TUTTO PER I LIBRI: PETRARCA E LA SUA BIBLIOTECA

Nel 1351 Francesco Petrarca decise di ritornare a vivere in Italia, dopo aver trascorso a Valchiusa numerosi anni. Il trasloco tuttavia si rivelò difficoltoso e costellato di insidie, pertanto l’autore aretino decise in un primo momento di sospendere il viaggio: prima del suo rientro sarebbero passati quasi altri due anni, al termine dei quali avrebbe potuto finalmente unire i suoi due fondi librari principali, quello transalpino, ossia francese, e quello cisalpino, situato a Parma. Della gioia che lo pervase quando riuscì a vedere la sua biblioteca riunita parlò nelle sue lettere, le stesse in cui definì la propria collezione libraria come sua figlia e unica consolazione dopo la perdita del figlio Giovanni.

Ma fu durante gli anni trascorsi presso i Visconti che iniziò a sognare per i propri volumi un luminoso avvenire: in un primo momento, avendo saputo dell’intenzione del caro amico Giovanni Boccaccio di abbandonare gli studi, gli offrì di unire le loro biblioteche perché costituissero un unico fondo librario; quando però egli rifiutò l’offerta, per far fronte alla mancanza di eredi, decise di lasciarla in dono alla città di Venezia perché dopo la sua morte divenisse una biblioteca pubblica, ispirata alle grandi collezioni librarie dell’antichità.

Le trattative andarono avanti per un’intera estate, nel corso della quale l’amico Benintendi Ravagnani, alto funzionario veneziano, appoggiò strenuamente il progetto petrarchesco il quale, se fosse riuscito, avrebbe dato ancor più lustro alla città lagunare e garantito ai libri di Petrarca il giusto rilievo nel vivace contesto culturale dell’epoca.

Nel settembre 1362 tutto era pronto: il doge Dandolo aveva accettato le proposte di Petrarca, inclusa quella di destinargli a titolo vitalizio l’uso di un appartamento. Non appena vi si trasferì, Petrarca decise che quello sarebbe diventato principale ritrovo veneziano per studiosi e dotti, desiderio reso ancora più ambizioso dal transito di numerosi bizantini nella città lagunare. Lo stesso Petrarca tentò di incrementare le proprie conoscenze avvicinandosi proprio alla cultura e alla lingua greche, che purtroppo non riuscì mai ad approfondire, stando al suo epistolario, quanto avrebbe voluto.

Tuttavia, questo progetto così innovativo e grandioso fallì: Petrarca, nel designarlo, non aveva infatti tenuto conto dell’impostazione culturale rigidamente aristotelico-averroista della città, che si rivelò invisa alle sue prospettive pienamente platoniche. Ormai il doge Dandolo e l’amico Ravagnani erano morti, e nulla poterono contro le accuse d’ignoranza che quattro notabili veneziani rivolsero al nostro autore che, ferito, dovette cercare un altro approdo per sé e per la biblioteca che tanto amava. Un sogno meraviglioso, dunque, quello di Petrarca, destinato tuttavia, in quanto tale, a dissolversi a causa dell’ingratitudine e dell’incomprensione di una città che gli si rivelò invisa.

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