Morte improvvisa, nel Cinquecento, non equivale ad avvelenamento: il giallo della morte di Alessandro VI Borgia

Siamo nella torrida estate dell’anno 1503, precisamente l’11 agosto. Adriano Castellesi da Corneto ha invitato a cena nella sua vigna il papa che appena qualche mese prima lo aveva creato cardinale, il famigerato Alessandro VI Borgia, al secolo Rodrigo, passato alla storia più per le sue nefandezze – vere e, più spesso, presunte – che per i suoi meriti e le sue qualità intellettuali, amministrative, oratorie.

Alla cena partecipa anche il figlio del papa, l’ex cardinale Cesare Borgia che da ormai quattro anni è già quel duca Valentino e signore di Romagna che sta scrivendo, con le sue campagne, un capitolo centrale della storia militare italiana; ha trascorso primavera ed estate a Roma, impegnato nell’amministrazione del suo ducato e nell’organizzazione e miglioramento delle sue truppe.

Il mattino seguente, come in un giallo di Agatha Christie, tutti e tre sono malati. Cesare, più forte, e il cardinale, più fortunato, si riprenderanno, anche se con notevole fatica, dalla febbre; il pontefice, invece, morirà qualche giorno dopo, la sera del 18 agosto.

Dato il cognome di due dei personaggi coinvolti, molti tra i contemporanei e soprattutto molti studiosi in epoca moderna furono veloci ad imputare questa subitanea malattia – e, nel caso del papa, decesso – al veleno. Molte furono le ipotesi: che il papa e Cesare avessero voluto avvelenare il cardinale per impossessarsi dei suoi beni, ma che qualcosa fosse andato storto e avessero finito col bere anche loro il vino a lui destinato; che fosse stata un’idea di Cesare, che per qualche ragione avrebbe voluto sbarazzarsi del suo potente genitore, sua unica garanzia – come mostreranno gli eventi successivi – di tenuta politica, e che anche in questo caso il Valentino abbia bevuto il vino sbagliato; che il cardinale avesse voluto avvelenare i due Borgia.

Ma a Roma, in quella calda estate, c’erano già stati episodi malarici; la vigna del cardinale era circondata da acquitrini e non è irragionevole pensare che la malattia abbia potuto colpire anche i tre commensali. Bisogna infatti considerare che le conoscenze mediche a quei tempi non erano paragonabili a quelle odierne: ogni volta che qualcuno moriva in modo improvviso – per un arresto cardiaco, ad esempio, o per malattie di lento decorso delle quali all’epoca nulla si poteva sapere – si sospettava la somministrazione di una qualche sostanza venefica semplicemente perché non erano disponibili, nella medicina dell’epoca, altre spiegazioni ragionevoli. Oggi i medici sono in grado, leggendo lettere e cronache oppure esaminando resti, di fare diagnosi postume che spesso spiegano con una semplice, seppur tragica, malattia, ciò che a quei tempi in molti si erano affrettati a definire veleno.

In questo caso la fama del deceduto offriva alla teoria dell’avvelenamento alcuni precedenti: proprio durante quell’anno Alessandro VI, per finanziare le attività belliche del figlio e per dare maggiore solidità al suo potere, aveva intensificato la vendita delle cariche ecclesiastiche, aveva creato nuovi cardinali così da avere una maggioranza a lui fedele in concistoro e aveva anche iniziato, e sarà questo a dare avvio alla leggenda nera del papa avvelenatore, ad incamerare i beni di cardinali deceduti. In realtà erano cardinali molto anziani o malati, dunque è difficile

stabilire quanto di vero ci sia nell’ipotesi dell’assassinio; certo è che voci simili, nella storia, riguardano molti personaggi potenti: anche per la morte del successore di Alessandro VI, Pio III Piccolomini, eletto il 22 settembre e morto il 18 ottobre dello stesso anno, è stato sospettato l’avvelenamento: pare che Giulio II, il papa terribile, non vedesse l’ora di occupare il trono di Pietro.

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares