Antonio di Puccio, detto Pisanello, nasce probabilmente a Pisa, ma si sposta giovanissimo a Verona e proprio in Veneto si forma nel segno di Gentile da Fabriano e Stefano da Verona; nello spirito itinerante che contraddistingue molte carriere artistiche del Quattrocento cosiddetto internazionale, caratterizzato dal suo carattere cortese in molti dei suoi temi e nelle committenze, Pisanello viaggia spesso e lavora in varie città dell’Italia settentrionale e anche – data soprattutto la sua fama come capace disegnatore dell’antico – a Roma, chiamato dal papa veneziano Eugenio IV a lavorare agli affreschi nella basilica di San Giovanni in Laterano (subentrando in quel caso proprio a Gentile, che morendo li aveva lasciati incompiuti).
A Verona si conservano – non troppo bene, purtroppo, ma ciò non compromette la possibilità di apprezzare la mano di Pisanello, della quale restano perfettamente visibili la raffinatezza delle composizioni e delle architetture dipinte, la pacata plasticità delle pose, la curata varietà del dettaglio e quell’oscillare tra resa naturalistica e fiabesca caratteristico del secolo nel quale opera, una cifra stilistica che lui declina a modo suo – due affreschi da lui realizzati durante due diversi soggiorni.
Il primo, datato 1426, si trova nella chiesa superiore di San Fermo – entrando subito a sinistra – e forma con le sculture del fiorentino Nanni di Bartolo un connubio artistico voluto dal committente e destinatario del monumento funebre, Niccolò Brenzoni. Scostate e rette da due putti le tende rivelano una sacra rappresentazione in pietra, una Resurrezione di Cristo, già uscito dal sarcofago del quale un angelo tiene ancora in mano il coperchio, con i consueti soldati addormentati in tre diverse pose che assecondano la curva della composizione e quasi fungendo da cornice umana chiudono la scena nella sua parte inferiore; a circondare questo teatro plastico realizzato da Nanni di Bartolo ci sono gli affreschi di Pisanello: sulla destra una Vergine elegantemente colta in preghiera viene visitata dall’Arcangelo Gabriele – posizionato sul lato sinistro – i cui capelli ancora mossi dal vento suggeriscono che sia appena atterrato; le architetture gotiche e il mobilio, il paesaggio visibile alle spalle dei protagonisti, persino il ricco collare indossato dal cagnolino ai piedi della Vergine mostrano l’estrema chiarezza nella definizione di ogni dettaglio, disegnato e messo a fuoco con la stessa precisione a prescindere dalla sua distanza dal primo piano. Attorno a questo nucleo centrale – inquadrato in una cornice in pastiglia – il monumento prosegue con un’architettura di fantasia: un pergolato attraverso il quale emerge una rigogliosa vegetazione e che culmina, nella sua parte superiore, in alte strutture cuspidate: le due guglie laterali ospitano gli arcangeli Raffaele e Michele, mentre la nicchia centrale è completata dalla statua dell’Eterno che con la sua massa di pietra abita lo spazio dipinto dietro di lui, nella commistione tra scultura e pittura che compone l’intero monumento.
L’altro luogo veronese che ha la fortuna di ospitare Pisanello è la chiesa di Sant’Anastasia, scenograficamente collocata al termine della via omonima. Avvicinandosi al presbiterio e alzando gli occhi sulla sommità dell’arco di ingresso della cappella Pellegrini è visibile l’affresco – originariamente parte di una decorazione più ampia, a noi non giunta nella sua interezza – realizzato tra 1433 e 1438 per Andrea Pellegrini. I colori sono qui particolarmente alterati dai danni causati dall’acqua piovana: i volti terrei, le armature scure (originariamente in argento, ossidatosi), il cielo fosco e l’acqua gialla rendono la scena tetra e quasi apocalittica, più adatta alle figure marginali dei due impiccati che a quelle centrali del santo guerriero e della principessa dalla quale sta prendendo commiato S. Giorgio il quale, con un piede già infilato nella staffa del cavallo – virtuosisticamente e tradizionalmente raffigurato di tergo – rivolge lo sguardo, nel quale possiamo individuare un velo di preoccupazione nonostante la fermezza dei gesti che sta compiendo, verso la sua destinazione: il drago che dovrà affrontare e che languisce minaccioso, tra i resti ossei dei suoi pasti, nella metà sinistra dell’affresco.