L’ITALIA, PATRIA MATRIGNA… La prima retrospettiva francese su Juana Romani

Dal 19 maggio al 19 settembre 2021, il Musée Roybet Fould di Courbevoie (appena fuori Parigi), ospita la mostra Juana Romani (1867-1923), modèle et peintre. Un rêve d’absolu, dedicata alla vita e all’opera della pittrice italiana Juana Romani (Carolina Carlesimo; Velletri, 1867 – Suresnes, 1923), artista tra le più note ed influenti nella Parigi della fine XIX secolo, misconosciuta in patria e, per questo, oggi quasi dimenticata.

Nata, nel 1867, a Velletri, con il nome di Carolina Carlesimo, da un brigante, Giacinto Carlesimo, e da una sarta di origini ciociare, Marianna Schiavi, Juana ha un’infanzia piuttosto travagliata, preludio di un destino avventuroso e dall’esito tragico. In seguito all’abbandono della famiglia da parte del padre, infatti, Carolina si trasferisce, dapprima, in casa Romani (famiglia di proprietari terrieri della cittadina laziale, originari della Repubblica di Venezia), presso cui la madre lavora come domestica e si lega sentimentalmente al musicista Temistocle Romani, figlio del padrone, e, dal 1877, a Parigi. Qui, la ragazza scopre e asseconda la propria vocazione artistica di modella, posando per vari pittori presso l’Académie Julian e Colarossi, e, ben presto, di pittrice. La sua bellezza mediterranea e, insieme, il suo carattere forte e indipendente seduce e ispira molti talenti, primo fra tutti quello dello scultore Alexandre Falguière (1831-1900), che la renderà celebre valorizzandone la grazia e la sensualità delle forme ne La Nymphe Chasseresse (1884). Dal 1884, anno in cui conia lo pseudonimo di “Juana Romani”, viene scelta come modella da numerosi altri artisti, tra i quali Jean-Jacques Henner (1829-1905), Carolus-Duran (1837-1917), Raphaël Collin (1850-1916), Victor Prouvé (1858-1943) e, soprattutto, Ferdinand Roybet (1840-1920), che ne immortalerà la bellezza in scene di genere e ritratti e la incoraggerà a dedicarsi alla pittura. Dal 1887, prende, forse, lezioni presso l’atelier des dames, scuola di pittura riservata alle donne, da Henner e dallo stesso Roybet, ed entra in contatto con poeti e critici d’arte, come Armand Silvestre e Roger-Milès. Assidua lettrice, si forma da autodidatta lasciandosi influenzare da incontri, viaggi, letture e dallo studio della storia dell’arte. Il suo sogno, simile a quello dei simbolisti e dei Preraffaelliti, è quello di un’arte totale, espressa mediante ritratti di donne che incarnano un erotismo nel contempo ideale e reale, mirando al riconoscimento dei suoi maestri e, nondimeno, di quell’Italia che, lasciata bambina, continuava ad amare e vagheggiare.

Nel 1888, partecipa al suo primo Salon, sorprendendo il pubblico con la sua abilità nel rendere l’incarnato femminile. Successivamente, i soggiorni in Italia (1892) e in Spagna (1893), le permettono di conoscere e apprezzare l’arte bizantina e le opere di Velázquez e acquisire nuove suggestioni dall’arte del passato. In breve tempo, la pittrice si impone, con uno stile personalissimo, che prende le mosse dalla pittura del Seicento fiammingo e dalla scuola veneta del tardo Cinquecento, conquistando i critici dell’epoca. La sua ispirazione, legata ad una profonda riflessione sull’universo femminile, è spesso rivolta a personaggi storici (Bianca Cappello, Beatrice e Eleonora d’Este, Giovanna d’Arco), biblici (Salomé, Erodiade, Giuditta), letterari (Angelica, Graziella) e melodrammatici (Desdemona, Fior d’Alpe), cui Juana presta spesso le proprie sembianze. L’artista rifiuterà sempre di far parte di associazioni di femmes peintres, rivendicando sul campo la parità di genere rispetto ai colleghi uomini, quale intima e massima aspirazione del suo talento. Dal 1888 al 1904, partecipa al Salon della Société des Artistes Français, ad esposizioni nella provincia francese e all’estero, avviando una fortunata carriera di ritrattista della borghesia e dell’aristocrazia europea (dalla principessa Murat e duchessa di Luynes alla baronessa de Rothschild). Medaglia d’argento nella sezione italiana di pittura all’Esposizione Universale del 1889, approda in Italia con quella del 1900. Nel 1901, si reca in visita ufficiale nella sua città di origine con il maestro Roybet, lo scultore Ernesto Biondi, il poeta Trilussa e il suo amico Antoine Lumière, padre dei fratelli Lumière. Per l’occasione, Juana regala alla cittadinanza un cinematografo, fonda un premio annuo per gli allievi meritevoli della Scuola d’arte e mestieri che prenderà il suo nome e progetta la creazione di una galleria d’arte contemporanea composta dalla sua collezione personale e in parte dedicata al maestro Roybet (il progetto troverà una parziale realizzazione nel museo Roybet di Courbevoie, fondato nel 1927 dalla pittrice Consuelo Fould). Nello stesso anno, espone Angelica (1898) nella sala del Lazio della IV Esposizione Internazionale d’arte della città di Venezia, ricevendo giudizi discordanti: mentre i francesi la annoverano tra le «quaranta immortali» che rappresentano l’Italia nel mondo, i compatrioti disdegnano il carattere parigino dei suoi dipinti, affine a quello di Boldini. Nel 1903, anche a causa del rifiuto ottenuto in Italia, comincia a mostrare i primi sintomi di una degenerazione mentale che la porterà, nel 1909, all’alienazione. Rinchiusa, dal 1906, nella Maison de Santé d’Ivry-sur-Seine, vicino Parigi, verrà trasferita in diversi manicomi francesi fino al 1923, anno della sua morte.

Dopo la prima retrospettiva italiana, tenutasi al Convento del Carmine di Velletri tra il 2017 e il 2018, voluta da Tiziana D’Acchille, direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Roma, e curata dal professor Marco Nocca (Accademia di Belle Arti di Roma), da Gabriele Romani e Alessandra de Angelis, la rassegna parigina (la prima retrospettiva allestita in Francia), a cura di Emmanuelle Trief-Touchard, Marion Lagrange e Gabriele Romani, ripercorre le tappe salienti della vita e dell’arte della Romani in un percorso espositivo che organizza un centinaio di opere tra dipinti, sculture, disegni, fotografie, stampe, giornali d’epoca e abiti provenienti da musei francesi e collezioni private in tre sezioni.

In apertura, La lezione dei maestri, introduce il contesto storico-artistico di riferimento e la figura di Juana per mezzo di dipinti e sculture dei grandi maestri francesi del tempo per i quali ha posato come modella tra il 1883 e il 1890, gli scultori Alexandre Falguière e Victor Peter e i pittori Jean-Jacques Henner, Carolus-Duran, Ferdinand Roybet, André Rixens, Victor Prouvé. La presenza di Juana Romani negli ateliers di molti artisti parigini è inoltre documentata da una molteplicità di ritratti e resoconti di Salon nella stampa dell’epoca.

La seconda parte segue Juana nel processo del suo Divenire pittrice, dapprima, nello studio dei modelli, da quelli più prossimi, come i suoi insegnanti, a quelli più distanti, quali, soprattutto, Correggio, Tiziano, Leonardo, Velázquez e Rembrandt, e, poi, nell’elaborazione del proprio linguaggio, delicato e sensuale, seducente e misterioso, come era apparsa la sua figura a tutti quelli che l’avevano eletta ed elevata alla dimensione eterna dell’arte. I suoi ritratti femminili, in quanto raffigurazioni di personaggi (reali o immaginari) di grande rilevanza culturale, costituiscono, inoltre, un brillante tentativo di fondere diversi linguaggi espressivi – pittura, letteratura, teatro, poesia, mito, epica e storia – in un’opera d’arte totale, a più livelli fruibile e apprezzabile da un vasto pubblico.

Infine, la terza sezione, Nell’atelier di Roybet, è incentrata sul solido e duraturo rapporto di amicizia e reciproca stima che ha unito la Romani al principale dei suoi maestri, Ferdinand Roybet. Con quest’ultimo, infatti, Juana ha condiviso gran parte della propria esperienza biografica ed artistica: lo studio in rue du Mont-Thabor, a Parigi, il viaggio in Italia e in Spagna, le amicizie e persino i contatti lavorativi (critici, giornalisti e acquirenti). Roybet rimane al suo fianco durante il lungo periodo di internamento, divenendone, nel 1909, il tutore legale. Dal canto suo, Juana Romani non ha avuto allievi, ad eccezione del fotografo lionese Antoine Lumière, padre degli inventori del cinematografo, il quale, comunque, preferiva considerarsi e presentarsi, piuttosto, come suo amico.

Al volgere del secolo, alcune artiste donne, come Consuelo Fould (1862-1927) e Laura Leroux (1872-1936), le hanno reso omaggio, sottolineando la loro filiazione con delle referenze esplicite, molti altri l’hanno imitata in maniera più discreta e velata, ma l’ammirazione dei colleghi non le ha mai consentito, fino ad ora, di ottenere il giusto riconoscimento come una delle più dotate pittrici del suo tempo. Questo è l’intento, più che riuscito, della mostra.

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