Omnia munda mundis

Prima dell’intervista pensavo che dietro le inefficienze del trattamento dei rifiuti in Italia ci fossero disegni strategici mondiali o, più banalmente, interessi della malavita organizzata. Le immagini della campana Terra dei Fuochi e, più recentemente, della Valle del Sacco (Frosinone), avevano impresso nella mia memoria scenari tragici, malattie terminali, morie di animali e desertificazione biologica.

Esperienza pregressa negli angoli più reconditi del mondo, consulente di affermate aziende europee ma, sostanzialmente, un professionista che non nasconde le proprie idee e, soprattutto, non edulcora la verità all’intervistatore, Pierpaolo Lombardi, ingegnere che dirige gli impianti e le discariche di Latina e Viterbo, risponde amabilmente alle mie domande. La sua pacatezza favorisce la chiarezza dell’esposizione ed esalta la sua disponibilità.

Se anni fa si parlava di “smaltimento” dei rifiuti, oggi tale parola (e concetto ndr) è totalmente stata sostituita da “valorizzazione”, più vicina alle esigenze ecologiche ed economiche del nostro pianeta.

Secondo la Legge (D. L. 22/1997 e D. L. 152/2006), si distingue la gestione dei rifiuti in base alla raccolta, che può essere indifferenziata o differenziata, cioè divisa per tipologia di sostanza. Nella prima i rifiuti, gettati dai cittadini senza discriminazione, vengono trasportati, dopo la raccolta, nei TMB, centri di trattamento meccanico biologico, che li trasformano in CSS, combustibile solido secondario, ovvero materia predisposta per ottenere, mediante i termovalorizzatori, energia e calore. Gli scarti di tale lavorazione finiscono in discarica, terminando la loro vita in un ambiente protetto ma proprio per questo costoso. La discarica altro non è che un ampio terreno nel quale vengono depositati e sigillati per ovvi motivi rifiuti non valorizzabili. È sufficiente che manchi uno solo degli elementi evidenziati in grassetto perché il processo si interrompa e non sia più virtuoso.

Nella seconda specie di gestione, i rifiuti vengono separati secondo tipologie definite già nella raccolta: organico, metalli, vetro, carta, plastica, rifiuti elettronici (RAEE). I rifiuti organici vengono inviati agli impianti di compostaggio e trasformati, dopo una lunga lavorazione, in compost, un efficace ammendante di terreni. Metalli e vetro sono i rifiuti più facili da riciclare e soprattutto hanno vita eterna. La carta, invece, presenta degli inconvenienti al riciclo perché è necessario integrarla con abbondante e nuova cellulosa, sostanza ricavata dal legno degli alberi. In ogni caso, aumentando la percentuale di carta riciclata, aumentano anche gli scarti prodotti dalle cartiere che devono essere bruciati nei termovalorizzatori o “conservati” in discarica. Per quanto concerne la plastica, anche in questo caso la possibilità di riciclo è alta ma, come per la carta, è alta anche la produzione di scarti da avviare ai termovalorizzatori o in discarica. Abbiamo infine i rifiuti elettronici che, gestiti in appositi impianti, sono riciclabili fin quasi all’80% ma con scarti vieppiù elevati per ogni nuovo ciclo, da smaltire nei modi consueti.

Constatata la possibilità di valorizzazione e, comunque, di gestione di tutti i tipi di rifiuti (eccetto quelli speciali, per i quali occorrono leggi speciali, impianti speciali e …articoli del sottoscritto speciali!), perché dobbiamo assistere a frequenti collassi del sistema nelle città italiane? Qual è la causa viziosa di interruzione del ciclo virtuoso dei rifiuti sopra considerati?

Senza ricorrere a numeri che rischiano di essere smentiti o a stime che spesso trovano il loro fondamento solo in decreti governativi, in Italia il problema principale, che inficia l’efficienza di tutti i processi descritti, è la carenza di termovalorizzatori e di discariche le quali, ricordiamolo, sono impianti con un determinato ciclo di vita (a esaurimento). Sia la raccolta indifferenziata che quella differenziata, purtroppo, ricorrono in percentuale progressiva a questi impianti e, come già scritto sopra, l’assenza anche solo di un elemento della catena è sufficiente per portare al collasso tutto il processo. La nostra capitale è dotata di una sola discarica che risulta insufficiente a contenere le migliaia di tonnellate di rifiuti che vengono, pertanto, trasferiti ad altri impianti in altre regioni, se non all’estero. Quando l’immondizia si accumula nei depositi temporanei, ne risente inevitabilmente la raccolta che non trova sbocco. Da qui le immagini che, purtroppo, hanno fatto il giro del mondo, rappresentanti cumuli di rifiuti che seppelliscono i cassonetti.

Qualunque candidato, in sede di campagna elettorale, promette una sana e prudente gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata ma, fatalmente, una volta eletto, troverà l’inevitabile limite nella carenza del numero di impianti. E anche qualora l’eletto volesse costruirne uno, i cittadini della zona prescelta per tale scopo si ribelleranno, spalleggiati dalle immancabili opposizioni che cavalcano la protesta in un tragico gioco politico. Un gioco del nulla, un gioco costoso sia economicamente che ecologicamente.

Sicuramente a questa inefficienza di sistema si accompagnano fenomeni delinquenziali che vanno dalla distrazione dei rifiuti dai circuiti ufficiali, per essere poi interrati fraudolentemente in luoghi non idonei e comunque non impermeabilizzati, al rogo doloso di depositi che combinano, provocando fumi spesso venefici, il ristabilimento della capacità ricettiva iniziale dell’impianto e un gravoso risarcimento assicurativo.

Esiste una soluzione del problema, chiedo all’ing. Lombardi?

Sospira, e sospiro di conseguenza, prevedendo una risposta impossibile. Sorride, ironicamente e forse amaramente, prima di affrontare un discorso complesso, fatto di passionalità e competenza, di impegno sociale e di tecnica. Occorre creare una cultura del trattamento dei rifiuti, che renda consapevoli i cittadini che una discarica o un termovalorizzatore, se costruiti bene, non arrecano danni alla salute di cittadini e consentono un elevato risparmio di risorse, da destinare ad altre attività sociali. Forse la nostra generazione non è pronta e mai lo sarà per impegnarsi in un progetto di tale portata ma è nostro dovere farcene carico e coinvolgere le generazioni future, per non lasciare loro un’eredità inquinata, ingiusta e puzzolente…

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