“persona diversamente abile” o “persona con disabilità”?
“ministro” o “ministra”?
“omosessuale” o “persona LGBT”?
“badante” o “assistente familiare”?
“immigrato”, “profugo”, “rifugiato”, “richiedente asilo” o…..?
“senza tetto”, “senza fissa dimora”, “clochard”, “mendicante”, “barbone”.
Quante volte, mentre scriviamo (o parliamo), sorge il dubbio su quale sia il termine più corretto.
Quello che senza fare appello a un linguaggio esageratamente (e falsamente) politicaly correct – e quindi artificiale in quanto incapace di veicolare un significato condiviso oltre il segno – è in grado di trasmettere il senso di quello che vogliamo dire.
Il dubbio è venuto in primis ai giornalisti, che della parola e della narrazione fanno il loro mestiere.
E così, sono stati elaborati alcuni criteri di “correttezza” linguistica capaci di rispettare la forma e anche la sostanza di quello che viene scritto o detto. Questi criteri sono raccolti nella “Carta di Roma” e condivisi a livello di “media”.
Per saperne di più, basta leggere una snella e simpatica pubblicazione chiamata “Parlare civile. Comunicare senza discriminazioni” a cura di Redattore Sociale.
Il testo, oltre a indicare i termini più corretti da utilizzare, fa un’analisi ragionata della storia dei termini, delle alternative e dei motivi che sono stati addotti a favore di questa o di quella parola. Ogni scelta, infatti, veicola un significato più ampio: usare l’una o l’altra parola è tutt’altro che indifferente. Racchiude infatti una metacomunicazione, ossia, suggerisce una maniera di interpretarla, un senso, un’emozione e quindi un atteggiamento e un conseguente comportamento. Sicché l’uso di un termine piuttosto che di un altro dice molto di più di quello che si dice o si scrive, dandogli un “tono” o un’”accezione”, intenzionale o meno.
Attenzione quindi a quello che scrivete o si dite: le parole sono “finestre” sulla cultura e sul clima ambientale di una certa epoca e, dato il carattere evolutivo del linguaggio, aiutano a modellare il mondo in un certo modo e a creare una realtà piuttosto che un’altra.