesa vera e propria dedicata a San Martino e San Silvetro. Nell’845 papa Sergio II abbatte la chiesa preesistente e ne costruisce una nuova usando anche parte delle mura Serviane. La struttura resterà poi quella di papa Sergio II ma subirà diversi interventi successivi nel Rinascimento per volere dei cardinali Carafa e Borromeo, fino in epoca Barocca in cui acquisirà l’aspetto che ha ora. Venne rinnovata completamente da un equipe di artisti guidati da Filippo Gagliardi dello il Bizzarro o Filippo delle prospettive, che la arricchì con uno stile barocco sobrio, elegante e senza eccessi. Ciò è visibile già dalla facciata: nella parte inferiori le effigi di papa San Silvestro e di San Martino; ai lati del portone due stemmi perché è una chiesa ‘titolata’, cioè affidata ad un cardinale nel momento della sua nomina, il cui stemma viene così esposto sulla chiesa accanto a quello del papa regnante.
La sua storia si è così stratificata sopra al titolo del IV sec. che si raggiunge scendendo nei sotterranei sotto l’altare. L’orientamento di questo primo edificio si sviluppa perpendicolarmente all’attuale chiesa e probabilmente erano degli edifici commerciali, forse un mercato coperto, poi convertiti all’uso religioso con la donazione di Equitio. L’ambiente è diviso in tre navate con ambienti con volte a crociera arricchiti da
pavimenti a mosaico e pareti dipinte. Qui troviamo i resti della chiesa del VI secolo demolita per costruire la chiesa barocca: ad esempio vi sorprenderanno le transenne che inizialmente dividevano i fedeli dal clero poi eliminate dopo il Concilio di Trento che cercò di riavvicinare la Chiesa ai suoi fedeli; un bellissimo bassorilievo rappresentante ‘Cristo buon pastore’, un melograno simbolo del Cuore di Gesù e molte lapidi che si usava mettere a copertura dei fedeli illustri sepolti all’interno della chiesa.Nel ‘600 molti affreschi delle pareti erano ancora ben conservati e grazie ai disegni che ne vennero fatti è possibile ricostruire le immagini rappresentate, che non sono tutte di carattere religioso, ma con soggetti pagani a riprova che i locali inizialmente avevano una destinazione diversa.
La sontuosità di questi affreschi apre anche all’ipotesi che si trattasse di una domus romana piuttosto che di un mercato coperto; anche se in un livello sottostante sono stati ritrovati cinque magazzini ancora per la maggior parte interrati e accessibili, nella parte scavata, solo recentemente.
La navata laterale anticamente era un portico coperto, sorretto da colonne ora non più visibili perché inglobate nei pilastri di sostegno costruiti successivamente.
Nella volta della navata centrale è parzialmente visibile un affresco di un’enorme Croce gemmata del IX sec..Nella navata destra nel ‘600 venne costruita una cappellina in cui ancora sopravvive il pavimento a mosaico bianco e nero del III Sec., risalente al mercato coperto. L’errore di interpretazione che fecero in età barocca del mosaico sulla parete, interpretato come la Madonna benedicente (più grande perché più importante) con papa Silvestro, gli fece costruire una magnifica decorazione barocca intorno ad esso con la riproduzione in alto del mosaico stesso. In realtà si trattava di papa Simmaco davanti a papa Silvestro. Nella parete sopravvive appena visibile una finta prospettiva opera di Filippo Gagliardi. Negli ambienti successivi si possono scorgere gli affreschi con Costantino e la madre S. Elena; poi gli affreschi con Gesù, Pietro e Paolo accanto a Processo e Martiniano, i due carcerieri degli apostoli che furono martirizzati per averli fatti fuggire ed essersi convertiti al cattolicesimo.
La parte sotterranea della chiesa è ricchissima di dettagli che raccontano storie dall’epoca romana ai tempi della II Guerra mondiale, quando molti cittadini romani, in questi ambienti, trovavano riparo dai bombardamenti e lasciavano iscrizioni sui muri che ne testimoniano oggi il loro passaggio.
Camminare in questi ambienti ci immerge in un luogo fuori dal tempo, in uno spazio in cui le ‘storie’ si mescolano e si sovrappongono, stuzzicando curiosità e stupore.
La scenografica cripta, tipicamente barocca, è ricca di stucchi e così bella da essere stata per lungo tempo attribuita a Pietro da Cortona, mentre oggi sappiamo che fu ideata dal Gagliardi, come la stessa navata centrale. Vi si trova un’enorme cassa contenente i resti dei martiri e di fronte ad essa due lapidi con l’elenco dei nomi di essi scritte in due stili completamente diversi per simulare un’iscrizione più antica.La Chiesa attuale meriterebbe un articolo tutto per sé, per descrivere la bellezza del suo soffitto ligneo del 1700; le colonne antiche; gli stucchi sopra la trabeazione della navata centrale con soggetti, a destra, del popolo di Israele e, a sinistra, del martirio (gli oggetti usati per torturare sono così dettagliati da far venire i brividi); i tondi con i simboli degli evangelisti.
Nelle navate laterali poi troviamo un vero e proprio unicum tra le chiese romane: una serie di paesaggi del pittore Gaspard Dughet della campagna romana , in particolare la zona di Tivoli, in cui la presenza di figure umane è del tutto marginale. Alternate a queste affreschi splendono le prospettive del Gagliardi tra cui da non perdere sono quelle dell’interno di San Giovanni in Laterano prima dell’intervento del Borromini e di San Pietro in cui possiamo vedere la posizione in cui si trovava l’enorme ‘pigna’ ora spostata nei giardini dei Musei Vaticani. Sembra che i due artisti vogliano mettere a confronto la bellezza della natura con la maestria dell’uomo per esaltare la grandiosità di entrambi. E questo non fa che aumentare lo stupore di chi entra in questa basilica e resta sorpreso dai mille meravigliosi dettagli che esaltano ciò che può fare l’uomo in nome di Dio.