Da quando due brillanti fratelli francesi, figli di un fotografo, lo hanno inventato, il cinema ha sempre subito il fascino della parola scritta, mezzo di comunicazione artistica dalla tradizione millenaria, che ha spesso influenzato la cosiddetta settima arte. Il nodo principale del rapporto tra cinema e letteratura è, da sempre, connesso ai tempi della narrazione: quelli del cinema sono, naturalmente, assai più compressi e costringono gli autori ad adattare la narrazione letteraria, molto più descrittiva e ariosa. D’altro canto, una stanza, uno scorcio, l’anima di un luogo o di un evento può essere visto dallo spettatore attraverso i suoi occhi, mentre il lettore deve utilizzare il suo “sguardo interiore”, ricostruire cioè ogni elemento lasciandosi guidare dalle parole dello scrittore con il quale s’instaura un rapporto di complicità strettissimo, assai più forte di quello che può affermarsi con il “narratore cinematografico”. Altra questione sempre aperta è quella legata ai personaggi, protagonisti o comprimari, delle storie che vengono riadattate per il grande (o piccolo) schermo. Al di là delle doti attoriali degli interpreti scelti, in molti casi c’è una vera e propria spaccatura tra il volto, le espressioni, finanche i tic dell’attore che interpreta il personaggio letterario e l’immagine che di esso si è creato il lettore, in base alle indicazioni – giocoforza più vaghe – dello scrittore. Nel kolossal anglo-americano del 2004 Troy, liberamente tratto – e non potrebbe essere altrimenti – dall’Iliade omerica, il personaggio cruciale di Elena, la figlia di Zeus e Leda, che fu amata dal possente dio sotto forma di cigno, è interpretato dall’eccellente attrice tedesca Diane Kruger, la cui bellezza si adatta male ai versi di Omero o a quelli, più tardi, di Stesicoro. Per rimanere a casa nostra, come non citare il commissario Montalbano, magistralmente interpretato in televisione da Luca Zingaretti, che sconfessa totalmente l’immagine del poliziotto baffuto e irsuto uscito dalla penna di Andrea Camilleri. È giusto, però, che si faccia anche il discorso contrario, prendendo in considerazione le innumerevoli e iconiche potenzialità del cinema. Dunque, milioni di appassionati di fantasy, che da decenni idolatrano la suprema trilogia tolkieniana, hanno potuto finalmente osservare non solo il volto di Gandalf, ma anche lo spietato Occhio di Saruman, così come pure apprezzare l’ameno paesaggio della Contea, nella quale vivono gli Hobbit, e l’epica vertigine del Fosso di Helm, luogo in cui si combatte una delle più importanti battaglie della Guerra dell’Anello. Tutto questo grazie alla trilogia cinematografica Il Signore degli Anelli del registra australiano Peter Jackson. Dunque, in ogni occasione in cui il cinema ha riproposto grandi e piccole opere letterarie, sono stati utilizzati adattamenti più o meno traumatici che spesso ci hanno fatto esclamare “Pero, è meglio il libro” quando, forse, avremmo dovuto semplicemente affermare “Però, il libro è diverso”.