Difficile pensare di recensire il libro di Eugenio Borgna dal semplicissimo titolo Parlarsi. Non solo per l’intensità e densità, anche poetica, colte nelle frasi dello psichiatra piemontese ma, soprattutto, perché in questo libriccino di 96 pagine, di agevole e profondissima lettura, si assorbe il testimoniare un’esperienza del vivere autentica. Per di più l’atto del prendersi cura, soprattutto nell’ambito della professione psicoterapeutica, scandisce altrettanto delicato gesto interiore. Dice di attenzione, ascolto e sguardo assolutamente necessari.
E’ anche, forse involontariamente, un messaggio, un lascito da parte di chi ha fatto della propria vita di certo non la somma ,semplificata, di giorni addizionati ad altri giorni.
“Dall’adolescenza, nella quale in ogni caso non vengono mai meno le tracce della originalità e della reinvenzione, della immediatezza e della pregnanza semantica, si passa a un’età adulta nella quale i contenuti del linguaggio e della comunicazione si uniformano, e si omogeneizzano in un cocktail di espressioni svuotate (…), di bagliori e di smalto, di tensioni e trascendenza”.
Si fanno, a mio avviso spesso, appelli al buon cuore, si afferma di dialogare col cuore, di avere a cuore sorti proprie e altrui destini, semplicemente anche l’umile domani, che poi tanto umile non è, forse per rammentare a noi stessi che un cuore lo possediamo ancora. Per Borgna sono i sentimenti e le emozioni a renderci consapevoli di chi siamo noi e di chi sono gli altri, alla stessa stregua dei silenzi, dei gesti, degli sguardi e, non da ultimo, delle lacrime, non meno efficaci delle parole.
“Cerchiamo qualche ombra desolata, e là sfoghiamo in lacrime il nostro cuore dolente”, queste le parole di Malcom nel Macbeth di Shakespeare.
Tristezza, poi sofferenza, felicità, solitudine, tenerezza e da ultimo desiderio di comunità e di comunità di destino sono “esperienze” in grado di avvicinarci alle sorgenti profonde della condizione umana, la parte più intima di noi, forse la più vera.
La parola comunicazione, poi, sottolinea l’autore, si usa, troppo spesso, come parola marmellata, parola valigia, include, forse, talvolta ciò che sembra, meno quello che è.
Comunicare significa poter creare una corrispondenza autentica tra il tempo interiore di chi parla e quello di chi ascolta, cogliere il senso di esperienze anche complesse e difficili, aspetti talvolta ambigui, spesso imprevedibili della vita, soprattutto scegliere il momento in cui parlare e quello in cui tacere, nel contatto con la vita di ogni giorno, anche ferita dalla malattia. Parole, silenzi, gesti del corpo si affidano alle antenne, leggere, della nostra sensibilità ed intuizione personale.
Intuizione che Borgna attribuisce all’indicibile, presente nella vita di ognuno di noi: consente di interpretare la voce del dolore, della disperazione, della violenza quotidiana ed apre uno spazio, fuggevole e denso, alla speranza.
Conclude poi l’autore, nelle pieghe di una pensosità intimamente confidata con le parole di Rilke, che “colui che tenta di confortarvi” non vive “senza fatica in mezzo alle parole semplici e calme (…), la sua vita reca molta fatica e tristezza e resta lontana dietro a loro.
Ma, fosse altrimenti, egli non avrebbe potuto trovare queste parole”.
Riferimenti bibliografici
Eugenio Borgna, Parlarsi La comunicazione perduta, Torino, Einaudi, 2015
W.Shakespeare, Tutte le opere, Firenze, Sansoni, 1964, p.966