ORIZZONTI LIQUIDI Il ritorno di Helen Frankenthaler a Venezia

Dal 7 maggio al 17 novembre 2019, il Palazzo Grimani in Santa Maria Formosa di Venezia ospita la mostra PITTURA/PANORAMA. Paintings by Helen Frankenthaler, 1952–1992, a cura di John Elderfield, capo curatore emerito per la pittura e la scultura al Museum of Modern Art di New York, Consulting Curator al Princeton University Art Museum e Senior Curator per Gagosian. La rassegna, organizzata e promossa da Helen Frankenthaler Foundation e Venetian Heritage, in collaborazione con Gagosian, celebra l’opera della pittrice statunitense Helen Frankenthaler (New York, 1928 – Darien, 2011), figura chiave nella fluida svolta dall’Espressionismo Astratto alla Color Field Painting, con quattordici dipinti, provenienti dalla collezione della fondazione a lei intitolata, dedicati al rapporto tra pittura e panorama.

Helen Frankenthaler, figlia più giovane del giudice della Corte Suprema di New York, Alfred Frankenthaler, proveniva da una agiata famiglia di origini ebraiche. Nata a New York nel 1928, studiò alla Dalton School di New York (scuola privata per l’avviamento all’università), sotto la guida del pittore e incisore messicano Rufino Tamayo, si laureò, nel 1949, al Bennington College (Vermont), e, ricevuta in eredità una cospicua somma di denaro, nel 1950, perfezionò i propri studi con un soggiorno di alcuni mesi a Provincetown, nel Massachusetts, dove prese lezioni private da Hans Hofmann. Tornata a New York, strinse amicizia con il critico Clement Greenberg, che la introdusse nell’ambiente della New York School, nel quale ebbe occasione di conoscere, fra gli altri, Willem de Kooning, David Smith, Lee Krasner e Jackson Pollock. Tenne la prima mostra personale, presso la Tibor de Nagy Gallery, nel 1951. Il meritato successo giunse, tuttavia, un anno più tardi, con la esposizione del grande (circa tre metri di larghezza per due di altezza) dipinto Mountains and Sea (1952), il primo realizzato con la tecnica del “soak stain” (“imbibizione a macchia”).

Successivamente adottata anche da altri esponenti della nuova generazione artistica della cosiddetta Color Field Painting (Pittura per campo di colore), tale tecnica pittorica consisteva nel diluire l’olio con la trementina fino a fargli raggiungere la consistenza dell’acquerello, in modo tale che il colore si espandesse anche sulle parti della tela non direttamente impregnate, creando effetti simili ad aloni. Come già Pollock prima di lei, la Frankenthaler operava su tele non preparate, stese a terra, combinando schizzi e gocciolamenti casuali con l’uso di spugne, rulli e spazzole domestiche, e plasmava i dipinti da fuori, sollevandoli e inclinandoli, o da dentro, immergendosi nella loro superficie. La novità era nell’intento di trovare un più equilibrato accordo tra la componente istintiva, dominante nell’Action Painting, e quella razionale, mediante un uso più controllato del colore.

Nel 1958 sposò il pittore Robert Motherwell, dal quale divorziò nel 1971. All’inizio degli anni ’60 incominciò a dipingere utilizzando gli acrilici, che le permettevano di realizzare bordi più nitidi e definiti, gestire più facilmente la saturazione o l’opacità del colore e, soprattutto, evitare il deterioramento dei supporti. Pur senza mai abbandonare il linguaggio prediletto della pittura, la Frankenthaler si dedicò in seguito anche alla scultura, alla produzione di

stampe e illustrazioni per libri in acciaio saldato, al teatro, lavorando alle scenografie e ai costumi per il Royal Ballet d’Inghilterra (1985), e all’insegnamento, tenendo corsi nelle università di Harvard, Princeton, Yale e New York.

Tra le più significative mostre personali del suo lavoro, ricordiamo le retrospettive newyorkesi tenutesi presso il Jewish Museum (1960); il Whitney Museum of American Art (1969); il Solomon R. Guggenheim Museum (1985); e il Museum of Modern Art (1989). I suoi numerosi riconoscimenti includono il “Primo Premio per la Pittura” alla prima Biennale di Parigi (1959); la “Joseph E. Temple Fund Gold Medal” per il migliore dipinto a olio, conferitale dall’Accademia delle Belle Arti della Pennsylvania (Filadelfia, 1968); il “Premio d’Onore per l’arte e la cultura del Sindaco di New York City” (1986); il “Distinguished Artist Award for Lifetime Achievement”, ricevuto dalla College Art Association (1994); e la “National Medal of Arts” (2001).

Dopo l’apparizione nel padiglione degli Stati Uniti alla XXXIII Biennale (1966), Helen Frankenthaler torna a Venezia, con una selezione di lavori che, secondo uno sviluppo generalmente (ma non rigorosamente) cronologico, ne ricostruiscono la vicenda biografica e artistica fra gli anni ’50 e gli anni ’90, scandendola in quattro fasi fra loro distinte, ma, in qualche modo, interconnesse.

Il percorso espositivo si apre con grandi tele orizzontali risalenti agli anni ’50, in cui l’influsso di Jackson Pollock e il fascino per le sue aggrovigliate composizioni astratte è volutamente manifesto, come Window Shade No. 2 (1952) e altre opere dedicate al paesaggio. Una prima presa di coscienza, da parte dell’artista, dei propri mezzi e responsabilità e, insieme, una dichiarazione di poetica è qui testimoniata da Open Wall (1953), dipinto che allude al dibattito, allora in corso tra pittori e critici newyorkesi, se la pittura fosse da intendersi come una finestra o come una parete. La Frankenthaler propone una terza via, quella intermedia di una parete aperta.

Segue la produzione degli anni ’60. Sebbene il suo principale obiettivo fosse quello di creare l’illusione della profondità spaziale a partire da una distesa di superficie piatta, in questa sezione, il ruolo centrale è affidato alla seconda. Ne danno conferma Italian Beach (1960), tela realizzata ad Alassio, in cui i sentieri che ridiscendono la collina, un gruppo di foglie e la sabbia della spiaggia paiono fondersi con la pozza azzurra del mare, e Pink Bird Figure I (1961), che vede l’immagine bidimensionale di un uccello espandersi su una traiettoria di volo disegnata orizzontalmente attraverso il quadro. Mentre, con Riverhead (1963), l’artista recupera ed enfatizza la pittoricità dei suoi primi lavori.

Le prove dei decenni ’70 e ’80 costituiscono una fase di transizione in cui il prima e il dopo coesistono e si fondono in pulsanti apparizioni in divenire. Una di queste è New Paths (1973), che concilia un trattamento grafico già messo a punto con una inedita concezione dello spazio. Gli stretti nastri che attraversano il canale orizzontale di luce si fanno infatti via via più piccoli e sfumati, come se si allontanassero, suscitando l’illusione del movimento. Dalla prima metà degli anni ’80, la Frankenthaler passa ad elaborare un nuovo linguaggio, che prevede una base monocromatica di colore atmosferico alla quale vengono sovrapposti trattini, punti e macchie di un pigmento più evidente, come in Brother Angel (1983), oppure isole fluttuanti di colore e linee calligrafiche, come in Madrid (1984).

La sezione conclusiva è dedicata ai meno noti “dipinti atmosferici” degli anni ’90. Già in gioventù, l’artista aveva dichiarato: «I miei dipinti sono pieni di climi, climi astratti, e non la natura in sé». I titoli di questo periodo richiamano appunto condizioni climatiche estreme (Maelstrom, 1992), i luoghi in cui esse si realizzano (Snow Basin, 1990), il momento in cui hanno inizio (Overture, 1992), o la loro misurazione (Barometer,1992). In maniera del tutto originale e moderna, l’intenso effetto atmosferico creato dal colore richiama la pittura veneziana del Cinquecento, rendendo omaggio alla liquida bellezza della laguna e, in particolare, al Palazzo Grimani, uno dei più importanti centri culturali del XVI secolo e residenza di una famiglia conosciuta per le sue collezioni e per il suo mecenatismo.

L’esposizione integra quella intitolata Helen Frankenthaler: Sea Change: A decade of paintings, 1974–1983, tenutasi alla Gagosian Gallery di Roma dal 13 marzo al 19 giugno 2019, e si avvarrà di un ricco catalogo interamente illustrato, pubblicato da Gagosian, con un’introduzione di Elizabeth Smith, direttrice esecutiva della Helen Frankenthaler Foundation, Toto Bergamo Rossi, direttore della Fondazione Venetian Heritage Onlus, una prefazione di John Elderfield e un saggio globale di Pepe Karmel, professore associato di storia dell’arte dell’Università di New York.

 

Box informazioni:

PITTURA/PANORAMA. Paintings by Helen Frankenthaler, 1952–1992

(07 maggio – 17 novembre 2019)

Museo di Palazzo Grimani

Castello Ramo Grimani, 4858A, Venezia

Martedì – Domenica 10.00 – 19.00

Telefono: +39 041 5200345

E-Mail info: info@palazzogrimani.org

Sito ufficiale: http://www.palazzogrimani.org

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