Pandemia? No grazie, la cultura deve andare avanti.

In un momento in cui purtroppo anche la cultura, nella sua accezione di musei e aree archeologiche, ha dovuto necessariamente rallentare o fermarsi, una stupenda notizia illumina il buio di questi mesi: la scoperta di due corpi praticamente intatti nel sito archeologico di Pompei.

La storia dell’area archeologica di Pompei, che assieme a quelle di Ercolano e Torre Annunziata sono dal 1997 Patrimonio dell’umanità, nasce nel lontano 1748 per volere di Carlo III di Borbone, che visto il successo dei ritrovamenti nell’area di Ercolano decide di iniziare i sondaggi nella zona dove si pensava potesse essere l’antica Castellammare di Stabia.
Gli scavi nei decenni subiscono momenti di alterne fortune: un duro colpo arriva nel 1980 dove, a causa del terremoto dell’Irpinia, il sito viene gravemente danneggiato. Pertanto negli anni seguenti le risorse vengono in buona parte destinate al restauro ed alla conservazione di quanto già scoperto e danneggiato, rallentando notevolmente i nuovi sondaggi. Nonostante l’ingresso nella lista di protezione dell’UNESCO nel 1997 e lo stanziamento di fondi da parte della Comunità Europea nel 2010 a causa della mancanza di un piano di restauro, il sito vede l’avvicendarsi di diversi crolli.

Tuttavia il sito di Pompei non è famoso solamente per la vasta area scoperta e per quella che ci sarà ancora da scoprire, ma anche perché la spessa coltre di ceneri piroclastiche ha permesso il ritrovamento di molti cadaveri pressoché intatti: il numero è stupefacente e supera le trecentonovanta unità.
Pompei torna a far parlare di sé proprio per la scoperta di altri due corpi nella villa di Civita Giuliana, già nel 2017 scenario del clamoroso ritrovamento dei resti di tre cavalli, uno dei quali bardato con una preziosa sella.
I corpi sono di un uomo sui quarant’anni avvolto in un mantello di lana e di un altro maschio più giovane, probabilmente il suo schiavo. Tuttavia al momento capire chi sia il quarantenne è difficile e il dubbio si dipanerà solamente proseguendo gli scavi, i risultati dei quali potranno aiutare gli archeologi ad effettuare ipotesi plausibili.
La fortuna immensa è che questo vano nel quale sono stati ritrovati è rimasto celato fino ad ora, sfuggendo così agli scavi effettuati nell’area già ai primi del ‘900 e, di conseguenza, ai tombaroli.
È stato così possibile procedere al calco in gesso delle due vittime dell’eruzione vesuviana, tecnica ideata nella seconda metà dell’ottocento dall’archeologo napoletano Giuseppe Fiorelli, e che è stata particolarmente valida nei risultati grazie al tessuto di lana che le due vittime portavano con loro.

Nonostante la pandemia e la conseguente crisi economica gli scavi vanno avanti e non appena termineranno quelli della Villa del Sauro Bardato, l’area potrà aprire al pubblico mostrando così tutte le meraviglie conservate al riparo dal logorio del tempo, ma anche le ultime tragiche ore di vita degli antichi pompeiani.

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