Mi soffermo spesso sulla parola “cultura”, questo imperfetto insieme di lettere che racchiude un significato oggi per me di un valore diverso. Tante sono le forme del sapere, generico, ristretto, riferito ad un solo campo. Sono variabili temi di conoscenza che catturano il nostro interesse, idee sagomate su una struttura data dalla propria curiosità. La mia corrente di pensiero mi dice, che gli orizzonti della cultura sono infiniti ed ognuno a suo modo è privo di essa. In una mente per quanto complessa e straordinariamente efficace, ci sono lacune del sapere. Allora bisogna reinterpretare il concetto di ciò che apprendiamo che non può chiamarsi con un nome, ma essere un tratto comunicativo che connota i pensieri inconfondibili del nostro potenziale sapere, come melodiche composizioni di una colonna sonora.
Non mi aspetto che sia un pensiero condiviso, facile immaginare quanta resistenza possa trovare fra le persone, mi impedisco di sottrarmi ad esporlo in quanto le lacune del sapere paralizzano la crescita dell’umanità. La cultura intesa ampiamente è depositaria di uno strumento di vita come la parola, un campo aperto che impone una raffinata saggezza di panorami letterali, politici, storici, artistici e musicali. Una mente che vuole sapere non polemizza, ricordiamoci che la parola “polemica” deriva da Polemos, il demone della guerra. In questa veduta di dialogo aperto con gli argomenti della vita, mi pongo una domanda: -meglio il sapere o l’ignorare?- due voci in forte contrapposizione che scuotono nell’uomo una forza promotrice di pensiero critico. Non ci si può sottrarre alla conoscenza, indipendentemente dal grado di intelligenza con cui veniamo al mondo, non possiamo impedirci di studiare, di paralizzare la mente ed esiliarla dalla storia e dal futuro.
Il vero sapere è una sorgente di creatività, un’azione positiva da ogni lato la si legga. Mi punto il dito contro, io per prima, perché non genero nuove correnti formali di pensiero, spesso solo mi limito a riportare fatti avvenuti, che rallentano ed ostacolano la divulgazione più ampia dell’opera umana. Ogni informazione buttata via è un mancato successo del nostro “talento” interiore. Vorrei che i giovani leggessero libri e manoscritti per comprendere il senso di libertà, ma piuttosto di una fuga dalla clausura mentale e culturale. Non bisogna mettere a tacere una voglia di conoscenza, una prosa sublime come cronaca di vita.
Il sapere è una concezione di un’opera e come mi ha insegnato Giulio De Santis se Michelangelo non avesse avuto lo scalpello il David non esisterebbe, tutto parte da questo concetto, da un pezzo di marmo privo di ogni grazia e forma, si lascia scalfire, modellare e risponde al talento dell’artista che con tutta la sua bravura, se non avesse avuto uno scalpello, di quella materia non ci sarebbe stata alcuna mutazione. Questo riferimento non facile da comprendere, è un tutt’uno con il concetto di cultura, potremmo riempire pagine intere di citazioni e riferimenti tra il marmo e la mente, ma la risposta risiede in un oggetto che scavò la materia per creare un capolavoro; così come il sapere trasforma i nostri concetti, quelli di un popolo che ha bisogno di una metamorfosi. La metafora scalpello e pensiero distribuiti a dovere diventano opera, e quelle che sono le schegge del marmo, diventano nomi, aggettivi, verbi radicati nell’uso e nel mentre una forza si trasforma in qualità corrosiva e mordace del sapere.
È una formula alchemica della scrittura, scavare nel marmo aspettando l’espressione ultima di un minuzioso lavoro, di ogni piccolo gesto. Che potrebbe sembrare follia ma che altro non è che l’opera perfetta. Io mi nutro dello spirito di novità e di rinnovata volontà di conoscenza, questa eccezionale “terapia” letteraria su cui si pongono le verità del nostro secolo e di quelli che furono, dentro i segmenti di tanta storia si pone un particolare che non si potrà mai smentire la necessità del sapere, ma l’impeto di piegarsi alla volontà di “guarire” dall’ignoranza.
In modo unico e solenne la vita, sovrana assoluta di verità, nella colma visione dell’esistenza usa qualche dramma, sconvolgenti e paradossali, per garantirci percorsi di conoscenza. Mai confessarsi uomo o donna colto/a, non siamo mai eroi in questa arena, non si vince e non si perde, ci si protende verso un’azione che non ci sarà mai negata, quella di studiare. La vera ricchezza, risiede nei pensieri, nei tremori carnali di una vita amata e patita in tutta la sua drammatica raffinatezza, che poi si trasforma in istruzione, alla fine del racconto non è che un audace bellezza dei sensi.
Restare “ignoti” che inutile vita senza l’incontro/scontro di una conoscenza di se, dove la trasformazione diventa irresistibile attrazione, un baluardo estremamente fragile in una sfida continua per trovare un equilibrio che non sia lasciato al destinoma plasmare i presupposti di una società che ha bisogno di cultura.