IL PENNACCHIO DEL CAVALLO: ORIGINE LEGGENDARIA DI UNA STATUA FRAINTESA

Nonostante la tendenza a riportare leggende e credenze folkloristiche, nei Mirabilia si riscontra anche una forte volontà di correggere luoghi comuni errati su Roma.

L’esempio più evidente di questo atteggiamento lo si ritrova nella quarta ed ultima leggenda che approfondiremo, quella del cosiddetto “Cavallo di Costantino”.

La prima cosa che troviamo scritta nei Mirabilia al riguardo, infatti, è che sebbene questo nome sia estremamente diffuso per intercettare il gruppo scultoreo del quale la leggenda vuole tracciare le origini, è errato considerarlo tale: il cavaliere non è affatto l’imperatore cristiano.

La leggenda narra che, durante il periodo repubblicano, un valoroso soldato liberò Roma dall’assedio di una popolazione orientale. Nella redazione dei Mirabilia, non vengono riportati i nomi né del soldato né della popolazione, ma sappiamo che era presente una versione dello stesso racconto che vedeva protagonista il valoroso Marco Licinio Crasso contro i Mesi.

Posta d’assedio Roma, i soldati avversari si preoccupavano di proteggere il loro re ad ogni costo. Il soldato romano rifletteva da molto tempo su come sconfiggere gli avversari di Roma, quando si accorse che ogni sera, circa alla stessa ora, un uomo travestito da contadino usciva dall’accampamento nemico per espletare i propri bisogni fisiologici presso un albero: doveva trattarsi di un travestimento per nascondere il fatto che si trattasse del re.

Motivato a catturarlo, il soldato romano rimase per molti giorni ad osservare una routine che non mancava mai di realizzarsi, notando un fatto prodigioso: ogni volta che il re arrivava presso l’albero di sempre, una civetta (“cocovaia” nella versione in dialetto romanesco) iniziava a cantare per segnalarne la presenza.

Il soldato romano si decise quindi ad agire: una sera aspettò di sentire il richiamo del rapace per salire sul suo cavallo e rapire il re nemico. Ne seguì una contrattazione con l’esercito avversario, il quale chiedeva ai romani di liberare il loro re ma, non essendo giunti ad un accordo, l’astuto soldato uccise il sovrano orientale calpestandolo col proprio cavallo. L’esercito nemico cessò così il tragico assedio di Roma e non vi fece più ritorno, mentre il cavaliere romano, come ricompensa per il suo operato e per aver liberato la città ottenne d’essere immortalato nel gruppo scultoreo oggi conosciuto come la statua equestre di Marco Aurelio. Di esso doveva originariamente far parte, lo sappiamo proprio dai Mirabilia, anche la statua di un uomo minuto e deforme collocato sotto la zampa sollevata del cavallo: in esso veniva riconosciuto il re orientale. Interessante anche il dettaglio della civetta: come possiamo vedere ancora oggi, sulla testa del cavallo si staglia un pennacchio sollevato nel quale, per la sua forma e collocazione, gli osservatori medievali riconoscevano proprio la civetta che, col suo canto provvidenziale, contribuì alla salvezza dell’Urbe.

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