“Moisai 2022. Voci contemporanee in Domus Aurea” è un avvenimento suggestivo e mai realizzato in precedenza, attuato negli spazi della villa che meglio si identificano in una delle caratteristiche più famose dell’imperatore Nerone, ma quasi mai analizzata: il suo amore per l’arte.
Il mito delle nove Muse e la memoria leggendaria di Nerone, la poliedricità dell’arte performativa fra danza e commedia e il concetto del viaggio, è tramutato in narrazione musicale. La Domus Aurea, ricchezza del patrimonio archeologico della Capitale, inserita nella grandiosa estensione sotterranea nelle viscere del Colle Oppio, diviene un’esperienza emotiva nuova.
“Il Parco archeologico del Colosseo si apre alla sperimentazione di innovative sinergie per offrire al suo pubblico nuove forme di interazione con il passato. Questo è l’obiettivo del ciclo di visite guidate tematiche nella reggia di Nerone che, ispirate alle nove Muse, culmineranno in una performance artistica differente per ogni appuntamento della rassegna, dalla danza alla musica, al teatro e alla poesia. E’ così che puntiamo a rendere viva la memoria del passato, a dare voce alle stanze della Domus, recentemente valorizzate da un nuovo sistema di illuminazione site specific; è così che uniamo il passato al presente contemporaneo, offrendo al nostro pubblico nuove esperienze di conoscenza e di mediazione culturale”, illustra il direttore Alfonsina Russo.
Dal 23 settembre al 9 ottobre 2022, nove visite guidate infatti, raggiungono l’apice dell’arte performativa nella conoscenza del contemporaneo nella Sala Ottagona.
L’evento, promosso e organizzato dal Parco archeologico del Colosseo, con la direzione artistica a cura di PAV, ed è determinato da nove incontri, ognuno ispirato ad una delle nove Muse del mito, le cui voci sembrano riecheggiare tra le sale della Domus Aurea in un linguaggio moderno e antico nello stesso tempo.
Ogni sera, un nuovo artista libererà il canto di una Musa differente, rappresentante contemporaneo nei luoghi appunto della Sala Ottagona.
Il primo spettacolo del 23 settembre sarà Dialoghi sul cambiamento di Valerio Aprea (con Valerio Aprea e Alessio Viola), bensì il 24 settembre toccherà a Venere e Adone con Roberto Latini; NO RAMA di Annamaria Ajmone ( con Annamaria Ajmone, Marta Capaccioli, Lucrezia Palandri) sarà lo spettacolo protagonista della serata del 25 settembre. Si va avanti il 30 settembre con Come una canna sul letto di un fiume – Frammenti dell’epopea di Gilgamesh, di Giovanni Calcagno, con Giovanni Calcagno e Vicenzo Pirrotta. Il 1° ottobre, Graziano Piazza e Viola Graziosi saranno i protagonisti di Odisseo nostro contemporaneo di Q Academy, con le musiche dal vivo di Stefano Saletti, la voce di Barbara Eramo e la regia di Piero Maccarinelli. Alcune coreografie di Jacomo Jenna, con collaborazione e danza di Ramona Caia e collaborazione e video di Roberto Fassone, accompagneranno invece l’incontro del 2 ottobre. Nell’ultimo week end, il 7 ottobre, si avrà Divenire del tempo trascorso di Lorenzo Letizia e Marlene Kuntz. Si continuerà con Open Octagon Score. Azione in forma di rito di Adriana Borriello (con Adriana Borriello, Erika Bravini, Roberto Cherubini, Michael Incarbone, Ilenia Romano, Cinzia Sità), l’8 ottobre. La rassegna terminerà il 9 ottobre con il quotidiano innamoramento, con Mariangela Gualtieri, e con la guida di Cesare Ronconi.
Nei primi anni del suo regno, Nerone aveva fatto edificare la “Domus Transitoria”, servita a collegare i possessi imperiali del Palatino con gli “Horti Mecenatis”. Durante il devastante incendio del 64 d.C., il
palazzo bruciò totalmente, alcuni resti sono stati ritrovati al di sotto della “Domus Flavia”, e quindi Nerone, fece realizzare la più vasta delle sue dimore imperiali: “la Domus Aurea”.
Il complesso ubicato tra i colli Esquilino, Celio e Palatino, era un insieme di edifici, fontane e giardini con al centro un lago artificiale, e si chiama in tal modo per la sua maestosa cupola dorata. Internamente tutto era decorato in modo raffinato; sulle pareti vi erano ornamenti in oro, sui soffitti la parte maggiore delle decorazioni erano formati da grandissimi lastroni di avorio su cui, Nerone, richiese delle aperture per far piovere dal cielo i fiori. Svetonio ci racconta che “una statua colossale alta 120 piedi (rappresentante Nerone), poteva entrare nel vestibolo della casa”.
Ricordiamo che l’imperatore fu un uomo di cultura e anticonformista; conoscitore delle lettere e amante di poesia, musica e teatro, le fonti antiche ci descrivono la sua passione per le arti figurative, della sua carica di committente e mecenate, della intensa devozione al collezionismo di opere d’arte greche. Una personalità eclettica e visionaria, che ben rivela nel suo progetto più importante la Domus Aurea, un’ immagine nel corso della storia riabilitata nei confronti della sua fama negativa.
Nerone, commissionò agli architetti Severus e Celer l’edificazione della nuova, grande e sfarzosa villa. Venne creata in circa quattro anni, a dimostrazione della sua potenza e della sua grandezza, e venne affrescata dal noto pittore Fabullus. La monumentale struttura era contraddistinta da padiglioni per le feste, terme con acqua normale e solforosa, varie sale per banchetti. Negli annali di Tacito, si riporta che lo stesso imperatore guidava le operazioni, seguendo ogni dettaglio del progetto con particolare precisione.
Il popolo romano odiava la villa perché era stata realizzata togliendo dai templi di Roma e della Grecia le loro spettacolari statue, depredando i beni dei cittadini più ricchi della città di Roma e di tutto l’impero.
“Bene! Finalmente posso cominciare a vivere come un essere umano! (Nerone, entrando per la prima volta nella sua Domus Aurea)”. (Svetonio, Nerone, 31.2.)
Come il Colosseo, la Domus fu costruita con enormi pareti di mattoni di cui rimane soltanto il sito del Colle Oppio, con circa 150 camere. Le stanze sono ora buie e cupe, ma inizialmente la luce era l’aspetto primario quando tutte le stanze erano aperte sul porticato su cui si godeva di una splendida visuale sulla valle, con appunto il suo lago artificiale e i giardini che lo attorniavano. Tramite l’utilizzo di accorgimenti architettonici innovativi, lo spazio era plasmato infatti dalla luce, e internamente i capolavori divenivano interpreti di quell’effetto scenico ed estetico che Nerone realizza per stupire i suoi ospiti.
Quasi tutte le strutture erano determinate da volte a botte alte 10-11 metri, suddivise intorno alla sala a pianta ottagonale, cuore dell’impianto totale, lungo pressappoco 400 metri.
L a Domus era nota, non solo per gli ampli rivestimenti splendenti di marmo bianco, avorio e materiali preziosi portati da tutto l’impero, ma anche per i soffitti stuccati intarsiati di pietre preziose, ed i dipinti e i marmi colorati ricoperti di lamine d’oro. Le stanze, come già citato, erano infatti decorate dal pittore Fabullo, i cui colori erano vivaci e luminosi, e dove il bianco era il colore dominante.
L’opera pittorica, fu affidata al talentuoso e celebre pittore, compiuta con la tecnica dell’affresco, che applicata al gesso fresco, necessita di un intervento rapido e deciso: Fabullo ed i suoi aiutanti ricoprirono una percentuale incredibile della superficie della Domus in pochi anni.
Plinio il vecchio, descrive nella sua “Storia Naturale”, come l’artista andava solamente per qualche ora al giorno nella struttura per lavorare quando la luce era adeguata. La velocità della messa in opera di Fabullo regalava un’unità eccezionale alla sua composizione, una finezza incredibile della sua esecuzione.
L’oro, le pietre preziose, i marmi e i mosaici, davano al complesso una preziosità di decorazione abbagliante. Erano perciò ritratti, sulle pareti e sui soffitti a volta, paesaggi, animali trofei e scene mitologiche. Dopo una incuria di molti secoli, la ricchezza pittorica dei maestosi affreschi e le decorazioni in stucco, sono stati prioritaria fonte di creatività sull’antica pittura romana per Raffaello Sanzio, che la rappresentò totalmente negli edifici della nobiltà e dei cardinali romani e nelle “Stanze del Vaticano”.
Esaminando le pareti, ci accorgiamo che negli ambienti principali il rivestimento marmoreo della parte inferiore è stato portato via; sono ancora presenti invece gli affreschi, che rivestivano la parte alta delle superfici.
L’esterno della Domus Aurea, aveva una superficie di circa 80 ettari e comprendeva statue, balconate, scalinate, piscine e ville con campi, giardini e padiglioni per feste o soggiorno per gli ospiti e vi era addirittura un laghetto artificiale.
Ad avvalorare i capolavori che l’imperatore ubicò nella Domus Aurea, nel 1506, sotto il colle Oppio fu rinvenuto il gruppo del Laocoonte (Musei Vaticani), accanto alle statue bronzee del Galata morente (Palazzo Altemps), del Galata suicida (Musei Capitolini) e la Venere Kallipigia (MAN Napoli); dall’epoca gli scavi proseguono ancora adesso senza sosta.
Nerone si spense poco tempo dopo il termine dei lavori ed i suoi successori, volendo annullare la memoria del detestato imperatore, mediante un rituale identico nei secoli, abbatterono le opere da lui volute. L’imperatore Vespasiano, padre della dinastia Flavia, attraverso la volontà di ridare al popolo romano gli spazi urbani indebitamente sottratti da Nerone, in poco tempo iniziò l’opera di distruzione della Domus Aurea. La fece saccheggiare in virtù della “Damnatio memoriae” cioè “condannare la memoria”, varata dal Senato romano per annullare l’insigne residenza neroniana. Ordinò di drenare le acque del lago, abbattere gli edifici spianandoli e colmandoli di macerie per edificare il celebre “Anfiteatro Flavio”, il Colosseo. Qualche anno dopo, sulle rovine della struttura interrata, l’imperatore Tito vi fece erigere le Terme, 80 d.C., dall’architetto Apollodoro di Damasco, così come l’imperatore Traiano fece edificare un complesso termale.
In pochi decenni la Domus fu coperta dai nuovi palazzi, ma questa distruzione completa salvaguardò le “grottesche”. Nello stesso modo delle ceneri vulcaniche di Pompei, le tonnellate di sabbia ebbero il compito di proteggere dal loro perpetuo pericolo, l’umidità. La scoperta si ebbe alla fine del XV secolo, quando un giovane romano cadde casualmente in un crepaccio nel terreno, sul lato del colle Oppio, ritrovandosi in una inconsueta grotta ad osservare strabiliato antichi affreschi sulle pareti sulle pareti intorno a lui. Cultori di antichità e curiosi iniziarono a scendere in queste ” grotte” scoprendo opere pittoriche stupefacenti, sui soffitti e sulle mura.
Prestigiosi rappresentanti del Rinascimento come Raffaello, Ghirlandaio, Pinturicchio e molti altri, perlustrarono spesso gli ambienti sotto terra della villa, per analizzare le splendide decorazioni e trarne ispirazione. Ancora adesso sono presenti tracce del loro passaggio, poiché sui soffitti e lungo i muri vi sono molteplici scie lasciate dalle torce che adoperavano per la loro indagine. I celebri artisti, copiarono i motivi decorativi che essi contenevano e che, per la loro collocazione, si chiamarono “grottesche”.
La definizione “pittura a grottesche” è ancora adoperata per designare un genere divulgato sostanzialmente nel XVI secolo, che riprende e rielabora lo stile della decorazione parietale romana. Nel
momento in cui furono rinvenute le pitture e gli stucchi, erano ancora vivi e brillanti, ma ben presto cominciarono le difficoltà della loro conservazione, sbiadendo rapidamente a causa dell’umidità e purtroppo furono dimenticati. Soltanto dopo i ritrovamenti di Pompei, gli esperti si dedicarono nuovamente alle “grottesche”, e nel 1972 furono ripresi gli scavi nella Domus Aurea.
Il centro dell’impianto neroniano è senz’altro formato dalla struttura dell’Aula Ottagona, sala in cui si svolgono i nove incontri ispirati alle Muse, e dei suoi ambienti radiali, complesso che si identifica con la storia dell’architettura romana, un modello fortemente innovativo per l’elaborazione degli spazi e per la capacità di costruzione. Era un luogo molto speciale, che in virtù di uno geniale meccanismo avviato da schiavi, faceva ruotare il soffitto della cupola riprendendo la rotazione terrestre, ed era munito di un grandissimo vestibolo che ospitava appunto la statua colossale dell’imperatore nelle vesti del Dio Sole. Le fonti ci informano che nei bagni era presente acqua marina e di origine termale; tali narrazioni sono arrivate sino a noi grazie a Svetonio.
Le statue delle Muse sono state rinvenute in frammenti, nel corso degli scavi del 1958 nel settore del Ninfeo di Polifemo, e sono state attualmente di nuovo mostrate dopo l’ultimo ripristino all’interno del complesso, ridando alla struttura la funzione di padiglione dinamico che aveva in precedenza, per passeggiare al suo interno usufruendo della spazialità dell’edificio e dei capolavori in esso contenuti.
Dal gruppo autoctono iniziale, che quasi certamente radunava tutte le nove figlie di Zeus e di Mnemosine (la Memoria), ci restano la scultura di Tersicore, Musa della Lirica corale e della Danza, e di Talia, Musa della Commedia. Si è conservata anche Erato, Musa della Poesia amorosa, ma per il suo essere enormemente frammentario non è stata esibita.
Tersicore è raffigurata seduta su una roccia e nella sinistra sorregge una lira, idioma della sua arte. La testa è limitatamente preservata, è perso il volto mentre resta la parte posteriore che permette di interpretare la pettinatura attraverso i capelli divisi in due bande, raccolti sulla nuca.
Talia, era probabilmente anch’essa seduta, vestita con una sottile tunica su cui vi è il chitone, fermato sulle spalle, e il mantello che scende sul braccio in una moltitudine di pieghe. Non c’è la testa e son persi anche il braccio destro e la maschera teatrale ridente che stringeva nella mano.
Sii tu la decima Musa, dieci volte più degna di quelle antiche nove che i poeti invocano; e chi supplica il tuo aiuto, possa egli dar vita a rime immortali che resistano al futuro. Se la mia povera Musa piace a questa epoca difficile, mia sia la fatica, ma tua la gloria. William Shakespeare, Sonetto XXXVIII, vv. 9-14