NEL CIELO D’ORO: LA STORIA DI S. MARIA IN ARA COELI

L’approfondimento sulle antiche leggende di Roma continua con il racconto di un vero e proprio miracolo che vide protagonista Ottaviano e costituì l’origine della chiesa di Santa Maria in Ara Coeli.

Nei Mirabilia si racconta infatti che un giorno, mentre si trovava nella sua camera da letto, il giovane imperatore chiese alla sibilla Eritrea se, con il consenso del senato, avesse mai potuto farsi lodare come una divinità. La sibilla gli rispose con un oracolo sulla fine dei tempi, al termine del quale si dischiuse una grande luce che inondò tutta la stanza. Al suo interno si trovava la vergine Maria con in braccio il piccolo Gesù, che subito Ottaviano adorò: la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli fu infatti edificata, secondo la leggenda, proprio lì dove una volta sorgeva la stanza dell’imperatore.

Molte ipotesi sono sorte per spiegare l’origine del complemento “in Ara Coeli”: Niebhur vi riconobbe un riferimento alla posizione topografica del luogo di culto, in quanto si trovava “in arce”, ossia sulla sommità del Campidoglio.

Gregorovius propose invece la tesi secondo cui il nome richiamava la visione di Ottaviano, la quale si sarebbe stagliata contro una grande luce, perciò “in aureo caelo”. D’altro -suggestivo- avviso fu invece Gatti, il quale sostenne l’antica presenza, nel luogo in cui sorse la chiesa, di un tempio dedicato alla dea fenicio-punica Tanit, divinità della fecondità e della maternità che i romani chiamavano “Dea caelestis” e alla quale dedicarono un’“ara caelestis”, dal nome della quale si sarebbe originato il nesso “ara Coeli”.

Un’ultima ipotesi è quella proposta da Hulsen, il quale sostenne che l’espressione “ara Caeli” fosse derivata dal fraintendimento delle ultime parole di un’iscrizione posta sul Campidoglio, la quale sarebbe terminata con un riferimento a un altare del cielo: ara Coeli.

Di questa affascinante leggenda sappiamo che ebbe origine in un luogo del tutto estraneo al contesto romano: la prima attestazione di cui siamo a conoscenza risale infatti alla Chronographia di Giovanni Malala. Qui l’ambientazione è decisamente orientale, tanto da riportare, al posto della sibilla, la figura della pizia; inoltre, della visione non c’è traccia: tutto si svolge presso un altare (“ara”) fisico. D’ispirazione già timidamente romana è la versione della leggenda presente nel Chronicon Palatinum, in cui l’incontro tra la Pizia (che resta tale) e Ottaviano si svolge proprio sul Campidoglio: neanche in questa versione, che racchiude il maggior contrasto tra ambientazione orientale e occidentale, si racconta di una visione.

Questo elemento fa infatti per la prima volta il suo ingresso nei Mirabilia, dove lo sfondo romano si fa ancora più vivido e preciso e la pizia diviene una sibilla. Insomma dietro a una leggenda, come ha dimostrato Monteverdi, si nascondono infinite storie, che nel tempo si sono scontrate, mescolate, arricchite le une con le altre in un connubio unico e suggestivo.

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