Ci sono persone che con il loro coraggio e la loro creatività cambiano la rotta della storia. È il caso di Margaret Bourke-White, fotogiornalista dei primati, che ha ribaltato schemi e rivoluzionato il mondo della fotografia. Le sue incredibili opere possono essere ammirate alla mostra “Prima, donna. Margaret Bourke-White” al Museo di Roma in Trastevere fino al 27 febbraio 2022.
La storia di Margaret Bourke-White è una storia di passione, dedizione e avventura. Alla base di tutto: la necessità di portare alla luce la verità. Nel corso della mostra si sentono le parole della fotografa, che, in un’intervista, quando le chiesero cosa la guidasse nel suo lavoro rispose: “Credo la verità. Per prima cosa cerco la verità, e il modo per raccontarla. Quella di noi fotografi è una professione molto alta, implica grandi responsabilità, perché migliaia di persone vedranno le nostre fotografie, perciò l’interpretazione è fondamentale e utilissima. Credo che sia molto importante studiare il soggetto e cercare di capirlo, per poi poterlo ritrarre sotto una luce potente e veritiera”.
Nata nel Bronx, a New York, nel 1904. A soli 20 anni cominciò la sua carriera professionale da fotografa, immergendosi nelle realtà industriali. Fu la prima donna ad arrampicarsi su colate di ferro delle fonderie e ad affrontare il caldo delle fornaci per realizzare scatti insoliti e originali. Provò tutte le tecniche fotografiche: fu la prima donna ad affrontare la fotografia aerea. Iconici sono i suoi scatti in volo tra i grattacieli di New York.
Nel 1929 arrivò la prima svolta, quando cominciò a collaborare con la rivista Fortune. Da qui nacque la sua documentazione sociale del sud, la rappresentazione di un mondo dominato dal potere della macchina e della tecnologia.
Un secondo momento di svolta arrivò con la rivista Life, per la quale realizzò reportage straordinari. Fu l’unica donna a documentare quello che veniva definito “il fronte dimenticato” nella Campagna d’Italia e ad ottenere una divisa da corrispondente di guerra, affermando: “A me piacciono le cause dimenticate, soprattutto quando sono giuste”. Fu anche l’unica a documentare la Russia del piano quinquennale e ad ottenere di scattare un ritratto a Stalin. In quel tempo sviluppava le fotografie nel bagno della sua camera, tra gli intervalli segnati dagli allarmi aerei. Fu la prima donna a fotografare l’orrore del campo di concentramento di Buchenwald. “Per lavorare ho dovuto coprire la mia anima con un velo”, ha affermato raccontando questa esperienza così profonda e sconvolgente, di cui ha preso coscienza solo dopo aver sviluppato le foto. Andò anche in India a documentare la separazione dal Pakistan. E in questa occasione conobbe Gandhi. Fu lei l’autrice dell’ultima fotografia scattata a Gandhi e l’ultima ad avere una lunga conversazione con lui. Le aveva confidato che aveva perso la speranza di vivere 125 anni, “non posso più vivere in questa tenebra e in questa follia”, le avrebbe confidato. Dopo poche ore sarebbe morto sotto tre colpi di pistola. Ma i primati non finirono per Margaret Bourke-White, che continuò a girare per il mondo. Fu la prima a scendere sottoterra con i minatori in Sud-Africa e a fotografare la segregazione razziale negli USA a colori.
Lei stessa fu il soggetto di un reportage commovente, intitolato La lotta indomita di una donna famosa ad opera del suo collega Alfred Eisenstaedt, che ha documentato la sua malattia di Parkinson. Anche in questa occasione, la Bourke-White ha mantenuto un atteggiamento di incredibile determinazione e fiducia nella vita, ritenendosi fortunata ad essersi ammalata in un momento in cui erano state inventate nuove terapie per il Parkinson. Lei stessa aveva affermato: “Se sai di poter contare su di te la vita può essere molto ricca, anche se questo richiede disciplina”. Una disciplina che ha continuato a coltivare
anche durante la malattia. Le fotografie la ritraggono intenta a compiere esercizi di fisioterapia e la seguono in un percorso in cui si mostra con dignità in tutta la sua fragilità e debolezza.
Non ha avuto rimpianti per il tipo di vita che ha scelto. Divorziata da giovane, pochissimi anni dopo il matrimonio, non si è pentita di non aver costruito una famiglia, consapevole delle responsabilità che avrebbe comportato per il suo lavoro. Ci ha lasciato un messaggio così potente, che risuona ancora oggi: “Non esiste una vita migliore delle altre, esistono solo vite diverse”. La sua ha ribaltato in maniera indissolubile il volto del fotogiornalismo, consegnando alle generazioni future scatti unici, che documentano alcuni dei momenti più importanti della storia. Ed è lei stessa che con la sua incredibile storia è per tutti noi un’ispirazione potente di autodeterminazione, coraggio e libertà.