Nelle campagne paludose del Polesine, come anche nelle valli della bassa veronese, durante la prima guerra mondiale, il problema più sentito dalla gente fu quello di far funzionare la terra. La maggior parte degli uomini validi, forti e che prima si occupavano dell’agricoltura, erano impegnati al fronte. Ma quel lavoro qualcuno doveva pur farlo. E così ci pensarono le donne a rimboccarsi le maniche e a dedicarsi al duro lavoro nei campi e nell’industria agricola. Come ci pensarono sempre le donne di Polesella a fare le operaie del canapificio e a trainare il barcone con il loro corpo quando dovevano risalire il fiume. Non erano molti i casi, certamente più difficili da gestire rispetto alla navigazione secondo corrente, ma sembrava una cosa da fanciulle quando c’era il marinaio a poppa che misurava anche il fondale, urlando il momento giusto per il cambio di rotta per evitare i fondali bassi. Storia di ieri. Una storia che torna alla ribalta quando si parla di Polesella (Polsèla nel dialetto locale), comune in provincia di Rovigo, a sud di Venezia. Un territorio riemerso dall’alluvione secolare dell’Adige intorno al X secolo. Scherzi della natura ai quali la cittadinanza si è abituata nel corso degli anni, tanto che è stato proprio un fenomeno detto dei polesini a dare il nome alla zona; qui era normale veder emergere (e sommergere) alcuni isolotti di terra dalle paludi, almeno in forma temporanea, a causa delle piene del Po, del Canal Bianco e dell’Adige. Eppure chi conosce Polesella, rilegge sui libri di quando c’era solo un’osteria, un porto e poche abitazioni. Era ben poca la gente che abitava in questa terra selvaggia, dove i Duchi d’ Este venivano a praticare la caccia al cinghiale. Erano gli anni della “guerra del sale” nel 1482, quando Polesella fu al centro d’una importante battaglia tra i Veneziani e gli Estens. Ma è proprio a furia di battaglie e di scontri vari che questo territorio è cresciuto e si è trovato una identità. Grazie anche alla bonifica, ai suoi pescatori e ai tanti barcaioli: c’erano sulla riva ben sette moli d’attracco, tanti, che con ironia fecero sì che il popolo mise a confronto Polesella con Roma, l’una paese dei sette moli, l’altra paese dei sette Colli. Ancora oggi, volendo fare quattro passi per i moli, ognuno ha il suo nome. Perfino riferito a persone, per cui c’era il molo Ciolina che ricordava una pescivendola quello Clelia, e quelli Giarretta, Giussona, Bison, Chiavica. Eppure a Polesella gli itinerari da seguire sono tanti. Lo sa bene il Sindaco, Leonardo Raito che c’è Villa Cà Majer, un edificio seicentesco come Villa Rosetta ma dalla tipologia piuttosto insolita, perché si sviluppa su tre piani dei quali il più ornato è il superiore. Anche se il cuore del paese è l’Antico Borgo Santa Maura, dove all’inizio del Novecento c’era un borgo vivo e oggi invece si ammirano case pericolanti. Preferite visitare l’ex zuccherificio? Spingetevi fino a Raccano, a margine della ferrovia Bologna-Venezia, cui è collegato. Da vedere anche Botte Paleocapa, una delle grandi botti del Veneto, che sottopassa Fossa Polesella e i suoi argini.Vi è anche una illustre associazione fa il mercatino del collezionismo e dell’antiquariato che ogni terza domenica del mese muove 5.000 persone, dando ancora più pregio e risalto ad un paese che da solo comunica arte e ospitalità.
NOTA BIOGRAFICA LEONARDO RAITO
Leonardo Raito, classe 1978, storico e docente universitario, è sindaco di Polesella dal 2014. Prima è stato consigliere e assessore comunale dal 2004 al 2009 e, dal 2009 al 2014 assessore allo sport e alla pubblica istruzione della Provincia di Rovigo. Eletto nel 2014 alla guida dell’unica lista presentatasi alle amministrative, è stato riconfermato, nel 2019, con il 65% dei consensi. Dal 2017 è anche presidente del Consigli di Bacino “Polesine”, consigliere d’amministrazione dell’Associazione Nazionale degli Enti d’Ambito (ANEA) e componente del consiglio scientifico del CUR. Autore di svariate decine di libri e pubblicazioni scientifiche sulla storia del novecento.
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