«CHE, NEL PERDERSI, CIASCUNO POSSA RITROVARE SE STESSO». La “caduta” di Chie Yoshii

Il 25 settembre è la Giornata mondiale dei sogni, forse, perché è l’appena iniziata stagione autunnale quella più intrinsecamente affine alla dimensione onirica. Secondo il mito classico, il passaggio dall’estate all’autunno sarebbe legato alla ciclica discesa di Persefone nell’oltretomba. Persefone, figlia di Demetra, dea del raccolto, era stata rapita da Ade, dio degli Inferi, che la voleva in sposa. Disperata, Demetra si era messa alla ricerca dell’amata figlia, trascurando i suoi doveri verso la natura, che in breve tempo perse vitalità e prese a tingersi di colori più cupi. Grazie all’intervento di Zeus, si giunse ad un compromesso: Persefone avrebbe trascorso sei mesi sulla terra assieme alla madre e sei mesi nell’aldilà con il marito. La luce, il colore e l’abbondanza della primavera e dell’estate manifesterebbero dunque la gioia di Demetra per il ritorno di Persefone, mentre il lento e inesorabile declino della natura cui si assiste tra l’autunno e l’inverno ne rimarcherebbero il dolore per la partenza e l’assenza. Allo stesso modo, addormentandoci, precipitiamo nell’abisso della nostra interiorità, trascinati da un’oscura e ignota forza, che per un po’ tiene prigionieri i nostri sensi, per restituirci alla superficie della coscienza, liberi e rinnovati nello spirito. Il sogno, come l’autunno, è l’esito di una discesa o, meglio ancora, di una rovinosa caduta, della quale, spesso, soltanto il mito può illustrarci il significato e il ruolo nel nostro percorso di vita. Il mito rivela il persistere di una medesima sostanza nel divenire di molteplici forme e, per questo, può offrirne a ciascuno una diversa, assai precisa e personalissima: chiave ermeneutica per decifrare i messaggi che l’inconscio invia. Ne è una schiacciante prova l’esperienza creativa della pittrice giapponese, attiva a Los Angeles, Chie Yoshii, che a tal proposito afferma: «Quando diciamo: ‘Questo è un mito’, intendiamo dire che non è vero. Tuttavia, il mito rivela la verità psicologica. Quando sperimentiamo gli eventi, ciò che rimane nella psiche sono le fantasie che sorgono con le emozioni che provocano. Queste fantasie diventano un mito. […] Il mito non riguarda la realtà ma le fantasie suscitate dai suoi effetti. Sono concepite visceralmente e più tangibili della realtà stessa. Sono sempre stata interessata a ciò che è comune nella psicologia umana: modelli, tendenze e archetipi. I temi mitologici mi ispirano perché un mito che resiste alla prova del tempo ci mostra una psiche collettiva comune a tutti noi.».

Chie Yoshii è nata nel 1974 a Kochi, in Giappone, si è laureata, nel 1997, all’Università Ritsumeikan di Kyoto e, nel 2000, al Massachusetts College of Art di Boston. Dal 2002 al 2008, ha completato la propria formazione artistica studiando con il pittore realista Adrian Gottlieb (1975). I suoi dipinti sono stati esposti in tutto il mondo, destando interesse e ammirazione soprattutto in Asia, America e Europa. Tra le sue mostre più recenti, ricordiamo la personale Myth, allestita presso la Corey Helford Gallery di Los Angeles (2020/2021), e la collettiva Ephemeral – Territory of Girls, alla Jiro Miura Gallery di Tokyo (settembre – ottobre 2021). Per mezzo di un linguaggio che combina la meticolosa cura del dettaglio, la qualità dell’ombreggiatura e il candore dell’incarnato di ascendenza fiamminga con l’erotismo esoterico simbolista e, talvolta, con motivi tradizionali del Sol Levante, come

geishe elegantemente fasciate in decoratissimi kimono e acconciate con preziosi kanzashi (ornamenti per capelli), draghi, farfalle e fiori di ciliegio, Chie dipinge, prevalentemente a olio, personaggi femminili ideali, intriganti e chimerici, ai quali affida il compito di riscrivere il mito classico dalla propria originale prospettiva di donna giapponese, alla ricerca di una memoria universale che comprenda gli archetipi junghiani e i più grandi capolavori della storia dell’arte, tra cui La nascita di Venere di Botticelli (1485), La Dama con l’ermellino di Leonardo (1488-’90), La Madonna della Seggiola di Raffaello (1514), La grande odalisca di Ingres (1814), Ophelia di Millais (1851-’52), e proponga un valido compromesso fra realtà e immaginazione, passato e presente, Oriente e Occidente, corpo e anima. Grandi occhi (per lo più) celesti ci fissano enigmatici, invitandoci ad entrare e scendere, a nostro rischio e vantaggio, nella realtà sotterranea dell’inconscio, l’infernale paradiso perduto, ma sempre ritrovabile, nel quale familiari ed inquietanti apparizioni ci guidano attraverso l’oscuro e insidioso labirinto fatto di traumi e desideri irrisolti, pensieri ed emozioni spesso contraddittori, risorse e limiti che di noi stessi ancora non conosciamo. Infatti, abituati come siamo a muoverci nel mondo reale, che è frammentario, ingannevole e discriminante, orientarci in quello dei sogni, sconfinata terra di assoluta autenticità, può non essere semplice, ma, per fortuna, il mito e l’arte ci forniscono chiare e dettagliate mappe, per esplorare tanto in profondità quanto siamo disposti ad avventurarci e riemergere sani, salvi e autocoscienti.

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