Amo immaginarmi immersa nella natura mentre lascio che un morbido raggio di sole accarezza il mio viso e il mio olfatto si inebria del profumo di uva matura che rilascia la dolce fragranza dei suoi acini.
Vaga lo sguardo incantato che si posa sui Colli Bolognesi dove si coltiva un vino dal nome tanto buffo ma dal sapore sublime al palato, “il Pignoletto”: vitigno antico, già conosciuto all’epoca dei Romani.
Già nel I secolo d.C. Plinio il Vecchio cita un vino chiamato “Pinum Laetum”, ma la sua comparsa nell’area bolognese è documentata dalla metà del XVI sec.
Nella sua Naturalis Historia Plinio il Vecchio lo liquida dicendo che il suo vino non era abbastanza dolce per i gusti dell’epoca.
Il suo buffo nome “Pignoletto” pare provenga dalla forma a pigna del grappolo o forse da “Pino Lieto”.
Ricerche genetiche indicano che Pignoletto e Grechetto di Todi abbiano lo stesso DNA, suggerendo che grazie ai primi coloni che arrivarono nell’Italia del sud lo facciano provenire anch’esso dalla Grecia.
Le prime notizie certe risalgono, però, solo al ‘600, da cronache dell’epoca che ripor-tavano la coltivazione nei Colli Bolognesi, di uve a bacca bianca conosciute col nome di “Pignole”.
Non tutti sanno che: se la produzione di uva avveniva in collina, dove si coltivava il Pignoletto avvinghiato all’Acero e all’Olmo, il vino nella sua reale essenza nasceva nella cantina di casa, fosse essa il palazzo aristocratico o la casa popolare.
Pare che tal Vincenzo Tanara, in Economia del Cittadino in Villa del 1674, accennasse a “Uve Pignole” poiché non adatte alla produzione di vino.
La storia racconta che: Maturata sui tralci maritati agli alberi della collina, sulle spalle dei brentatori (portatori di “brente”, piene di vino o acqua in caso di incendi) scendeva in città dove il vino si faceva in casa.
Di questo si trattava: di un vino di casa, per la domenica ma anche per il lunedì e il martedì, inscindibile dalla gastronomia locale. La versione frizzante perfetta accanto a salumi e tigelle.
La sua culla sono i colli di Bologna, ai piedi dell’Appennino, spettinati e variegati di boschi e prati, alberi da frutto e allevamenti: è qui la Vignola delle ciliegie e sono queste le terre del Parmigiano Reggiano e della Mortadella.
Ne è prova l’attività, documentata tra il 1600 e il 1800, della Compagnia dei Brentatori, che trasportavano il mosto in città in contenitori di legno chiamati brente che venivano portati a spalla.
L’abitudine del vino fai-da-te è rimasta in voga fino agli anni ‘60, poi è andata pro-gressivamente riducendosi mentre le aziende viticole si attrezzavano per vinificare e imbottigliare in loco il proprio prodotto.
L’anima di questo vino riflette le abitudini dei bolognesi: il buon vivere e la frizzante spensieratezza delle domeniche di maggio, quando gli studenti e le famiglie della Dotta Bologna si godono sui colli i pomeriggi di festa, abbandonando per un momento le tensioni degli obblighi e della routine della città.
Un’uva bianca difficile da lavorare e da vinificare in armonia, bistrattata per il finale amarognolo dai Romani che ben la conoscevano.
Oggi dà vita a vini originali, fermi o frizzanti, che cominciano a conquistare anche chef e ristoratori di tutta Italia. Coltivato sui Colli Bolognesi e nell’area del comune mode-nese di Savignano sul Panaro, altre zone di produzione sono i Colli d’Imola e i Colli di Rimini, dove il Pignoletto prende il nome di Rebola. L’influsso del mare sul vino pro-dotto nelle zone costiere conferisce sapidità e profumi iodati ad un vitigno già di per sé molto aromatico.
Il Pignoletto dei Colli Bolognesi è quasi sempre prodotto in purezza, anche perché da disciplinare non può avere meno del 85% di uve Pignoletto.
Si presenta con un colore giallo paglierino che può virare al verdognolo. Un vino fre-sco, vivace, spesso frizzante, conviviale ma anche raffinato ed elegante, fermo, di ca-rattere deciso. Il suo profumo rilascia sentori aromatici di mughetto, oltre ad una com-
I suoi vini piacevoli, vivaci e leggeri e beverini sono perfetti per accompagnare il pesce o un tagliere di salumi.
Non è conosciuto come un vino dolce, anzi è rinomato sin da tempi più remoti per il suo finale amarognolo, che può divenire valore aggiunto se ben armonizzato.
Comunque sia, si è andati a fondo con le ricerche per scoprirlo gemello del Grechetto Gentile, e così l’uva è stata ribattezzata. Il Grechetto Gentile è il vitigno a bacca bianca da cui si ottiene il vino dal nome Pignoletto, presente in 2 denominazioni: la DOC Pignoletto e la DOCG Colli Bolognesi Pignoletto.
Nell’area collinare attorno a Bologna, in cui la coltura di quest’uva è più antica, nel 2011 il Pignoletto Classico ha ottenuto la certificazione DOCG. Qui, l’inseguirsi di paesaggi, di luce e ombra, di calore e freschezza ne esaltano le caratteristiche organo-lettiche di questo bianco fresco e profumato dal caratteristico finale amarognolo.
La DOC Pignoletto si allarga fino a Modena e Faenza mentre la DOCG Colli Bolognesi Pignoletto premia il cuore della produzione vinicola, sovrapponendosi in parte alla pre-cedente DOCG Pignoletto Classico.
E se il nome ti incuriosisce, non resta che lasciarti trasportare dal suo retrogusto amaro che ben si sposa con una cucina semplice ma saporita come la mortadella, il culatello e tra i primi, con il quale si sposa, i famosi tortellini al brodo e le tagliatelle al ragù.