La fotografia è un po’ un supporto alla memoria.
Un modo per cristallizzare un momento, un’emozione, un incontro, un luogo che ci ispira per poterlo rivedere in un secondo tempo. Magari a distanza di anni.
Pensiamo quindi a cosa significa fare il fotografo, come fa Marco Simoni, che si occupa di fotografia naturalistica. La sua passione/lavoro è quello di riprendere animali e tribù lontane. Una fotografia zoo-antropologica (https://www.marcosimoniexplored.it).
Marzo Simoni vive a Ostia. In riva al mare e, forse, proprio l mare lo ha ispirato nel suo desiderio di viaggio.
Di vedere cos c’è dall’altra parte di questo immenso spazio d’acqua.
Marco è un ragazzo spigliato, sicuramente non timido.
Gli chiediamo “Cos’è per te la fotografia?”
Risponde che è un necessario abbinamento alla sua passione per il viaggio, per sentirlo realizzato. Ora è la sua ragione di vita, il suo lavoro: ciò che gli permette di rendere infinito ciò che invece è finito.
Organizza viaggi fotografici, anche se nel 2020 è stato un brutto anno per il suo lavoro. Al contrario, sarebbe dovuto essere l’anno della consacrazione del suo impegno. Ha avuto un bel giro di prenotazioni e di progetti di viaggio; cominciava a essere conosciuto anche sui social. Due anni fa aveva lasciato un lavoro stabile per dedicarsi solo alla fotografia.
Per il 2021, l’aspettativa è quella di organizzare una savana in festa. Non una savanna … birra di sidro.
Il suo è un progetto generale di salvaguardia delle savane, un piano di protezione e di rispetto.
Come si fa a trasformare una passione in un lavoro?
Bisogna, in primo luogo, non aver paura di sbagliare. Sicuramente, non si può avere tutto e subito. Occorre provare, correggere il tiro, ricominciare, variare. “Non mi interessa fare la comparsa. A 22 anni me ne sono andato in Nuova Zelanda. Ho sempre cercato nuovi stimoli e sono arrivato a fare ciò che mi piace” dice Marco.
Nei suoi lavori si concentra sugli aspetti antropologici: le persone. Poi anche sugli animali.
L’incontro con le persone è ciò che più ama: andare contro l’ignoranza e la diffidenza per la diversità. Ha visitato tribù, ha dormito in capanne, ma solo a New York ha avuto paura: lì ha vissuto situazioni realmente antipatiche.
Ma qual è il suo posto nel cuore?
Risponde, senza esitazioni, le aree desertiche tra la Namibia e il Botswana. Qui ha avvertito cos’è la serenità.
La scorsa estate, invece, è stato a Zuweidah Camp, il primo paese al confine tra Giordania e Siria: lì ha provato grande tristezza, perché si tratta di un accampamento e una moltitudine di persone abbandonata a sé stessa e senza prospettive.
E fra i viaggi da organizzare in futuro?
Sogna l’Antartide, anche se la prospettiva lo preoccupa un po’, visto che soffre tanto il mal di mare…
Fra le mostre più recenti, quella intitolata “Looners”, ossia, “solitari”.
Ama fare viaggi da solo e stare da solo.
Nei suo viaggi, subisce anche forte il richiamo e la bellezza degli animali, togliendoli dal contesto in cui vivono. Gli piace tirar fuori la malinconia dagli animali, come può fare per esempio un elefante da solo. “Ciò che vediamo nei documentari, da vivo dà un altro effetto”, dice.
Sicuramente, Marco Simoni, è una persona molto sensibile: “è quel lato del mio carattere che, oltre al capello rosso, mi contraddistingue molto e oggi è il mio punto forte”, ammette.
E fra i progetti futuri?
Decisamente, quello di tornare a viaggiare e fare fotografia ritrattistica.
E come dargli torto?
Molte e molti, oggi, hanno se non il passaporto o la prenotazione in mano, almeno un elenco con le principali destinazioni del desiderio da raggiungere appena possibile!