Marina Ivanovna Cvetaeva nacque a Mosca nel 1892 e morì suicida a Kazan′ nel 1941, in uno stato di estrema povertà e isolamento. Già in giovane età si dedicò a importati letture che contribuirono alla sua formazione letteraria: Puškin, Goethe, Heine, Hölderlin, Hauff, Dumas (padre), letture che preferì di gran lunga agli studi ufficiali. Nella raccolta Dopo la Russia (Posle Rossii) pubblicata a Parigi nel 1928, troviamo una delle più notevoli rivisitazioni del mito di Orfeo e Euridice, sotto forma di monologo che la ninfa rivolge in prima persona all’amante. L’aspetto più interessante è che la discesa di Orfeo negli Inferi è vista non come un atto d’amore ma, al contrario, come una violenta intromissione, un vero e proprio atto di prevaricazione maschile compiuto dall’araldo degli dei che abusa dei suoi privilegi per puro egoismo. Orfeo violando le leggi che regolano il mondo dei vivi e quello dei morti vìola anche Euridice e la sua condizione, risveglia in lei il ricordo della vita provocandole un dolore senza fine. Qui viene alla luce una visione che si discosta notevolmente da quella di Rilke (con cui la poetessa ebbe un’appassionata corrispondenza) unico a presentarci Euridice priva di memoria, completamente assuefatta alla morte. Il profondo dolore della ninfa è in realtà l’immagine poetica che riflette una sofferenza reale, quella di Marina Cvetaeva e della sua impetuosa, disperata e breve esistenza.