Sono trascorsi più di 70 anni dal termine dell’ultimo conflitto sul territorio italiano. Festeggiamo la data del 25 Aprile, come la liberazione dal regime dittatoriale nazifascista. Abbiamo celebrato il compleanno della nostra Carta costituzionale, ricordando il doloroso e tortuoso percorso vero la libertà. Libri, cinema, racconti hanno favoleggiato le avventure partigiane al fianco dell’esercito alleato, come di eroi della resistenza all’oppressore. Nell’immaginario collettivo lo sbarco in Sicilia rappresenta la rinascita democratica del nostro Paese, la fine degli stenti per il popolo italiano.
Più di 300.000 marinai, soldati e aviatori delle forze Alleate, persero la vita nel nostro Paese durante la Campagna d’Italia. Ragazzi venuti per affermare i valori della libertà e della democrazia nell’impresa condotta dagli Alleati dal giugno 1943 al maggio 1945, una guerra mondiale avverso una dittatura che stava soffocando il vecchio continente. L’invasione della Sicilia e poi dell’Italia meridionale, gli sbarchi a Salerno, a Termoli, sulla costa tirrenica tra Minori e Paestum, e infine ad Anzio, portarono sul suolo italiano centinaia di migliaia di soldati americani, inglesi, neozelandesi, indiani, sudafricani, canadesi, polacchi, francesi, greci. Ed è grazie a loro se il nostro Paese è tornato libero e in Europa è stata ristabilita la pace.
A questo alto lirismo, purtroppo, esiste un torbido racconto speculare. Una storia taciuta, per vergogna, per ignoranza, per timore di non essere creduti. Una storia raccontata a sprazzi, tra le pagine de “La ciociara”, film del 1960 diretto da Vittorio De Sica, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia; testimonianze tratte dal libro del giornalista e saggista Gigi Di Fiore, “Controstoria della Liberazione. Le stragi e i crimini dimenticati degli alleati nell’Italia del Sud”, edito da Rizzoli nel 2012. Ma, soprattutto, la sensibilità e la tenacia di Maria Maddalena Rossi, deputata PCI e presidente dell’UDI, fecero sì che nel 1952 l’argomento, evidentemente scomodo all’epoca e controverso, venisse portato all’attenzione del parlamento, e, quindi , dell’opinione pubblica.
Cominciano in Sicilia le violenze e i soprusi commessi dagli Alleati in Italia durante la difficile risalita della penisola: esecuzioni sbrigative di soldati italiani che si arrendono, bombardamenti non sempre necessari che distruggono case e ammazzano civili, fino agli stupri di massa in Ciociaria, dove i marocchini del contingente francese comandato dal generale Alphonse Juin ebbero in premio tre giorni di impunità per il coraggio dimostrato nello sfondare la linea Gustav. L’obiettivo militare era fondamentale, o si apriva il fronte tedesco o non si sarebbe potuto procedere per la liberazione del resto della penisola. La difficoltà estrema, una impresa quasi suicida, ma necessaria. Il premio doveva essere eclatante. Tra le truppe francesi presenti sul territorio italiano c’erano molti marocchini, algerini, tunisini e senegalesi; il generale Juin, comandate della 2^ divisione di fanteria, composta dalle truppe nordafricane, alla vigilia dell’attacco sul fronte del Garigliano, avrebbe fatto loro una promessa: “Oltre quei monti, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c’è una terra ricca di donne, di vino e di case. Se voi riuscirete a passare senza lasciare vivo un solo nemico, il vostro generale vi promette che tutto quello che troverete sarà vostro, a vostro piacimento e volontà. Per 50 ore”. Ai soldati marocchini, cioè, il loro generale avrebbe concesso il diritto di preda. Quello che accadde dopo rimane una delle pagine più nere della seconda guerra mondiale, una violenza brutale perpetrata da parte di chi diceva di essere venuto per liberare. In quei tre giorni saccheggiarono case, assassinarono e violentarono brutalmente donne, uomini e ragazzi. Viene svelato così un volto poco dignitoso dei salvatori. Quelle che il popolo volgarmente chiamò “Marocchinate”, la brutalità e la tragedia che le donne, e non solo, della provincia di Frosinone dovettero subire durante la seconda guerra mondiale, sono una parte di storia che non può e non deve essere dimenticata.
Con l’avanzare degli Alleati lungo la penisola, altri eventi di questo tipo si registrarono nel Lazio settentrionale e nella Toscana meridionale. Numerosi uomini che tentarono di difendere le proprie donne furono a loro volta uccisi o violentati. Il parroco di Esperia, cittadina in provincia di
Frosinone, insignita della medaglia d’oro al merito civile per il suo spirito di sacrificio, cercò invano di salvare tre donne dalle violenze dei soldati: fu legato e sodomizzato tutta la notte e morì due giorni dopo.
Migliaia furono i casi denunciati di violenza subita, e, anche se si ritiene improbabile il numero di 60.000 domande di risarcimento, è pur vero che molte donne violentate evitarono di denunciarlo perché si vergognavano; molte, pur avendo subito violenza senza poter far nulla, si sentivano in colpa, quasi complici. A seguito delle violenze sessuali molte di loro contrassero anche malattie veneree, e solo con la penicillina americana si poté evitare l’epidemia. Molte abortirono, impazzirono, si suicidarono.
L’episodio delle “marocchinate” è una delle tante storie poco conosciute che riguardano il centro-sud, e che vedono, ancora una volta, le donne bottino di guerra. Nelle guerre lo stupro di massa, come arma psicologica, sono sempre le donne l’elemento più debole, esposte a violenze provenienti da ogni parte, tanto dai nemici quanto dagli amici. Le protagoniste di questa brutta vicenda, per motivi anagrafici, sono quasi tutte scomparse, pertanto resta a noi il dovere di ricordare e fare in modo che questa pagina triste della nostra storia non venga dimenticata.
Conservare la memoria è l’unico mezzo che abbiamo per rendere loro giustizia.