IL PLANETERIO DI ROMA E IL MUSEO DELLA CIVILTA’ ROMANA

Sin dai tempi più antichi, i nostri avi, basandosi su meticolose osservazioni, hanno cercato di decifrare i moti degli astri, formulando teorie razionali e coerenti per meglio comprenderli.

Il Planetario è uno strumento che, in virtù di un peculiare tipo di proiettore, permette di riprodurre in maniera realistica la volta celeste, proiettando, su uno schermo emisferico, l’immagine delle stelle e degli altri corpi celesti.

I primi tentativi di creare un planetario, risalgono quasi certamente al III secolo a. C., ma per ottenere qualcosa di funzionale, si dovrà attendere la metà del 1700 con l’Uranium, dell’astrologo inglese Roger Long, determinato da una sfera di oltre 5 metri di diametro, avente dei piccoli fori da cui la luce esterna accedeva simulando le stelle. Però, soltanto all’inizio del 1900, fu prodotto il primo planetario che funzionava proiettando gli astri, denominato “Orbitoscope”. Ma il primo reale planetario moderno, venne realizzato dalle celebri officine Zeiss, le quali, costruirono, dopo quattro anni di studi e sperimentazioni un complesso strumento ottico-meccanico che faceva vedere oltre alle stelle anche il moto dei pianeti e il primo prototipo, fu montato nel 1923 al Museo della Tecnica di Monaco. Il Planetario della Zeiss, attraverso molteplici modelli e aggiornamenti fu utilizzato per numerosi anni, sino a quando, nel 2000, vennero creati i planetari digitali ed i corrispondenti software, che hanno consentito uno sviluppo elevatissimo delle immagini proiettate.

A Roma, il primo planetario fu inaugurato nel 1928. Lo strumento Zeiss era stato ceduto dai tedeschi, dopo la prima guerra mondiale in conto riparazione dei danni subiti, all’epoca di nuovissima concezione, istallato sotto la cupola dell’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano. Nel 1983, per difficoltà con la società che gestiva la sala e anche a causa delle Belle Arti, che intendeva lasciare scoperchiata la cupola dell’Aula, portarono alla chiusura del planetario. Soltanto nel 2004, si trovò una nuova sede all’interno del Museo della Civiltà Romana all’EUR, sede attuale, con anche la realizzazione del Museo Astronomico annesso, ma nel 2014 per lavori di riqualificazione del museo fu chiuso nuovamente.

Dopo un lungo periodo di attesa, venerdì 22 aprile, il Planetario di Roma ha finalmente riaperto al pubblico, dopo una profonda operazione di manutenzione e importanti interventi di riqualificazione e messa in sicurezza curati dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

La cerimonia iniziale di riapertura si è avuta in occasione del 2775° anniversario dalla fondazione di Roma, con la presenza del sindaco di Roma Capitale, Roberto Gualtieri, e dell’assessore capitolino alla Cultura, Miguel Gotor.

“Un bellissimo regalo per il compleanno di Roma la riapertura del Planetario. Una struttura avanzata, divenuta un vero punto di riferimento per la nostra città che ha una vocazione per la cultura, il sapere e la scienza. Un luogo magico per scoprire le meraviglie dell’universo”. Ha asserito il sindaco.

Ora i cittadini romani ed i turisti, potranno finalmente comprendere e conoscere i meravigliosi e avvincenti segreti dello spazio; nel planetario ristrutturato infatti, si potranno contemplare le stelle senza inquinamento luminoso artificiale e immergersi nello splendore del nostro universo, volando sopra le nebulose più nascoste.

Il pubblico potrà partecipare a spettacoli scientifici attuati dagli astronomi del planetario, rimanendo agiatamente seduti in una delle 98 poltrone distribuite in senso circolare, in tre anelli concentrici e guidati dal vivo dal racconto degli astronomi.

Per offrire un’esperienza molto più entusiasmante, il Planetario di Roma, ha provveduto alla realizzazione delle più avanzate tecnologie di visualizzazione dalle potenzialità eccezionali. In riferimento all’antico sistema che si limitava a riprodurre il cielo stellato visto dalla Terra, il nuovo software “Sky Explorer” consente di ricostituire sulla volta della cupola uno schermo di ben 300 metri quadrati e 14 metri di diametro, ogni aspetto riprodotto in forma virtuale. Si crederà di essere concretamente nel cielo e di navigarlo in qualsiasi senso, visitando gli altri pianeti e corpi celesti e ricostruendo eventi astronomici verificatisi nel passato o in un presunto futuro. Infatti, fra le capacità dell’innovativo software, c’è anche quella di eseguire aggiornamenti in tempo reale presentando le più recenti novità astronomiche e scoperte della comunità scientifica. L’irradiazione dei corpi celesti sulla cupola, è determinata da un nuovo e potente sistema digitale di video proiettori laser ad elevatissimo contrasto, con risoluzione 4 K, che consente di conseguire una assoluta oscurità del cielo notturno, di modulare in modo realistico le sfumature di luci ed ombre della Via Lattea e, contemporaneamente, di evidenziare gli astri più luminosi e le superfici dei pianeti.

E non solo tecnologia.

L’evento di apertura che i visitatori potranno ammirare è “Planetario: ritorno alle stelle”, uno spettacolo di 45 minuti creato originalmente dal team scientifico del Planetario di Roma. Mediante lo show, si può essere lanciati fra gli anelli di Saturno per ricordare che sono costituiti da pezzi di ghiaccio, oppure ci si può imbattere nell’asteroide 66458, chiamato “Romaplanetario”, scoperto da Gianluca Masi, uno degli astronomi divulgatori che riceverà il pubblico insieme a Gabriele Catanzaro, Giangiacomo Gandolfi, Stefano Giovanardi e il nuovo sopraggiunto Luca Nardi. Poichè, appunto il planetario, non è solo grande scienza sostenuta da tecnologia avanzatissima, ma è anche uno staff di studiosi che infatti dal vivo, in ogni spettacolo hanno la funzione fondamentale di guida e narratori. La rappresentazione in anteprima per la stampa è lo spettacolo di apertura, ma sono programmati nuove esibizioni, iniziando da uno riservato ai pianeti e uno per i bambini.

La riapertura del planetario si distingue attraverso il rilancio di attività ed eventi, basati su interazioni e sinergie, estendendosi dall’astronomia alla storia, dalla geologia all’arte.

Le operazioni di riqualificazione hanno riguardato anche l’atrio con i propilei esterni del Museo della Civiltà Romana, ancora purtroppo chiuso, e le scalinate oltre agli ambienti di servizio destinati agli uffici, con l’aggiunta delle finiture dell’edificio e della sala. Sono state sostituite infatti le poltrone, mantenendo però l’ordine circolare per ottimizzare l’esperienza del viaggio immersivo, eludendo l’effetto cinema, ed è stata poi realizzata la pulizia della cupola. In tutta la struttura del museo, in cui è presente il planetario, si è appunto intervenuti con varie e rilevanti operazioni, grazie ad un finanziamento di Roma Capitale, che hanno riguardato il risanamento degli impianti, della pavimentazione esterna e delle coperture. Un complesso piano di lavori ideato per concedere ai romani e ai turisti di tornare ad usufruire totalmente del complesso ed ad ammirare le sue meraviglie.

Ricordiamo, che il Museo Astronomico annesso al nuovo planetario, dal 2014 come il Museo della Civiltà Romana chiuso, offre grandi modelli dei pianeti, diorami e postazioni multimediali interattive con videogiochi astronomici, stimolando nel visitatore considerazioni sulle grandi tematiche del tempo, dello spazio e dell’origine degli elementi.

Il Museo della Civiltà Romana, allestito nei padiglioni progettati dagli architetti Pietro Aschieri, Domenico Bernardini, Cesare Pascoletti e Gino Peressutti per l’Esposizione universale del 1942, ma inaugurato nel 1955, non ha eguali nella sua tipologia.

Il progetto infatti, noto come E42 è un intervento urbanistico-architettonico che si sviluppa secondo la direttrice nord-sud di Roma con lo scopo di commemorare il ventennale del regime fascista. La struttura, commissionata dalla Fiat del senatore Giovanni Agnelli, si prefigge, mediante l’urbanistica, nell’esaltazione della Roma imperiale, con un impianto viario a maglia ortogonale, e con l’architettura, la forma e i materiali degli edifici che determinano l’intera area.

Posto a collegamento in direzione ortogonale ai due blocchi speculari, è presente un terzo corpo: un colonnato rialzato di un piano e rivolto verso la zona delle Tre fontane. Le 36 colonne imponenti che ritmano la quinta, sono costituite da travertino e sono impiegate nei maestosi ingressi dei due corpi laterali. La loro funzione è in modo evidente una citazione stilistica dell’architettura scenografica di Pietro Aschieri, la cui opera si identifica con lo stile del classicismo semplificato nella progettazione monumentale dell’intero complesso. Egli lega insieme il geometrismo del razionalismo italiano, che si riferisce in un certo qual modo al Movimento Moderno, e la grandiosità simbolica della tradizione romana, che qui viene reinterpretata dal regime, con carattere propagandistico.

La distribuzione interna del Museo, prima della sua chiusura nel 2014, evidenziava l’importante cura della realizzazione del sistema dei percorsi come prodotto organico, in cui si articolavano i due settori cronologico e storico-descrittivo, su una superficie di 12000 metri quadrati, per un totale di 59 sale.

Il settore cronologico, includeva le sale IV e XV, costituendo un compendio della storia romana, dalle origini al VI secolo d.C..

Nel settore storico-descrittivo, invece, vi erano le sale XVI-LIX, esponendo le molteplici espressioni della civiltà romana.

Fra i pezzi di maggior rilevanza, menzioniamo il grande plastico di Roma antica dell’età di Costantino I, cioè del IV secolo d.C.. La ricostruzione dell’architetto Italo Gismondi, è caratterizzata dai più attenti e precisi criteri scientifici avendo come modello la Forma Urbis Severiana, una carta marmorea del III secolo d.C., e la Forma Urbis Romae dell’archeologo Rodolfo Lanciani. Di enorme importanza sono anche i calchi dei rilievi della Colonna Traiana, realizzata nel 113 d.C. su progetto di Apollodoro di Damasco, per celebrare le vittorie dell’imperatore Traiano sui Daci nelle due guerre daciche, del 101-102 e del 105-106 d.C.. Ancora molto interessanti sono i calchi dei rilievi del grande fregio di Traiano, alto 3 metri e lungo 18 metri, quello di Villa Adriana e quello della Roma arcaica, in scala 1:1000.

Il museo in conclusione, ospita calchi di statue e di iscrizioni, di rilievi e di parti di edifici a grandezza naturale, e ancora plastici che ricostruiscono monumenti e strutture architettoniche di Roma e delle provincie dell’impero romano. Una mescolanza di quanto radunato durante la Mostra Archeologica del 1911, del Museo dell’Impero Romano e della Mostra Augustea della Romanità.

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