Nel 1850 il nome probabilmente più noto tra i Preraffaelliti, Dante Gabriel Rossetti, realizza la sua versione di uno dei soggetti più tipici dell’arte occidentale, un tema consumatissimo che proprio per questo gli permette di confrontarsi direttamente con la tradizione figurativa di XIII e XIV secolo, o per meglio dire con quel Medioevo puro e fiabesco (un Medioevo immaginato e sognato, non ricostruito storicamente) che catturava la fantasia e il gusto di questo gruppo di artisti inglesi che del resto partecipavano con entusiasmo ad un interesse molto più generale, animato teoricamente soprattutto da John Ruskin e affabulato dalla produzione letteraria e musicale coeva.
L’Ecce Ancilla Domini oggi al Tate Britain di Londra colpisce perché è un’opera nella quale viene data voce alla donna, alla ragazza, più che alla madre di dio. Capiamo perfettamente il motivo del suo ritrarsi, del suo rannicchiarsi contro il muro di fronte alla figura algida e impassibile dell’arcangelo Gabriele e al messaggio perentorio che è venuto a portare. Appare chiarissimo dalla sua posa, dall’invasione dello spazio privato di Maria, che lui non è lì per chiedere a lei cosa intenda fare; è qui per dirle che avrà un figlio e lo chiamerà Gesù.
La Vergine di Rossetti ha lo sguardo atterrito, perso nella riflessione di cosa tutto questo comporterà per lei; ci appare ancora più pallida grazie alla veste bianca, quasi dello stesso colore del muro e del lenzuolo: il rosso dei suoi capelli cattura l’attenzione e rende impossibile ignorare i suoi pensieri, le sue preoccupazioni. A differenza delle Madonne delle Annunciazioni medievali e rinascimentali, già prontissime al loro ruolo di madri di dio e regine dei cieli, già vestite di blu e intente alla preghiera oppure alla lettura, pudiche ma liete di rispondere a questa chiamata a senso unico, quella dipinta da Rossetti è una giovanissima donna che viene colta del tutto impreparata: l’annuncio la getta in uno stato di profonda meditazione e di angoscia e solo l’aureola e l’azzurro della tenda alle sue spalle la rendono riconoscibile come la futura Vergine Madre, figlia del suo figlio; senza di essi ci appare come una ragazza spaventata, sul cuore della quale è appena piombato un destino non ricercato.
L’ambiente spoglio richiama alcune delle interpretazioni più raffinate del soggetto, ad opera degli artisti italiani cosiddetti primitivi – coloro che erano venuti prima di Raffaello, prima della maniera moderna – che la confraternita preraffaellita prediligeva e prendeva a modello. Ma se nel caso di artisti come Beato Angelico la semplicità dell’architettura rifletteva l’umiltà della Vergine, qui – complice anche la dimensione delle figure che occupano la stanza quasi del tutto, chiudendo lo spazio – la sensazione è di un luogo angusto e quasi soffocante, apparentemente privo di vie d’uscita, come è in effetti la prospettiva di vita che è stata appena imposta alla giovane Maria.