Johannes Genemans (Leiden, 1942) è uno scultore olandese che proviene dal mondo della moda. Dopo anni passati a trovare soluzioni per valorizzare il corpo, in specie femminile, dall’esterno, egli ha rovesciato le proporzioni del lavoro e si è dedicato al corpo stesso, creandolo con le proprie mani. Le sue sculture risentono dei suoi precedenti e paiono alle volte essere ancora in una sfilata o sostare nella posa migliore per il pubblico. Le condiziona una vasta memoria di modelli fra il Liberty e il Déco con rimandi a un classicismo che fu caratteristico dell’arte europea al passaggio fra i secoli XIX e XX. Le si potrebbero vedere fra gli arredamenti concepiti da Paul Follot o le suppellettili di Joseph Hoffmann o sui tavolinetti di Roger Fry, in quella strana combinazione fra industria e squisitezza artigiana impreziosita da simboli di antiche religioni portate a coincidere in un immaginario moderno metropolitano.
Genemans, di recente, ha esposto con successo a Berlino (Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea Berlino in Arte, 2 – 7 marzo 2018), e davvero stupisce come le sue fanciulle sinuose, intente a flettere il corpo in giochi e passatempi deliziosi, si accordino ai ritmi della Groβestadt, in una logica ch’è quella dell’arte postmoderna. La loro leggerezza in questo senso appare come un sogno a occhi aperti, senza però che sia chiaro se chi sogna siano esse stesse o chi le guarda. E anche alcune prove italiane (lo scultore risiede da tempo nella campagna marchigiana), come il bel monumento realizzato nella piazzetta di Sirolo (AN) che si affaccia sul mare, hanno le stesse caratteristiche, palesandosi portatrici di una visione della vita che sembra potersi lasciare alle spalle ogni lacuna o angoscia umana. Sono piccoli farmaci che fa bene assumere e che ispirano l’idea di una danza destinata a non avere fine e che raccoglie in sé tutti i generi d’arte con meditata e spontanea eleganza.
