In questi tempi si è molto dibattuto sull’adesione o meno dell’Italia a dei finanziamenti europei, messi a disposizione per tentare di contrastare gli effetti devastanti della pandemia sull’economia.
Il dibattito politico si è animato creando schieramenti di tifoseria che poco hanno permesso alla cittadinanza di farsi una idea chiara e distaccata.
Proviamo, per mezzo dei concetti che sono alla base della politica monetaria di comprendere la scelta dei Governi.
Iniziamo a chiarire i vari soggetti e le proprie competenze e sfere di azione.
Il Consiglio Europeo ricopre un ruolo decisivo per ciò che concerne la politica economica dell’Unione Europea (UE), mentre le funzioni di politica monetaria sono attribuite al Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC).
Con l’adozione della moneta unica europea (il 1. gennaio 1999) la Banca Centrale Europea (BCE) ha assunto la responsabilità della politica monetaria nell’area dell’euro.
Le Banche Centrali Nazionali (BCN) aderenti all’eurosistema hanno “ceduto” la propria sovranità in tema di decisioni di politica monetaria nell’ambito del proprio Paese, per esercitare tale funzione in modo collegiale esteso ai confini europei e, quindi, concertando politiche di maggiore rilievo nei confronti del mercato e degli scambi internazionali.
Il Governing Council (Consiglio Direttivo), composto dai sei membri del Comitato Esecutivo e dai Governatori delle Banche Centrali Nazionali dei 19 Paesi dell’eurozona, valuta gli andamenti economici e monetari e assume le decisioni di politica monetaria. Questo implica, non solo assumere decisioni in merito agli obiettivi monetari, ai tassi di interesse di riferimento e all’offerta di riserve nell’Eurosistema, ma, anche, definire gli indirizzi per rendere attuabili tali decisioni.
La politica monetaria verte sulle decisioni prese dalla Banca Centrale, in primis, per influenzare il costo e la disponibilità del denaro nell’economia, agendo sull’offerta di moneta tramite l’utilizzo di parametri che determinano la base monetaria stessa. Si agisce, quindi, o sulla base monetaria (la quantità di denaro disponibile) o sui tassi di interesse (il costo del denaro).
L’obiettivo fissato dal Trattato di Maastricht (art.127, par.1) è preservare la stabilità dei prezzi, ossia mantenere l’inflazione su livelli inferiori (ma prossimi) al 2% nel medio termine.
L’obiettivo della stabilità dei prezzi si riferisce al loro livello generale e consiste nell’evitare tanto una protratta inflazione, quanto una protratta deflazione. La stabilità dei prezzi concorre a innalzare il livello dell’attività economica e dell’occupazione in vari modi, difatti i principali effetti negativi di una inflazione maggiore sono: la perdita di valore dei risparmi (con effetti maggiori per i cittadini più deboli che hanno minori possibilità di accedere alle informazioni e ai canali finanziari per tutelarsi); la redistribuzione di potere di acquisto dai creditori ai debitori; la difficoltà di valutare accuratamente le variazioni dei prezzi relativi su cui famiglie e imprese basano le proprie decisioni di consumo e investimento; l’aumento automatico delle imposte dovuto al conseguente maggior prelievo fiscale; i più elevati tassi d’interesse per effetto del rischio di inflazione, applicato dagli intermediari per trasferirne l’onere.
La dottrina ha poi maturato, sulla base dell’osservazione empirica, la definizione che nel lungo periodo le economie con più bassa inflazione sono caratterizzate, in media, da una maggior crescita della produzione e del reddito, quindi all’innalzamento delle capacità produttive di un’economia e al miglioramento delle prospettive di occupazione.