Al Museo Van Gogh di Amsterdam è riconosciuto il ruolo di solo portavoce insindacabile dell’artista e in particolare di esclusiva autorità su tutto quanto concerne la autenticità delle opere e la loro periodizzazione: si tratta della infallibilità incondizionata che il Cattolicesimo riconosce al proprio Papa: è già stato ufficialmente evidenziato tale -legittima? legale?- “pretesa al de facto diritto di monopolio delle attribuzioni dell’artista: ciò equivale a quanto di più assurdo, anzi innaturale, si possa immaginare: privare l’opera d’arte della sua prerogativa vitale e primaria e cioè fonte di godimento e di giudizio e di scoperta individuali e rimettersi invece acriticamente e aprioristicamente a quanto – novello Indice librorum prohibitorum- decide l’esperto del MVGA, significa, tra l’altro, trovarsi di fronte ad un oggetto finito e chiuso in sé stesso, un prodotto di consumo, un dentifricio o una saponetta, che si acquistano così come sono, a sorpresa! E si legga la formula che l’esperto sentenzia: “…we are of the opinion, …., that etc. etc….” e segue il responso, ma si legga bene: ”…this cannot be deemed to be a guarantee, but merely an opinion…”: “E’ un dentifricio, ma noi non diamo garanzie”. “Non è un dentifricio, ma noi non offriamo garanzie”. Questo è il profondo verdetto che il Museo emette, quattro parole, dove si dice e non si dice. Ma volenti o nolenti, tutti accontentati!
Contraddittorie e perfino grottesche dichiarazioni, espresse ex cathedra, da inquisizione. Con riferimento a tale funzione infallibile del Museo, a parte il paradosso storicizzato nonché la stravaganza dell’apriorismo e anche la pubblica legittimità, sono disponibili i requisiti idonei, cioè criteri e parametri perentori e inflessibili tali da rendere la infallibilità veramente…infallibile? Il lavoro scientifico, certamente pregevole, favorito dalla vistosa capacità finanziaria nonché efficiente pratica di marketing, consiste essenzialmente nella divulgazione e soprattutto compilazione ed elaborazione di testi e volumi su aspetti dell’esistenza e dell’opera dell’artista o su ricerche tecnico-scientifiche riferite alle loro opere nonché anche nell’acquisizione attenta e mirata di tutto quanto sul mercato possa aver attinenza: epperò non rifuggono dal mettere in vendita con orgoglio a 25,000 euro l’una -si dice- copie dei loro quadri da loro prodotte o di investire -si dice anche- nella ricerca di profumi e olezzi, da vendere ai visitatori, estratti dalle piante e fiori dell’artista, specie la essenza di girasole. Va tutto bene, ma dove il luogo, dell’esperto, della lettura dell’opera d’arte, della sua comprensione, del suo studio, della sua interpretazione cioè dove il contatto ripetuto e continuo, l’opportunità, il mercato!, dove è la competenza e la conoscenza? Dove ha acquisito e di più, perfeziona e verifica o eleva quotidianamente la capacità della lettura e della interpretazione, nella loro torre d’avorio, a contatto sicuramente delle loro attrezzature scientifiche all’avanguardia, ma lontano dai veri cultori della strada e dalle idee degli altri?
Il Museo ha tenuto appeso per ventanni sulle pareti quadri di Van Gogh risultati apocrifi, senza avvedersene o, abbastanza ricorrente, un quadro oggi viene rigettato e tra un anno o tre o cinque dichiarato autentico, come pure la validità scientifica e culturale medesima del sito internet da comprovare e verificare. Inspiegabile la completa assenza di ricerca su Agostina pur così fondamentale nel contesto vangoghiano come pure la totale indifferenza verso la storia del Tambourin, come pure la completa negligenza di un pur barlume di attenzione verso i concetti ‘carrozza/esistenza’ e verso ‘cavallo/uomo’, fatti che confermano una infallibilità papalina del Museo tutt’altro che ben riposta. Scendendo nel banale e senza alcuna volontà polemica è imbarazzante che si debba ritenere verità infallibile, per esempio, che Agostina sia nata a Napoli perché lo afferma il Museo o che il ‘Basket of Pansies’ che i due autori De la Faille e Hulsker fissano alla primavera 1886, venga d’imperio dislocato a maggio 1887 per motivazioni ermeneutiche di qualche esperto del Museo, senza contare il dettaglio, tra l’altro, che nel medesimo loro sito web, si dica che risale al 1886! Imbarazzante che datazioni e deduzioni dei due studiosi dell’artista più sopra citati vengano alterate o manipolate nella finalità, parrebbe, di pervenire a certi teoremi /ipotesi/assiomi che unilateralmente si intende consolidare o provare; ancora più ragione di profondo disagio, il fatto recente dei due più conosciuti e consolidati critici ed esperti dell’artista nonché referenti del Museo medesimo, dichiarati -o portati ad essere dichiarati- urbi et orbi, incapaci e incompetenti. E’ come ammonire Federico Zeri o Roberto Longhi o Bernard Berenson dall’esprimersi su un certo artista, magari anche su un certo periodo storico perché vi è qualcuno che ne detiene il monopolio, d’imperio e che dunque il loro giudizio nulla varrebbe … anche in termini di soldi! In effetti se il responso del MVGA è positivo, l’opera è buona e vale soldi, altrimenti letteralmente zero!
E l’ipse dixit è un principio invalso, ormai, rigidamente! Ora gli studiosi e gli esperti dell’artista non si pronunciano più sulla bontà o meno di un’opera. Ormai il motto è: rivolgersi al MVGA! E se per caso affiora un’opera sconosciuta, mai vista o pubblicata, si può esser certi che aprioristicamente venga rigettata. Parrebbe che da parte del Museo nella procedura di autenticazione vigano anche considerazioni diciamo, politiche o semplicemente generali e diverse che ben poca attinenza hanno con il solo requisito comandato: la perizia, la cosiddetta connoisseurship.
E intanto l’autoritratto di Oslo o quello australiano o la veduta di Montmajour e così altre opere
vengono prima respinte e, dopo anni, accreditate; un esperto dichiara dubbiosa la natura morta del Museo di Hartford USA e il Museo l’accredita; l’esperto dichiara dubbioso i fiori del Museo Van Gogh, il Museo riconosce ma anni dopo accredita! L’episodio di recente accadimento dei 65 disegni affiorati improvvisamente che i due più stimati e accreditati esperti R.P. e B.W.O, hanno con entusiasmo e quasi con roboanza salutato e acclamato quali disegni autentici di Van Gogh e che una importante casa editrice, confortata da siffatti pareri universalmente recepiti ha provveduto a riprodurre in stampa in formato particolare con notevole impegno finanziario assieme ad altre case editrici estere, è avvenuto che il Museo invece li dichiarasse falsi, non opere dell’artista! Chi ha ragione? Perché l’esperto del Museo dovrebbe avere maggiore voce critica rispetto a due professionisti di consolidata esperienza e competenza, senza citare il fatto veramente eccezionale che non esiste al mondo il museo, cioè una pubblica istituzione che faccia concorrenza ad un esperto privato e che rilasci giudizi à gogo? In una situazione di normalità quale quella ovunque nel mondo consolidata, tale contingenza non si sarebbe potuta verificare e sarebbero state accettate e riconosciute le varie opinioni e poi la casa d’aste eventualmente o il cultore avrebbero operato le proprie scelte. Così invece avviene, ribadita la vera e propria nonché arbitraria posizione leonina del Museo, che ora i 65 disegni valgono zero e gli esperti accreditati ingiustamente azzerati! Anziché dunque promuovere e salvaguardare la immagine dell’artista, il Museo VG di Amsterdam ha creato e sta creando confusione e notevoli disagi: aver azzerato coram populo la professionalità indiscussa di quegli esperti è colpa imperdonabile: un vero e proprio atto di violenza gratuito, reso possibile in sostanza non dalla competenza e qualità bensì dalla forza economica del Museo e dalla situazione di monopolio che si è creata, favorita ed alimentata dai soldi delle Case d’aste. A Van Gogh cominciano a restare i pettegolezzi!
Si tratta di soldi, di tanti soldi e perciò tutto è ammissibile, spesso. Non gratifica ricordare il mercato dei falsi o delle imitazioni che da sempre infettano l’opera dell’artista e altresì le incertezze suscitate dalla presenza nel suo canone di opere dichiarate sospette, larvatamente e non, da studiosi illustri. Ma la situazione delicata e difficile è allorché, raramente, affiora un’opera che immediatamente lasci riconoscere stile e personalità dell’artista: si rammenti che i critici lamentano la assenza di almeno duecento dipinti dal canone generale, senza contare una quantità maggiore di disegni ma, ecco il problema spinoso, a parte la vigente o meno competenza reale del cosiddetto esperto del MVGA, detta opera necessariamente non ha storia, non è stata mai pubblicata o esposta, nessuno la conosce, anche se recepita nel catalogo De la Faille: è in tali frangenti che le qualificazioni dell’esperto ci si spetta che rifulgano al meglio e che il dipinto venga fatto segno di professionale lettura nonché del suo recupero, tralasciando orpelli e preclusioni e soldi. Il Museo invece in questi casi, salvo, reputiamo, situazioni impreviste, è portato ab initio, based on stylistic features, cioè su niente o quasi niente, comunque notorio vecchio grimaldello passepartout, a rigettare il quadro; e tali ‘opinioni’ del MVGA diventano piuttosto sconcertanti a dir poco allorché si apprende che anche qualcuno degli esperti interpellati dal Museo su detta opera esprime opinione contraria cioè positiva! Rigettare può essere facile e sbrigativo, come è già stato osservato da fonte autorevole, arduo al contrario provare/confermare la bontà. Abbiamo detto di soldi: le case d’aste, che sono solo due in verità che se ne occupano, hanno il solo e scientifico interesse a gonfiare i prezzi e le quotazioni al massimo per ovvie ragioni; di conseguenza accettano in asta solo opere tra quelle riferite in special modo agli ultimi quattro anni dell’artista, belle o brutte non ha importanza, purché consacrate dal via libera del MVGA: mancando la consacrazione museale, tutto è…. zero!